sabato, Aprile 20, 2024
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Inchiesta sui beni confiscati in Sicilia. Capitolo 1. Le previsioni del codice antimafia

CAP. I

LE PREVISIONI DEL CODICE ANTIMAFIA

  1. DALLA LEGGE ROGNONI–LA TORRE ALL’ATTUALE NORMATIVA

L’analisi che questa relazione intende porre al centro del dibattito da tempo in corso sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati non può prescindere da una breve disamina del contesto normativo di riferimento.

Tra i principali meriti della legge 13 settembre 1982, n. 646 (cd. “Rognoni – La Torre”) vi è senza dubbio l’aver dato maggiore effettività all’azione di contrasto alle mafie tramite la predisposizione di un adeguato strumento diretto all’immediata aggressione del patrimonio criminale.

Da allora, lo strumento del sequestro (e della successiva confisca) è stato al centro di un articolato percorso di riforma diretto all’ampliamento della sua operatività, fino ad una sostanziale modifica della sedes normativa (oggi rappresentata dal D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159: il cd. “Codice antimafia”) che, al fine di garantire maggiore sistematicità all’intera normativa antimafia, ha inglobato i contenuti della disciplina precedente1.

Sul versante soggettivo, va osservato non solo il graduale accrescimento della platea dei potenziali destinatari delle misure ablatorie in esame2 (che oggi annovera anche le persone giuridiche3), cosa che ha richiesto un coerente irrobustimento degli strumenti d’indagine4, ma anche la predisposizione di mezzi volti a prevenire fenomeni elusivi di intestazione fittizia dei beni5 e la definitiva emancipazione delle misure di prevenzione patrimoniale da quelle personali 6.

Al contempo, sul piano oggettivo, si è cercato di garantire effettività allo strumento del sequestro adeguandolo all’evoluzione dei settori di investimento della criminalità organizzata7 e introducendo una serie di previsioni normative che consentono di incidere sul patrimonio mafioso anche nel caso di morte8 o di assenza del preposto9, ovvero quando lo stesso non sia più nella disponibilità diretta o indiretta dei beni interessati, e ciò tramite il ricorso a forme di sequestro e di confisca per equivalente10.

Ma è proprio l’alto numero dei sequestri e delle confische11 che ha messo in risalto, nel tempo, tutte le fragilità nella fase di gestione dei beni sequestrati e confiscati che dovrebbero essere destinati – lo ricordiamo – a un utilizzo socioeconomico vantaggioso e contemporaneamente capace di garantirne il pieno recupero e la definitiva sottrazione al patrimonio mafioso.

Ne è derivata un’opera legislativa complessa e non priva di criticità che si accompagna ad un apparato di regole diretto, almeno in teoria, non soltanto ad agevolare il raggiungimento degli obiettivi sopra richiamati ma anche ad evitare che si ripropongano sul versante istituzionale, come accaduto nel recente passato con la vicenda Saguto, zone d’ombra in cui il germe del malaffare possa trovare terreno fertile12.

Rispetto alla sua formulazione originaria13, la disciplina che regola la figura dell’amministratore giudiziario14 (come avremo modo di dettagliare meglio nel prosieguo15) ha seguito un iter di riforma diretto – almeno nelle intenzioni del legislatore – ad una maggiore professionalizzazione della figura16, nonché a garantirne l’assoluta imparzialità17 e l’efficienza dell’attività di gestione dei patrimoni sequestrati e confiscati18. In questa ottica vanno lette anche le modifiche introdotte con la L. 17 ottobre 2017, n. 161 nonché con il D.Lgs. 18 maggio 2018, n. 54, i quali, ex multis, hanno rinnovato sensibilmente i criteri per la scelta degli amministratori giudiziari, proprio per evitare il sorgere di pericolose dinamiche relazionali con il giudice che conferisce l’incarico19.

