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INCETTA USA DI TAMPONI ANTI-COVID. BRESCIA CHIEDE D’INDAGARE MA LA CASSAZIONE DICE NO!

L’archiviazione dell’esposto sul carico di tamponi anti-Covid inviati negli USA dalla base di Aviano nel marzo 2020? Una decisione legittima del Tribunale di Cremona. Ad affermarlo è la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione (sostituto procuratore la dottoressa Delia Cardia) che ha accolto il reclamo proposto dai magistrati cremonesi contro il provvedimento di avocazione del relativo fascicolo d’indagine, lo scorso 5 novembre, dei colleghi della Procura presso la Corte d’appello di Brescia, i quali avevano ipotizzato invece i reati di epidemia colposa, omicidio e lesioni colposi, abuso e omissioni di atti d’ufficio a carico di “persone da individuare”.

 

Secondo la Procura di Cremona, l’esposto che aveva originato il procedimento avocato, attribuiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Salute, al Commissario Straordinario per l’emergenza Covid-19 e al responsabile della Protezione Civile “comportamenti omissivi in relazione all’approvvigionamento dei materiali necessari per la diagnosi e ritardi nell’individuazione di terapie a causa dell’omessa esecuzione di autopsie”. Una denuncia del tutto generica, secondo i magistrati cremonesi, che “aveva indotto il requirente a escludere che si fosse in presenza di una concreta notizia di reato determinandosi, in conseguenza, per l’iscrizione dell’esposto nel registro mod. 45 e provvedendo all’archiviazione il 30 luglio 2020”. “Nessuna inerzia, quindi, ma esercizio legittimo del potere di valutazione”, ha spiegato il Procuratore di Cremona.

Di parere opposto i magistrati bresciani. Nell’atto di avocazione essi avevano precisato che nell’esposto presentato il 21 maggio 2020 dall’avvocato Giancarlo Cipolla del Foro di Milano si segnalava uno specifico fatto, cioè la partenza da Aviano di un velivolo militare statunitense carico di kit per il rilievo del contagio Covid 19 che appariva contrastare con lo stato di emergenza deliberato il 31 gennaio 2020 e con la normativa europea che vincolava all’autorizzazione dello Stato l’esportazione di dispositivi di protezione individuale. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Brescia aveva sottolineato come dall’esposto emergesse pure una “correlazione dei decessi con l’omessa esecuzione dei tamponi e omessa tempestiva diagnosi” e come potessero avere inciso negativamente la raccomandazione del Ministero della Salute di non effettuare autopsie sui casi conclamati di Covid 19, nonché il ritardo nella richiesta di kit e reagenti da parte degli organi istituzionali deputati. “Tali fatti potevano essere ricondotti astrattamente nelle ipotesi di reato previsti dagli artt. 452, 438, 590, 323 e 328 c.p. e l’esposto presentava connotazioni di una notizia di reato con conseguente iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p.”, concludeva la Procura. “Visti i soggetti e il tipo di provvedimento richiamati, il fascicolo avrebbe dovuto seguire la procedura prevista dall’art. 96 Cost., ma, ciò nonostante, il Procuratore della Repubblica di Cremona non aveva provveduto a modificare l’iscrizione”.

Discrezionalità scientifiche in tempi di pandemia

Valutazioni, quelle dei magistrati bresciani, che la Procura generale presso la Cassazione ha ritenuto infondate. “Spetta all’organo dell’accusa la valutazione sulla natura vera o fittizia di notizia reato di un fatto e tale decisione non può essere oggetto di impugnazione non avendo tale provvedimento natura giurisdizionale”, scrive la sostituta PG, Delia Cardia. “Pertanto i provvedimenti del Pubblico ministero non possono perciò essere qualificati in termini di abnormità, patologia esclusiva sugli atti di giurisdizione e ne deriva quindi che essi sono inoppugnabili, anche quando siano illegittimi”.

