venerdì, Aprile 19, 2024
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Mafia-Stato La trattativa continua ora

Così il 30 maggio dell’84 Di Maggio potette raggiungere Cattafi in cella a Bellinzona per un interrogatorio ancora top secret: i verbali furono infatti trattenuti dalle autorità elvetiche. Negli stessi mesi, Angelo Epaminonda riferì ai magistrati (tra cui ancora Francesco Di Maggio) che nel 1983 il Cattafi, per conto del clan Santapaola, gli aveva inutilmente proposto di gestire in società l’attività di cambio-assegni ai giocatori del casinò di St. Vincent. Il fatto tuttavia non fu ritenuto rilevante, e il barcellonese venne tenuto fuori dalle inchieste sulla penetrazione mafiosa a Milano.

Di Maggio e Cattafi si sarebbero incrociati pure nel corso delle indagini sull’efferato omicidio del Procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. Lo ha raccontato al Corriere della sera (8 giugno 1995), l’allora sostituto procuratore di Barcellona Olindo Canali, recentemente condannato in primo grado a due anni per falsa testimonianza commessa nel corso del processo contro le organizzazioni mafiose barcellonesi Mare Nostrum. “Fu Di Maggio ad arrestare Cattafi nell’85 per l’inchiesta sull’omicidio Caccia a Torino. Fu il giudice istruttore ad assolverlo, ma rimase dentro per un anno”. Cattafi, in verità, non venne arrestato a seguito dell’assassinio del magistrato, ma fu interrogato in carcere dai pubblici ministeri milanesi titolari dell’inchiesta. Anche Canali conosceva da lungo tempo Di Maggio. Con il magistrato barcellonese, egli aveva fatto un periodo di tirocinio da uditore a Milano. “Sempre Di Maggio, il cui padre era stato maresciallo dei Carabinieri a Pozzo di Gotto, m’informò, in generale, sulla situazione barcellonese prima di trasferirmi in Sicilia”, ha spiegato Canali.

Un oscuro passaggio sui rapporti tra Di Maggio e Cattafi fu riportato in quegli stessi anni in uno dei dossier anonimi fatti circolare ad arte per screditare la figura del giudice Antonio Di Pietro e finiti nelle mani del leader Psi Bettino Craxi, latitante ad Hammamet. “Cattafi -vi si legge- a Milano, dove aveva iniziato un’attività nel campo dei farmaceutici e sanitari, rivede e frequenta il giudice Francesco Di Maggio, che ha passato la sua giovinezza fra Milazzo e Barcellona, dove ha frequentato le scuole, compreso il liceo (il padre era appuntato dei carabinieri), e dove ha conosciuto Cattafi, di cui è coetaneo. Di Maggio introduce Cattafi nell’ambiente dei magistrati, dove pare Cattafi abbia conosciuto Di Pietro (allora sconosciuto) e la sua donna, poi divenuta sua moglie”. Quella su Di Pietro era una bufala, quella su Di Maggio una mezza verità. “Il giudice Di Maggio l’ho visto un paio di volte e sono stato anche inquisito e poi prosciolto per una vicenda relativa ad un conto corrente bancario con sede in Svizzera…”, ammetterà lo stesso Cattafi in un’intervista al settimanale Centonove a fine anni ‘90.

Qualche mese fa, il controverso avvocato barcellonese è stato arrestato perché ritenuto uno degli uomini di vertice delle organizzazioni mafiose siciliane. Da allora, ha riempito pagine e pagine di verbali fornendo in particolare tutt’altra versione sui suoi rapporti con il giudice Di Maggio. Al centro, ancora una volta, la trattativa Stato-mafia negli anni delle stragi e delle bombe in mezza Italia.

Il racconto di Cattafi parte da quando venne arrestato in Canton Ticino e fu sentito in carcere dal magistrato barcellonese. “I pm di Milano Di Maggio e Davigo emisero un mandato di cattura nel quale ero accusato, fra l’altro, di essere il cassiere della mafia”, ha raccontato il boss. “Il mandato fu notificato all’Autorità svizzera ed io fui arrestato il 17 maggio 1984. All’incirca nello stesso periodo, quando comunque già Di Maggio si stava convincendo della mia estraneità alla vicenda del sequestro Agrati, costui mi chiese se ero disposto a rilasciare dichiarazioni sul conto di Salvatore Cuscunà detto Turi Buatta, indicandolo come uomo di Santapaola. Ricordo che Epaminonda aveva fatto dichiarazioni contro il Cuscunà sostenendo che costui faceva parte della famiglia Santapaola e che lui stesso aveva venduto al Cuscunà alcuni chili di cocaina. Egli negava tutto ciò ed affermava che Epaminonda lo accusava per malanimo nei suoi confronti. A questo punto intervennero le mie dichiarazioni rese al pm Di Maggio ed io confermai le frequentazioni fra Angelo Epaminonda e Cuscunà…”.

Cattafi aggiunge che “negli anni ’89-’90”, dopo essere tornato in libertà, ricevette la visita in casa a Milano di un carabiniere che gli chiese di raggiungere la caserma di via Moscova dove lo attendeva per un colloquio Francesco Di Maggio. Giunto in caserma, Cattafi incontrò il giudice in compagnia del capitano dei carabinieri Morini. “Di Maggio mi comunicò che aveva ricevuto una nomina presso l’Alto commissariato antimafia. -ha raccontato- Sempre in quel frangente, Di Maggio mi disse: so che lei ha contatti con personaggi di vario genere, con imprenditori, se lei sa qualcosa sul riciclaggio di denaro, io sono qui. Non posso definirmi un informatore di Di Maggio ma semplicemente una persona che era entrata in buoni rapporti con costui e che dunque era disposta a fornirgli informazioni nel caso in cui ne fossi venuto a conoscenza. Io garantii la mia disponibilità ed il dottor Di Maggio mi disse: da me troverete sempre un amico”.

Cattafi afferma di non aver più rivisto il magistrato sino al maggio del ‘93: “Di Maggio si trovava a Messina, mandò un carabiniere nella casa di mia madre e mi fece sapere che mi aspettava al bar Doddis, ed è lì che lo incontrai. Mi disse che era stato nominato vicedirettore del Dap. C’erano state le stragi Falcone e Borsellino e da pochi giorni l’attentato a Maurizio Costanzo. Dobbiamo bloccarli questi porci, mi disse. Dobbiamo prendere la cosa in mano e portare avanti una trattativa, il concetto era quello, ma non so se usò questa parola”. Di Maggio aveva individuato un potenziale interlocutore, Benedetto Santapaola, al tempo latitante, ritenendolo un capomafia “più malleabile”. “Di Maggio mi chiese se, attraverso il boss Salvatore Cuscunà che avevo frequentato a Milano nell’Autoparco di via Salomone, potevo cercare un contatto con Santapaola, che non ho mai conosciuto, per tentare di aprire un dialogo -ha aggiunto Cattafi- dovevo contattare l’avvocato di Cuscunà promettendogli qualunque cosa, tutti i benefici possibili per il suo cliente, pur di riuscire a parlare con Santapaola per riuscire a trovare nuove strade per disinnescare la violenza di Cosa nostra. Mi parlò anche di dissociazione ma così…”.

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