La riforma della disciplina ha interessato soprattutto la gestione dei beni sottratti ai mafiosi. Specie nell’ultimo decennio si è assistito alla proliferazione di interventi legislativi con cui si è tentata una maggiore tipizzazione dell’opera di amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché la previsione di ulteriori oneri in capo ai soggetti istituzionali coinvolti20. Sul punto, particolare attenzione è stata posta sul versante delle aziende21, con la predisposizione di particolari strumenti finanziari diretti a favorirne la gestione e la valorizzazione, nonché prevedendo normativamente il ricorso a forme di supporto tecnico a favore degli amministratori giudiziari e dell’Agenzia22.

Tuttavia, l’operatività concreta di buona parte di questi strumenti non è stata all’altezza delle attese. Lo conferma, tra tutti, il dato imbarazzante di mortalità delle aziende sequestrate e confiscate, come si osserverà in dettaglio successivamente.

Costellato da garanzie legislative è anche il momento della determinazione della destinazione dei beni. Rispetto alla prima disciplina introdotta con la Legge 7 marzo 1996, n. 109, sono confermate le linee di tendenza che prediligono:

  1. il riutilizzo dei beni immobili per finalità di giustizia, di ordine pubblico, di protezione civile, istituzionali e sociali23;

  2. l’adozione, nel caso delle aziende, di soluzioni che consentano di preservarne la continuazione o la ripresa dell’attività produttiva, nonché il mantenimento dei livelli occupazionali;

  3. la destinazione delle somme confiscate o ricavate dalla gestione dei cespiti al soddisfacimento di finalità pubbliche24.

Una profonda novità è stata introdotta proprio con la creazione dell’Agenzia, le cui attribuzioni intendono, in teoria, rendere più funzionale l’intera procedura. Nello spirito della legge, per esempio, l’Agenzia dovrebbe fornire, attraverso una stretta collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, un supporto alla destinazione dei beni già durante la fase giudiziaria, acquisendo tutte le informazioni potenzialmente utili al procedimento e indicando, nel contempo, le attività necessarie al superamento delle criticità che spesso ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi, e quindi il loro fattivo riutilizzo25. Come si avrà modo di vedere, sono numerosi – su questo punto e su altre funzioni demandate all’Agenzia – gli aspetti critici che rischiano di generare un profondo gap tra i risultati attesi e quelli realmente prodotti.

Osservata nel suo complesso, l’attuale disciplina del codice antimafia sembra voler superare approcci che guardino separatamente alle singole esperienze di gestione, per favorire la diffusione di dinamiche che diano spazio a letture di sistema e a percorsi di generale semplificazione, anche tramite la condivisione e la cooperazione istituzionale26.

Anche in questo caso, però, se andiamo oltre il dato normativo e osserviamo la reale operatività degli strumenti giuridici, ci renderemo conto che tra norme disattese e criticità applicative l’immagine restituita appare ancora troppo distante dalle finalità perseguite dalla legge, sebbene sia migliorata nel corso del tempo la capacità gestionale dell’Agenzia27.

II. LE NORME DISATTESE

Come dicevamo, un’attenta osservazione della disciplina, anche sul versante operativo, evidenzia non poche criticità che rischiano di svilire la reale efficacia dell’intervento pubblico. Limitiamoci, per ora, ad un breve riepilogo dei principali vulnus normativi, rinviandone l’approfondimento nel prosieguo della trattazione, anche attraverso il contributo offerto a questa Commissione dai molti soggetti istituzionali auditi (di cui, comunque, anticiperemo anche qui alcune riflessioni).

Il primo attiene sicuramente alla riformata disciplina sui criteri di nomina degli amministratori giudiziari, di cui all’art. 35 del Codice Antimafia. Rammentiamo che, ai sensi dell’appena citato articolo, i professionisti vengono scelti tra quelli iscritti nell’Albo nazionale28 degli amministratori giudiziari “secondo criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura e dell’entità dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell’attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione” e nella loro individuazione si tiene conto “del numero degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre, con esclusione degli incarichi già in corso quale coadiutore, della natura monocratica o collegiale dell’incarico, della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori, della natura diretta o indiretta della gestione, dell’ubicazione dei beni sul territorio, delle pregresse esperienze professionali specifiche29.