La Cassazione è entrata pure nel merito delle vicende narrate nell’esposto del legale milanese. “La denuncia dell’avvocato Cipolla segnalava inadempienze e ritardi da parte della Autorità di Governo nella gestione della pandemia da Covid-19 e ipotizzava, quindi, una relazione eziologica tra errori dell’Autorità amministrativa e di Governo e la diffusione del virus con le conseguenze spesso letali”, spiegano i giudici della Corte Suprema. “Il Procuratore Generale, a sua volta, richiama gli stessi atti amministrativi e normativi che rivelerebbero l’inadeguatezza dell’azione governativa quando non il contrasto con le esigenze di comprensione del fenomeno pandemico e della correttezza dell’operato dei sanitari, quali le raccomandazioni relative ai servizi cimiteriali e funerari, ai riscontri diagnostici e alle autopsie, che potrebbero avere agevolato l’espansione della pandemia e determinato le morti e le lesioni (…) La deduzione, tuttavia, appare del tutto congetturale, attesa la ampiezza e la genericità delle affermazioni contenute nell’esposto  sulla rilevanza, nella catena casuale rispetto agli eventi lesivi di determinazioni frutto di scelte politiche complesse a fronte di una emergenza sanitaria del tutto nuova che ha imposto misure urgenti modificate man mano che si accresceva il bagaglio informativo anche scientifico. Come tale e contrariamente a quanto si assume nell’atto di avocazione, la denuncia dell’esponente non appare, in realtà connotata da quei caratteri di concretezza necessari per potersi qualificare notizia di reato…”.

“Vero che l’esposto e, di seguito, la Procura Generale di Brescia segnalano un fatto specifico, ossia la partenza, il 16 marzo 2020, in piena emergenza da Covid-19, di un aereo dalla base militare di Aviano verso gli Stati Uniti con 500 mila kit per la rilevazione del virus, in contrasto, si legge negli atti, con il Regolamento di Esecuzione della Commissione UE 2020/402 del 14 marzo 2020”, prosegue la Cassazione. “Il presente regolamento, tuttavia, e quello in esso richiamato 2015/479, oltre a non prevedere sanzioni penali, riguardava solo i dispositivi di protezione individuali meglio descritti negli allegati (ossia mascherine, indumenti, guanti) e così intesi anche in atti normativi (v. anche determinazioni dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli italiana), beni diversi dai kit esportati negli Stati Uniti (c.d. dispositivi di test diagnostici come vengono chiamati negli atti amministrativi, v. Comunicazione della Commissione Europea del 15 aprile 2020, circolare Ministero della Salute del 3 aprile 2020). Sicché la vicenda dell’esportazione appare priva di ricadute di rilevanza penale se non, nell’ottica dell’esponente, come tassello di una disattenta, inefficace e incompetente gestione dell’emergenza sanitaria”.

“Per il resto, l’esponente censura temi che attengono, in sostanza, alla discrezionalità amministrativa, a valutazioni tecniche e scientifiche magari errate ma da contestualizzare nel delicato momento che attraversa il paese e che fuoriescono dal perimetro sindacabile in sede penale non solo con riferimento a presunte regole cautelari, difficilmente individuabili attesa l’eccezionalità e novità dell’evento da dominare, ma, tanto più, con riferimento agli indicati reati in danno della pubblica amministrazione”.

Milioni di tamponi in fuga con gli aerei cargo dell’US Air Force

Disattenzioni, inefficienze ed errori, quelli esplicitamente ammessi dai giudici della Corte Suprema, che avrebbero meritato ben altra considerazione in sede giudiziaria, non fosse altro per le tragedie sanitarie e sociali che hanno investito l’intero Paese all’inizio della primavera 2020, presumibilmente ampliati proprio dalla carenza nell’approvvigionamento di tamponi e reagenti e dalle decisioni di non sottoporre a screening la popolazione.

Mentre si diffondeva il virus in tutto il nord Italia con decine e decine di migliaia di morti, il Ministero della Salute aveva raccomandato con la circolare del 22 febbraio di riservare i tamponi ai soli casi sospetti di Covid-19, perché “in assenza di sintomi, il test non appare sostenuto da un razionale scientifico in quanto non fornisce un’informazione indicativa ai fini clinici”. Dall’altra parte dell’oceano, l’amministrazione Trump – pur sposando le tesi negazioniste sul pericolo coronavirus – si lanciava invece in una campagna di accaparramento di dispositivi per testare il Covid, giungendo ad autorizzare un dispendioso ponte aereo militare per consentire il trasporto d’urgenza dall’Italia agli Stati Uniti d’America di tonnellate e tonnellate di tamponi prodotti dalla Copan Italia S.p.A. di Brescia.