Se la finalità che il Legislatore intendeva perseguire introducendo il limite dei tre incarichi era quella di porre fine ai casi di cumulo, tale norma non chiarisce esplicitamente se questo limite operi con riferimento al singolo Tribunale o abbia portata generale e, ancora, se ricomprenda o meno le amministrazioni giudiziarie disposte dai gip nell’ambito dei sequestri preventivi. Ne deriva – come acquisito nel corso delle nostre audizioni – che le sezioni misure di prevenzione dei diversi Tribunali su questo punto applichino spesso criteri interpretativi differenti.

Poco felice è anche l’espressione utilizzata dal Legislatore, “incarico aziendale”, formulazione che si presta a non pochi fraintendimenti: non è chiaro se debba essere intesa come sinonimo di procedimento (per cui potrebbe riguardare anche un gruppo di società, con ovvie conseguenze in termine di cumulo di lavoro in capo ad un solo amministratore) o se faccia riferimento alla singola azienda sottoposta a misura.

Letto in combinato disposto alla scarsità di strumenti idonei ad appurare le reali competenze in possesso del professionista che si intende nominare, questo dato non può non destare preoccupazioni30.

Analoghe perplessità suscita una lettura attenta dell’art. 38, comma 1, del Codice Antimafia che prevede l’espletamento da parte dell’Agenzia, fino all’emissione del decreto di confisca di secondo grado, di una – non meglio definita – “attività di ausilio e di supporto all’autorità giudiziaria”, proponendo l’adozione di tutti i provvedimenti necessari per la migliore utilizzazione dei beni in vista della loro destinazione o assegnazione. Desta dubbi anche la previsione generica dell’art. 41, comma 1 sexies, del Codice Antimafia che prevede la partecipazione facoltativa dell’Agenzia31 al procedimento che si svolge in camera di consiglio dinanzi al Tribunale, chiamato a valutare la sussistenza di concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell’attività dell’impresa sequestrata, basandosi anzitutto sulla relazione stilata dall’amministratore giudiziario.

Considerazioni, queste, che trovano conferma nei rilievi evidenziati a questa Commissione dai magistrati auditi delle sezioni misure preventive, che hanno rappresentato come i canali di diretta cooperazione tra l’Agenzia e l’A.G. nel corso del procedimento di prevenzione siano complessivamente risultati flebili, se non del tutto assenti32.

Ma sul punto si tornerà più diffusamente nel capitolo IV.

Un altro strumento che –come emerso nel corso dei lavori di questa Commissione – sembra svuotato del suo significato originario è quello disciplinato dall’art. 41 ter del Codice Antimafia. La disposizione, introdotta con la L. 17 ottobre 2017, n. 161, prevedeva l’obbligatoria istituzione ad opera dei Prefetti di “tavoli provinciali” composti da tutti i rappresentati delle categorie e delle istituzioni coinvolte, con lo scopo di favorire la continuazione dell’attività produttiva e la salvaguardia dei livelli occupazionali nelle aziende in gestione.

In realtà, l’attuale formulazione normativa, così come modificata dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 11333, ne ha reso l’istituzione meramente facoltativa e continuano a non essere previste risorse aggiuntive – umane o finanziarie – che rendano davvero realizzabile questi tavoli di confronto. Si aggiunga, per paradosso, che l’art. 41 quater del Codice Antimafia introduce il parere obbligatorio del suddetto tavolo provinciale prefettizio affinché l’amministratore giudiziario possa avvalersi di specifiche forme di supporto tecnico per la gestione dell’impresa affidatagli. Insomma, parere obbligatorio ma tavolo facoltativo! Perché? Interessante vedere come l’esperienza istituzionale restituisce punti di vista a volte diametralmente opposti tra loro.

PELLEGRINI, università Alma Mater. Nella versione precedente era prevista l’obbligatorietà di costituire i tavoli prefettizi ma nell’ultima versione è facoltativo… ci sono prefetti che li istituiscono e prefetti del tutto inattivi. Sono le parti sociali, che hanno una grossa responsabilità anche a carico del contesto sociale ed economico della zona, che devono chiedere il tavolo prefettizio, pretenderlo, perché è di fondamentale importanza l’interazione di soggetti che possono dare il loro contributo alla gestione e alla sopravvivenza delle aziende.

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CORDA, Direttore dell’A.N.B.S.C. È evidente che non in tutte le sedi è presente la criticità delle aziende. In alcune è fortemente presente, in altre non lo è affatto. Allora, la facoltizzazione della norma in realtà non è connessa al fatto che il prefetto possa decidere, laddove ci sia il problema, di non costituire il tavolo medesimo. La facoltizzazione è data dal fatto che alcune sedi non hanno questo genere di problematiche.

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RICCIARDI, prefetto di Trapani. Non sono stati istituiti, per un semplice motivo: perché come poc’anzi lei ricordava, la normativa, che impone la composizione di questi consessi, è di tale dispersione che in effetti non si riesce neanche ad avere un terzo dei componenti che devono sedersi intorno al tavolo. Non le nascondo che preferisco agire da solo e farmi da solo il supporto, perché altrimenti perderei solo tempo a cercare, non dico di convocare, ma di costituire il Nucleo provinciale. Questa è un’altra criticità della norma: i Nuclei, lo dice la parola, dovrebbero essere ristretti, dovrebbero far parte di questi Nuclei persone in grado di poter decidere in tempo reale… ma se parliamo di gente che deve arrivare dai più svariati settori di attività, Presidente, non ne veniamo a capo neanche fra una ventina d’anni.

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LIBRIZZI, prefetto di Messina. Non abbiamo segnalate dall’Agenzia nazionale aziende per le quali fosse necessario attivare il tavolo, cioè per consentirne la prosecuzione dell’attività…

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FORLANI, prefetto di Palermo. Sì, qui il tavolo è permanente e si costituisce di volta in volta in relazione alle attività da svolgere.

Non mancano casi, poi, in cui è la prassi che ha reso inefficace quanto previsto dalla legge. Citiamo, a titolo di esempio, le vicende – di cui parleremo diffusamente più avanti – di alcuni beni immobili siti nei comuni di Palagonia e di Gravina di Catania: abitazioni e terreni che, pur dopo il provvedimento di confisca, hanno continuato ad essere impunemente e tranquillamente occupati dai vecchi proprietari. Situazioni paradossali ma non isolate che hanno messo a nudo, da un lato, le fragilità degli strumenti pensati per favorire la concreta liberazione dei beni sequestrati e confiscati34 e, dall’altro, le inerzie e le inefficienze che accompagnano spesso l’attività dei coadiutori, nonché l’assoluta mancanza, almeno in alcune circostanze, di collegamento informativo ed interattivo tra quest’ultimi e l’Agenzia.

Ed è ancora l’analisi empirica a mostrare come venga puntualmente disatteso il termine di novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo di confisca (eventualmente prorogabile di ulteriori novanta giorni nei casi di maggiore complessità) entro cui l’Agenzia deve disporre la destinazione del bene35. Si assiste invece, per prassi, all’allungamento dei tempi di conclusione del procedimento con tutto ciò che ne deriva.

Allo stesso tempo, non sembra trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 48, comma 3, lett. D del codice antimafia, che riserva all’Agenzia la possibilità di disporre la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi laddove l’ente territoriale destinatario non abbia provveduto alla destinazione del bene.

Altre norme sulle modalità di cooperazione istituzionale si rivelano di fatto non pienamente operative. Ci riferiamo ai nuclei di supporto di cui all’art. 112, co. 3 cod. ant., che dovrebbero essere istituti in seno alle Prefetture36 per coadiuvare l’Agenzia nelle attività connesse all’amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché per il monitoraggio sul corretto utilizzo dei beni assegnati. Come si osserverà meglio nel prosieguo, dalla prassi amministrativa emerge non solo una notevole disomogeneità organizzativa tra le diverse Prefetture, ma anche una certa inadeguatezza di tali organismi nel garantire una pronta ed efficace risposta alle innumerevoli criticità che la gestione dei beni sequestrati e confiscati riserva, come auspicato dal Legislatore.