Diversamente di quanto si riteneva in origine, l’export di tamponi dalla base NATO di Aviano non si è limitato infatti nel carico di 500 mila testing swabs and supplies decollato alla volta di Memphis (Tennessee) il 16 marzo 2020. Come abbiamo avuto modo di documentare nei mesi scorsi, sono stati infatti ben nove i voli cargo dell’US Air Force nella rotta Italia-USA effettuati tra la metà di marzo e la metà di aprile 2020, con non meno di cinque milioni di tamponi trasferiti oltreoceano. Grazie al database Import Genius,consultabile via internet, abbiamo pure avuto modo di accertare che nel corso del 2020, per via marittima, Copan Italia S.pA. ha inviato negli Stati Uniti altri 3.557.969 kg. di beni (tamponi, apparecchiature per laboratori e altre non meglio specificate forniture).

L’azienda bresciana ha sempre dichiarato l’assoluta legittimità delle esportazioni, rilevando come in Italia non siano mai mancati i tamponi ma, eventualmente, i reagenti o il personale e i laboratori per effettuare i test. Il 13 marzo 2020, alla vigilia cioè della prima spedizione aerea negli USA, i manager di Copan S.p.A. riferivano al Sole24Ore che per affrontare l’emergenza, la capacità produttiva di tamponi era stata quasi triplicata,passando da 500 mila a 1,2 milioni di pezzi la settimana. “Certamente i tamponi diagnostici daranno a Copan una spinta importante ai ricavi 2020”, riportava il quotidiano economico. “Rilanciati, comunque, anche per altra via. In primis per effetto di una maxi-commessa da 10 milioni di euro per altrettante linee di macchinari dirette negli Stati Uniti, impianti integrati che automatizzano le attività nei laboratori di microbiologia, grazie ai quali a prescindere dal Coronavirus, la stima 2020 vedeva ricavi in aumento del 15-20% rispetto all’anno precedente”.

Un milione e duecentomila tamponi alla settimana corrispondono a poco meno di cinque milioni in un mese, come dire cioè che l’intera produzione mensile di Copan S.p.A. è volata a Memphis con gli aerei militari dell’US Air Force per essere poi distribuita ai laboratori d’analisi privati statunitensi. Un’operazione commerciale con tanto di autorizzazioni sanitarie e doganali ma di cui il governo Conte e i ministri Speranza (Salute), Di Maio (Esteri) e Guerini (Difesa) avrebbero dovuto spiegarne pubblicamente le ragioni diplomatico-militari e soprattutto giustificarne l’opportunità, dato che in quei terribili mesi da tutta Italia venivano lanciati accorati S.O.S. per la carenza di tamponi, reagenti e altri dispositivi per testare e contrastare l’espansione dei contagi da Covid-19.

Tamponi pochi, reagenti zero e test col contagocce

“Da evidenze cliniche valorizzate da autorità sanitarie è emerso un collegamento tra mancata esecuzione del tampone e mancato tempestivo accertamento della patologia da infezione di Covid e difetto di prestazione della cura corretta, con possibile derivazione causale di decessi per polmonite e/o embolia polmonare e arresto cardiocircolatorio nella nota abnorme misura rilevata nei primi mesi del 2020”. Era quanto rilevato dalla Procura Generale della Repubblica di Brescia nell’atto di avocazione dell’indagine, il provvedimento censurato dai colleghi cremonesi e dalla Cassazione. Considerazioni che riteniamo tutt’altro che congetturali e generiche e che invece sono facilmente verificabili in sede scientifica, così come è facilmente verificabile che le scelte di non effettuare i tamponi di massa non sono state dettate dall’insufficiente bagaglio informativo della autorità chiamate ad affrontare una emergenza sanitaria del tutto nuova. Basta dare infatti un’occhiata alla rassegna stampa dei giorni in cui esplose la pandemia per comprendere le reali ragioni di decisioni e pratiche palesemente omissive e dai possibili risvolti penali.

Lombardia, 23 febbraio 2020. Mentre si moltiplicavano i focolai infettivi e venivano dichiarate le prime zone rosse, la mancanza di tamponi veniva denunciata da alcuni sindaci, primi fra tutti quelli dei comuni di Bertonico e Codogno. In serata era poi l’assessore alla Sanità della Regione, Giulio Gallera, nel corso della trasmissione Rai Che tempo che fa ad ammettere che “i tamponi iniziano un po’ a scarseggiare”. “Ne abbiamo fatti 1.000 in tre giorni e abbiamo già ordinato nuovi quantitativi”, aggiungeva Gallera. “Abbiamo in queste ore modificato l’approccio: il tampone solo per verificare la positività in un soggetto che manifesta già uno stato febbrile (…). Quando i casi diventano molti non ha senso farlo a un soggetto che sta bene”. Data la penuria, dunque, meglio lesinarne l’uso.

Il giorno dopo (24 febbraio), il capo del Dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, forniva una diversa interpretazione della questione: “Sui tamponi sono state segnalate delle esigenze di ulteriore approvvigionamento ma non mi pare che ci siano puntuali difficoltà”. In serata, in un’intervista all’emittente SkyTg24, il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, negava invece l’esistenza di “alcuna emergenza tamponi”. “I tamponi ci sono – spiegava Fontana – ma essi sono riservati solo a coloro che presentano manifestazioni che potrebbero essere riconducibili al coronavirus”.

A sostegno dell’oculatezza delle scelte delle autorità lombarde, il 28 febbraio giungeva il parere del Consiglio Superiore di Sanità. “In assenza di sintomi, il test non appare al momento sostenuto da un razionale scientifico, in quanto non fornisce un’informazione indicativa ai fini clinici e potrebbe essere addirittura fuorviante”, spiegava il CSS. “Il gruppo di lavoro ritiene appropriate e condivisibili le indicazioni emanate dal Ministero della Salute e ribadite nella circolare del 22 febbraio 2020, raccomandando che l’esecuzione dei tamponi sia riservata ai soli casi sintomatici di ILI (Influenza-Like Illness, Sindrome Simil-Influenzale) non attribuibili ad altra causa e con link epidemiologico ad aree a trasmissione secondaria, a casi di ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome, sindrome da distress respiratorio acuto) e di SARI (Severe Acute Respiratory Infections, Infezione Respiratoria Acuta Grave), oltre che ai casi sospetti di COVID-19”.

Tamponi per tutti? No e poi no!

Le indicazioni di eseguire i test diagnostici per tracciare i contatti solo in coloro che manifestavano sintomi compatibili con il COVID venivano confermate il 9 marzo 2020 dal Ministero della Salute, con la circolare n. 7922. Ciononostante la domanda di tamponi cresceva enormemente un po’ in tutta Italia e il Consip, la centrale acquisti della Pubblica amministrazione controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, decideva alla fine di bandire (l’11 marzo) la prima procedura negoziata per fornire alla Protezione civile 390.900 tamponi rinofaringei. Il lotto unico del valore di 880.000 euro veniva aggiudicato il giorno successivo alla D.I.D. Diagnostic International Distribution S.p.A. di Milano, società partner e distributrice sul territorio nazionale dei tamponi prodotti da Copan Italia. Nella stessa giornata, il Consip procedeva anche all’acquisto di circa 67.000 test diagnostici, per un valore totale di 1.130mila euro.

Il 16 marzo, il giorno stesso in cui partiva da Aviano il primo grande aereo da trasporto delle forze armate USA con oltre 500 mila tamponi made in Italy, nel corso della conferenza stampa, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, affermava che era “irrealistico e poco utile” sottoporre la popolazione ai test diagnostici di massa. Sulla stessa linea si attestava ancora una volta il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. Sempre giorno 16, ad una domanda dei giornalisti sulla possibilità di estendere i tamponi a tutti i cittadini lombardi, Fontana rispondeva che “parlare di screening in un paese come Vò con 1.500 abitanti ha senso, ma per 10 milioni di persone come in Lombardia, quando a oggi ci vogliono più di 8-9 ore per avere il risultato di un tampone, non so in quanti anni si potrebbe fare”.