CORDA, Direttore dell’ANBSC. Noi abbiamo iniziato proprio a partire da gennaio, un inizio di attività di movimentazione di questi nuclei, a turno, in tutta Italia… A me non interessa raccontare ai Nuclei di supporto quello che mi piacerebbe succedesse, io ho la tendenza a dare un serie di compiti che sono quelli previsti dalla legge, né più né meno e, poi, averne riscontro dando un tempo nel quale andare a controllare.

SCHILLACI, componente della Commissione. Gli attori che abbiamo ascoltato hanno parlato di una difficoltà enorme nell’interloquire con l’Agenzia nazionale, al di là della carenza delle risorse umane, per fronteggiare questa enorme difficoltà di comunicazione lei pensa di intervenire con un progetto specifico?

CORDA, Direttore dell’ANBSC. Ma, posto che non mi risultano delle particolari criticità da questo punto di vista… sono sulla strada per creare una sorta di Nucleo di supporto a livello centrale, a Roma, poter supportare a sua volta i coadiutori e i nostri funzionari che stanno sul territorio… in sostanza creare un sistema da problem solving.

Resta comunque diffusa, nel mondo del terzo settore e dell’associazionismo, una difficoltà strutturale ad avere rapporti fluidi con l’Agenzia. Questa è la testimonianza che ha portato in Commissione il portavoce del Forum del Terzo Settore in Sicilia:

DI NATALE, portavoce Forum del Terzo Settore della Sicilia. I rapporti con l’Agenzia nazionale dei beni confiscati sono del tutto inesistenti, non fosse altro che, ogni volta che ci si rivolge agli uffici siciliani dell’Agenzia per richiedere un minimo di informazioni, rispondono sempre che hanno bisogno dell’autorizzazione dell’Agenzia nazionale. (….)

L’Agenzia fa una richiesta di manifestazione di interesse che è rivolta soltanto alle pubbliche amministrazioni: noi avevamo chiesto all’Agenzia di informarci perché avremmo sollecitato le pubbliche amministrazioni a presentare domande, tenendo presente che le amministrazioni comunali o le amministrazioni pubbliche possono presentare manifestazione di interesse dicendo: “per finalità istituzionali o per finalità sociali”’. Quindi, noi volevamo fare un’opera di “persuasione” con le pubbliche amministrazioni. Non è stato possibile. Non abbiamo mai avuto risposta rispetto a questo tema.

Infine, vi è un’ultima disposizione che, nonostante i numerosi interventi di riforma succedutisi nel tempo, continua a sollevare numerose perplessità: facciamo ancora riferimento all’art. 48 codice antimafia, sempre in tema di destinazione dei beni confiscati: un momento che dovrebbe rappresentare il fulcro dell’intera normativa in esame.

Alcuni profili critici, ad esempio, riguardano gli ampi margini di discrezionalità che, specie con riguardo ai beni immobili37, caratterizzano l’azione rimessa all’Agenzia, non precisando la disposizione né quali siano i criteri che determinano la scelta di mantenere i cespiti nel patrimonio dello Stato38, né quali siano le finalità economiche che ne consentono l’utilizzazione da parte della medesima Agenzia, né – in tale ultima ipotesi – quale sia la destinazione per le relative utilità prodotte39. Sulla questione ecco cosa ci dice il direttore dell’Agenzia:

CORDA, Direttore dell’ANBSC. L’orientamento del Consiglio direttivo è rivolto anzitutto a favorire gli Enti locali richiedenti non perché l’Ente locale promuove un’attività più importante dell’attività dei Carabinieri che vogliono stabilire là una caserma, tanto per intenderci, ma perché l’utilizzo sociale del bene, quello diretto, quello che si vede direttamente e che ha impatto direttamente sulla popolazione, beh, questo è l’elemento cardine sull’orientamento attuale del nostro Consiglio direttivo. Che peraltro io condivido.