Nelle stesse ore era però il responsabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a ribadire la necessità di effettuare il maggior numero di test possibile, “perché non si può fermare la pandemia da Covid-19 se non si sa chi viene contagiato e chi no”. Divergenze di vedute con il Ministero della Salute e le autorità sanitarie italiane? Assolutamente nol’immediata risposta del direttore vicario dell’OMS, Ranieri Guerra. “L’esortazione di Ghebreyesus è di aumentare il più possibile l’identificazione e la diagnosi su casi sospetti e contatti sintomatici di casi confermati”, precisava Guerra. “Non viene suggerita, al momento, la raccomandazione di effettuare screening di massa, ma resta però la raccomandazione di sottoporre a tampone gli operatori sanitari esposti al rischio contagio, per contenere quanto più possibile la diffusione del virus”.

Ad ammettere le vere ragioni per cui in Italia non si dava il via a una campagna di tamponi a tappeto era una voce di peso della comunità scientifica internazionale, il professore Walter Ricciardi, membro del consiglio d’amministrazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e consigliere del ministro Speranza per l’emergenza anti-Covid. In un’intervista a Mattino Cinque, il 17 marzo, Ricciardi spiegava le difficoltà incontrate in tal senso nel nostro paese, “non solo per le risorse economiche ma perché servono operatori bravi nel fare i prelievi e tecnici altrettanto bravi per eseguire analisi sofisticate”. “Al momento – aggiungeva Ricciardi – in alcune regioni si fa fatica persino ad eseguire il test diagnostico sulle persone che presentano sintomi, come la febbre da diversi giorni e tosse”.

Il 20 marzo, dopo che erano esplose le polemiche sul trasferimento negli USA dei tamponi di Copan Italia, il capo del dipartimento della Protezione civile Angelo Borrelli dichiarava ad Agenzia Nova che erano pronti 390 mila tamponi per una loro distribuzione alle Regioni. “Non ci sono particolari criticità, se si riescono anche ad esportare non è un problema”, tranquillizzava Borrelli. Di opposto parere il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, che lamentava “enormi difficoltà” nel rifornimento di tamponi. “Noi ne abbiamo comprati 100 mila e ce ne consegnano 5 o 6 mila ogni tanto, col contagocce”, riferiva Zaia al cronista di Repubblica. “A me non sembra normale che un cargo americano parta da Aviano con un carico di 500 mila tamponi prodotti a Brescia e noi non riusciamo a trovarli. A me non sembra normale e lo dico da filoamericano…”.

“La nostra Regione, per necessità – e non per scelta propria – ha optato per un tamponamento inizialmente solamente ai sintomatici impegnativi, quelli che dovevano poi essere ricoverati”, spiegava il 26 marzo a Radio Lombardia il professore Carlo Federico Perno, direttore del Dipartimento laboratori di Medicina dell’ospedale “Niguarda” di Milano. Necessità che però aveva come primo effetto il bassissimo numero dei test effettuati. L’agenzia Adnkronosriportava il 3 aprile che in Lombardia, “nonostante l’aumento dei laboratori autorizzati ai test”, si effettuavano “appena 10 mila tamponi al giorno per la carenza di reagenti”. L’esigua quota di 10mila tamponi al giorno era confermata dall’assessore regionale Giulio Gallera in una intervista a Sky Tg24, il 7 aprile. “Se io potessi, farei un milione di tamponi al giorno, ma dipende dalla mancanza di reagenti: non è una mancanza di volontà di Regione Lombardia, che sta adottando con la carenza di reagenti le strategie migliori”, spiegava Gallera.

Le difficoltà di approvvigionamento di tamponi e reagenti veniva confermata due giorni dopo dalla Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle Aziende Sanitarie (SIFO). Dopo la creazione di una Rete Nazionale Emergenza Covid-19 per condividere documenti e buone pratiche tra gli associati, SIFO segnalava in un report che tra le maggiori criticitàdenunciate a livello territoriale dal sistema sanitario e farmaceutico c’erano proprio quelle legate alle reperibilità  dei “tamponi naso–faringei”. Come abbiamo visto, sino al 16 aprile perlomeno cinque milioni di tamponi erano stati esportati manu militari negli Stati Uniti d’America. E quelli distribuiti in Italia, sino alla stessa data, dalla Protezione civile e dal Commissario Straordinario per l’emergenza Covid-19? 416.542. Pochi, davvero pochi, e comunque del tutto insufficienti a soddisfare le richieste di aziende sanitarie e ospedali per uno screening che consentisse di comprendere la dimensione dei contagi.