Ulteriori riflessioni critiche merita la disciplina che accompagna l’ipotesi del trasferimento dell’immobile per finalità istituzionali, sociali o economiche al patrimonio indisponibile del comune ovvero al patrimonio indisponibile della provincia, della città metropolitana o della regione40. All’ente interessato è concesso un termine di due anni per provvedere all’assegnazione o all’utilizzazione del bene, a pena di revoca del trasferimento. Non viene tuttavia prevista alcuna vigilanza sul rispetto di questa tempistica (che quasi sempre, nei fatti, è ampiamente derogata).

Con bando del 31 luglio 2020 l’Agenzia aveva indetto – per la prima volta – un’istruttoria pubblica per l’individuazione di enti ed associazioni no profit a cui assegnare immobili confiscati in via definitiva41. Un modus operandi innovativo e forse una risposta proprio all’inerzia degli enti territoriali. Ma la formulazione e la gestione di questo bando, come vedremo analiticamente, si è rivelata – negli esiti prodotti fino ad oggi – alquanto critica e tormentata.

1 L’art. 120, co. 1, lett. B) del D. Lgs. n. 159/2011 dispone espressamente l’abrogazione della L. n. 575/1965.

2 Attualmente, l’art. 16 del D. Lgs. n. 159/2011 richiama tra i possibili soggetti destinatari delle misure di prevenzione patrimoniale tutti quelli annoverati dall’art. 4 cit., così estendendone l’operatività anche oltre gli obiettivi della prevenzione mafiosa.

3 Art. 16, co. 1, lett. B) del D. Lgs. n. 159/2011.

4 Sul punto si veda l’intervento di riforma operato con l’art. 1 della L. 19 marzo 1990, n. 55. Oggi, il riferimento è rappresentato dall’art. 19 del D. Lgs n. 159/2011.

5 Disposizione introdotta col D.L. 23 maggio 2008, n. 92, oggi prevista dall’art. 26, co. 1 del D. Lgs. n. 159/2011

6 Disposizione introdotta col D.L. 23 maggio 2008, n. 92, oggi prevista dall’art. 18, co. 1 del D. Lgs. n. 159/2011.

7 Nella relazione semestrale al Parlamento sui beni sequestrati o confiscati del Giugno 2020 si dà atto di un intervento che ormai è molto differenziato, comprendendo beni immobili, beni mobili, beni mobili registrati, beni finanziari e aziende.

8 Disposizione introdotta dall’art. 10 del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, oggi prevista dall’art. 18, co. 2 del D. Lgs. n. 159/2011, secondo cui in caso di morte del preposto il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o degli aventi causa.

9 Disposizione introdotta dall’art. 2 della L. 19 marzo 1990, n. 55, oggi prevista dall’art. 18, co. 4 del D. Lgs. n. 159/2011.

10 Disposizione introdotta dall’art. 2 della L. 19 marzo 1990, n. 55, oggi prevista dall’art. 25 del D. Lgs. n. 159/2011.

11 Secondo quanto riportato nella relazione semestrale al Parlamento sui beni sequestrati o confiscati del Giugno 2020, i procedimenti relativi alle misure di prevenzione patrimoniali, inseriti in Banca dati centrale (Bdc) sin dal 1997, risultano essere 10.002.

12 Ha sortito un effetto per certi versi plasmante della disciplina, lo scandalo nella gestione dei beni confiscati che ha visto coinvolta l’ex Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e il “cerchio magico” che le ruotava attorno. Invero, alcuni degli interventi di riforma degli ultimi anni sono stati pensati, almeno teoricamente, per fronteggiare i limiti operativi della normativa che, soprattutto sul versante istituzionale, suddetta vicenda giudiziaria è stata capace di evidenziare.

13 Cfr. D.L. 14 giugno 1989, n. 230.

14 In origine, l’amministratore giudiziario si occupava della custodia, della conservazione e della gestione del bene non solo nella fase del sequestro – come accade oggi –, e ciò sotto la direzione del giudice delegato alla procedura, ma anche una volta che, con la confisca, il cespite entrava a far parte del patrimonio dello Stato, stavolta però sotto l’egida di un organo dell’Esecutivo (l’intendente di finanza, ai sensi dell’art. 4 del D.L. 14 giugno 1989, n. 230, poi divenuto l’Ufficio del territorio del Ministero delle finanze con la novella introdotta dall’art. 3 della L. 7 marzo 1996, n. 109). Solo dopo la nascita dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (A.N.B.S.C.) è stato conferito alla stessa il compito di amministrare prima del relativo provvedimento di destinazione, anche avvalendosi di un coadiutore che può, comunque, coincidere con lo stesso amministratore giudiziario, i beni sottoposti a confisca.