Va poi detto che la maggior parte di quei tamponi erano stati distribuiti solo a partire dal 10 aprile. Un ritardo inspiegabile e ingiustificabile che veniva ammesso il 18 aprile dallo stesso commissario Domenico Arcuri nel corso della rituale conferenza stampa serale. “Abbiamo iniziato intanto una massiccia distribuzione di tamponi nell’ultima settimana: ne abbiamo distribuiti 280 mila, il 23% di quanti ne erano stati distribuiti finora”, riferiva Arcuri. “La sera del 15 aprile il Ministero della Salute ha mandato ai nostri uffici la richiesta di trovare la modalità più trasparente e veloce di acquisire 150 mila test sierologici per poter fare un importante campionamento della popolazione italiana. Il 17 aprile abbiamo pubblicato una procedura di gara che aggiudicheremo entro il 29 aprile per avere presto un unico strumento utile per tutte le regioni italiane”. Per gli indispensabili ma introvabili reagenti, bisognerà attendere invece il 12 maggio perché le autorità di governo avviino le procedure d’acquisizione. Come annotavano sul Corriere della Sera le giornaliste Milena Gabanelli e Simona Ravizza, “l’offerta per i reagenti si è conclusa il 18 maggio: siamo al 25 e ancora ci stanno pensando”.

I ritardi e le erronee valutazioni sono proseguiti ininterrottamente per tutto il corso del 2020. Secondo i dati forniti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al 31 gennaio 2021 risultano essere stati acquistati dal Commissario Straordinario per il Contenimento dell’Emergenza Epidemiologica 45.944.800 tamponi e 20.891.000 provette per tamponi. Di contro, il numero dei dispositivi distribuiti alle Regioni registra un’anomala, rilevante e inspiegabile differenza: 28.240.762 tamponi (17 milioni e mezzo in meno di quelli acquistati o forse solo ordinati) e 26.891.970 provette (sei milioni in più di quelle che risultano essere acquistate).

Insieme ai conduttori della trasmissione settimanale “37 e 2” di Radio Popolare abbiamo provato a chiedere direttamente al commissario Arcuri le ragioni di tali discrasie ed entro quando si preveda di completare le distribuzioni dei tamponi in surplus. Attendiamo risposta.

Da una disamina dei periodi in cu sono stati effettuati gli acquisti di tamponi si evince che 33 milioni sono stati ordinati dal Commissario Straordinario per l’emergenza anti-Covid nell’arco di una decina di giorni, tra il 22 ottobre e il 4 novembre 2020, cioè molto tempo dopo la prima ondata della pandemia e le innumerevoli denunce di enti e istituzioni regionali e territoriali, ASL e presidi ospedalieri sulla carenza di tamponi e provette per il prelievo, trasporto e conservazione dei campioni destinati ai laboratori d’analisi.

Cronologia degli acquisti

Totale tamponi acquistati: 45.944.800 per la spesa di 22.835.268,8 euro (400.000 unità acquistate all’estero, il resto in Italia)

Totale provette: 20.891.000 per la spesa di 21.795.812 euro (tutti in Italia)

9 aprile 2020 – 2.500.000 provette e  2.500.000 tamponi (fornitore: Copan Italia SpA)

2 maggio 2020 – 5.181.000 provette e 5.181.000 tamponi (Copan Italia)

3 luglio 2020 –738.000 tamponi  (Copan Italia)

13 luglio 2020 – 202.050 Kit diagnostici (D.I.D. – Diagnostic International Distribution SpA)

6 agosto 2020 – 4.010.000 provette e 4.010.000 tamponi (Copan Italia)

22 ottobre 2020 – 23.914.800 tamponi (Copan Italia)

4 novembre 2020 –9.200.000 tamponi e 9.200.000 provette (Greiner Bio-One Italia Srl)

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