15 V. Cap. III.

16 Se in origine l’amministratore era scelto tra gli iscritti negli albi degli avvocati, dei procuratori legali, dei dottori commercialisti e dei ragionieri, la L. 7 marzo 1996, n. 109 ha aggravato le condizioni richiedendo, in aggiunta, una “comprovata competenza nell’amministrazione di beni del genere di quelli sequestrati”. Il D.L. 4 febbraio 2010, n. 4 ha previsto, infine, l’introduzione dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari.

17 L’art. 35 prevede un’ampia serie di cause di incompatibilità con la carica nel caso di sussistenza di rapporti familiari o di affinità, nonché di pregresse relazioni lavorative o professionali con il proposto.

18 In tal senso si muove la nuova formulazione dell’art. 35, co. 2 Codice Antimafia che, così come novellato dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, prevede che “con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dello sviluppo economico, sono individuati criteri di nomina degli amministratori giudiziari e dei coadiutori che tengano conto del numero degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre, con esclusione degli incarichi già in corso quale coadiutore, della natura monocratica o collegiale dell’incarico, della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori, della natura diretta o indiretta della gestione, dell’ubicazione dei beni sul territorio, delle pregresse esperienze professionali specifiche. Con lo stesso decreto sono altresì stabiliti i criteri per l’individuazione degli incarichi per i quali la particolare complessità dell’amministrazione o l’eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare determinano il divieto di cumulo”.

19 Cfr. art. 35, co. 4 bis del D. Lgs. n. 159/201 che è stato introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. a) del D. Lgs. n. 54/2018.

20 La disciplina oggi contenuta negli articoli 40 e 41 del D. Lgs. n. 159/2011 è il frutto dei numerosi interventi di riforma disposti dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dal D.L. 14 agosto 2013, n. 93 e, soprattutto ne delicato ambito della gestione delle aziende sequestrate, dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161.

21 Che la gestione delle aziende rappresenti l’ambito con maggiori criticità è un dato confermato anche dai numeri riportati nella relazione stilata dall’A.N.B.S.C. sull’attività svolta nell’anno 2019, ove si apprende che delle 1416 aziende per le quali negli anni per le quali si è portato a compimento il processo gestorio, ben 1338 sono state poste in liquidazione.

22 Si deve alla L. 17 ottobre 2017, n. 161, l’introduzione degli artt. 41 bis e 41 ter del D. Lgs. n. 159/2011.

23 Rimane consentita la vendita dei beni immobili di cui non sia stato possibile effettuare la destinazione o il trasferimento, ai sensi dell’art. 48, co. 4 del D. Lgs. n. 159/2011; inoltre, è prevista la possibilità di un utilizzo del bene immobile per finalità economiche da parte dell’Agenzia, previa autorizzazione del Ministro dell’interno, secondo l’art. 48, co. 3, lett. b) del D. Lgs. n. 159/2011.

24 Cfr. artt. 45 ss. del D. Lgs. n. 159/2011.

25 Cfr. art. 110 del D. Lgs. n. 159/2011.

26 In questa esatta direzione, ad esempio, già nel biennio 1999 – 2000, si muovevano le potestà attribuite all’ufficio del Commissario straordinario del Governo per la legislazione e la destinazione dei beni confiscati a organizzazioni criminali e che sono poi transitate in capo all’Agenzia; più di recente, inoltre, si è assistito alla previsione di tavoli tecnici (la L. 17 ottobre 2017, n. 161 ha introdotto l’art. 41 ter Codice Antimafia) e di nuclei di supporto (art. 112, co. 3 Codice Antimafia) presso le Prefetture.

27 Pur in presenza ancora di numerose problematicità gestionali che meritano soluzioni adeguate sul piano normativo e amministrativo, non si può sottovalutare come le performance dell’Agenzia siano cresciute dopo la prima fase di avviamento, come dimostrano i dati statistici relativi alle destinazioni per il periodo 2010-2020, quanto meno per i beni mobili e immobili.

28 Ai sensi dell’art. 35, comma 2-bis, l’amministratore giudiziario di aziende sequestrate è scelto tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari.

29 L’art. 35, comma 2 del D.Lgs. n. 159/2011 è stato riformulato dall’art. 36, co. 1 del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1° dicembre 2018, n. 132.

30 Ulteriori considerazioni sulla problematica afferente la nomina dell’amministratore giudiziario, soprattutto con riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 35, comma 2-ter, e 41-bis, comma 7, verranno svolte nell’ultimo paragrafo del capitolo III della presente relazione.

31 Art. 41, comma 1-sexies, Codice Antimafia: “Il tribunale esamina la relazione di cui al comma 1, depositata dall’amministratore giudiziario, in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 127 del codice di procedura penale con la partecipazione del pubblico ministero, dei difensori delle parti, dell’Agenzia e dell’amministratore giudiziario, che vengono sentiti se compaiono. Ove rilevi concrete prospettive di prosecuzione o di ripresa dell’attività dell’impresa, il tribunale approva il programma con decreto motivato e impartisce le direttive per la gestione dell’impresa”.

32 I rapporti tra l’A.G. e l’Agenzia, durante lo svolgimento del procedimento di prevenzione, sono stati più volte ridefiniti dalla normativa antimafia, a dimostrazione della difficoltà di conciliare, sul piano giuridico, le rispettive competenze alla stregua del principio di divisione dei poteri, che non tollera una semplicistica sovrapposizione di ruoli.

33 Il Decreto Legge è stato convertito con modificazioni dalla L. 1° dicembre 2018, n. 132.

34 A mente dell’art. 45 bis Codice Antimafia, “lAgenzia, ricevuta la comunicazione del provvedimento definitivo di confisca, qualora l’immobile risulti ancora occupato, con provvedimento revocabile in ogni momento, può differire l’esecuzione dello sgombero o dell’allontanamento nel caso previsto dall’articolo 40, comma 3-ter, ovvero qualora lo ritenga opportuno in vista dei provvedimenti di destinazione da adottare”.

35 Art. 47, co. 2 Codice Antimafia

36 Sebbene i nuclei di supporto fossero previsti già dall’originaria formulazione dall’art. 112, co. 4 Codice Antimafia, l’art. 2, co. 3 della L. 17 ottobre 2017, n. 161, nel riscrivere la predetta disposizione, non solo ha confermato la possibilità per l’Agenzia di avvalersi, nella fase di gestione dei beni confiscati, del sostegno delle Prefetture territorialmente competenti, presso le quali è istituito un apposito nucleo di supporto, ma, rispetto al passato, ha fornito ulteriori indicazioni circa la struttura di tale ultimo organismo, la cui composizione, nonché il relativo contingente di personale devono essere definiti con decreto del Ministero dell’Interno, nel rispetto dei “criteri di flessibilità e modularità che tengano conto anche della presenza significativa, nel territorio di riferimento, di beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. È inoltre previsto che “i prefetti, con il provvedimento di costituzione del nucleo di supporto, individuano, sulla base di linee guida adottate dal Consiglio direttivo dell’Agenzia, le altre amministrazioni, gli enti e le associazioni che partecipano alle attività del nucleo con propri rappresentanti”.

37 Art. 48, co. 3 Codice Antimafia

38 Art. 48, co. 3, lett. a) Codice Antimafia

39 Art. 48, co. 3, lett. b) Codice Antimafia. L’ampio margine di discrezionalità dell’Agenzia, in base al vigente assetto normativo, è riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 234 del 2012), che, però, individua, quale tendenziale criterio ispiratore delle scelte dell’autorità amministrativa, la restituzione dei beni confiscati alle collettività territoriali.

40 Art. 48, co. 3, lett. c) Codice Antimafia

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