mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Mori, il Sisde e quelle operazioni criminali

Nelle nuove carte riflet­tori puntati sul ruolo dell’ex capo del Ros negli anni ’70

Palermo. E’ lo spaccato di uno Stato-criminale quello che emerge dalle pri­me indiscrezioni relative all’attività in­tegrativa di indagine della Procura di Palermo che verrà depositata al proces­so sulla trattativa Stato-mafia. I faldoni sono stati trasmessi anche alla Procura generale che rappresenta l’accusa al processo d’appello in cui Mori è impu­tato di favoreggiamento aggravato alla mafia.

Il periodo del Sid

Questo materiale racchiude una parte dell’attività di indagine sulla permanenza dell’ex capo del Ros Mario Mori al Sid (Servizio Informazioni difesa, ex Sismi, attuale Aise, ndr) nei primi anni ’70. In quel periodo Mori è un giovanissimo uffi­ciale dei Carabinieri (da 3 anni era nell’Arma) che comanda una tenenza.

Nel 1973 viene chiamato al Sid da un ex ufficiale dei Carabinieri al Servizio In­formazione Difesa, Federico Marzollo, all’epoca la persona più vicina all’ex di­rettore del Sid Vito Miceli (uomo di Licio Gelli.

La struttura parallela

Miceli predispose la struttura parallela del Sid finalizzata ad organizzare un col­po di Stato tra il ’73 e il ’74 chiamata la Rosa dei Venti, ndr).

Marzollo quindi por­ta Mori al Sid nel ’73, lo sponsorizza e lo avvicina a Vito Miceli. Tra l’altro lo stes­so Marzollo era stato allievo ufficiale del padre di Mori.

A cavallo tra la fine del ’74 e l’inizio del ’75 succede qualcosa di strano.

Negli atti acquisiti dalla Procura dagli archivi dell’Aise (il servizio segreto per la sicurezza esterna) risulta in particolare che negli anni di permanenza al Sid Mori ha svolto funzioni operative con tanto di nome e documenti di copertura, riportan­do anche degli encomi importanti nel cor­so del ’73 e del ’74 per determinate opera­zioni. Mori si è occupato nello specifico di “contatti” con i terroristi neri.

Il contesto

A questo punto occorre inquadrare ulte­riormente il contesto.

Nel dicembre del ’74 il giudice istruttore di Padova, Gio­vanni Tamburino (fino a un mese fa a capo del Dap, ndr), che sta indagando sul­la Rosa dei venti (con tanto di richiesta d’arresto per l’ex capo del Sid Vito Mice­li), manda al Sid una richiesta urgente con la quale chiede che sia trasmessa dall’Autorità Giudiziaria di Padova un’immagine fotografica di Mario Mori. Il giudice Tamburino non specifica altro.

La cacciata di Mori

Come è noto la Rosa dei venti è un’indagine condotta dalla magistratura di Padova sull’organizzazione segreta mo­dello “Gladio” che operava soprattutto nel nord est, faceva riferimento, tra gli altri, all’ex generale Amos Spiazzi, e aveva come obiettivo quello di reiterare il pro­getto del “Piano Solo” del generale Gio­vanni De Lorenzo: una sorta di colpo di Stato militare che ci sarebbe dovuto esse­re tra il ’73 e il ’74. Tamburino chiede quindi la fototessera di Mori nel dicembre ’74. Per quale motivo?

Non bisogna scordare che nell’ottobre di quello stesso anno il giudice Tamburino aveva fatto arrestare per l’indagine sulla Rosa dei venti Vito Miceli. Successiva­mente era stato arrestato anche Amos Spiazzi. Il 4 gennaio del ’75 l’ex generale Gianadelio Maletti (ex numero due del Sid rimasto al Servizio in seguito all’arre­sto di Miceli) scrive di suo pugno un ap­punto in cui chiede al direttore del Servi­zio facente funzioni, l’ammiraglio Mario Casardi (che poi diventerà direttore a tutti gli effetti), di allontanare Mario Mori dal Servizio “nel più breve tempo possibile”.

Il 9 gennaio Casardi emette un provve­dimento in cui dispone l’allonta­namento di Mario Mori dal Servizio con effetto im­mediato aggiungendo alla ri­chiesta di Ma­letti un’ulteriore direttiva. Non soltanto Mori deve essere cacciato via dal Servi­zio, ma deve essere urgente­mente allonta­nato dal territorio della città di Roma.

Perché mai Mori viene mandato via da Roma in quel modo?

Agli inizi del 1978 Mario Mori viene quindi restituito all’Arma di appartenenza per poi essere inviato a comandare il nu­cleo radiomobile di Napoli. In quello stes­so anno il Comando generale dei Carabi­nieri scrive al Sid chiedendo se vi siano motivi ostativi al trasferimento di Mori a Roma. A tutti gli effetti si tratta di una sorprendente anomalia in quanto Mori, dopo essere stato cacciato con tanto di ab­bassamento delle note caratteristiche, non ha più alcun tipo di rapporto con il Sid.

Anni di fuoco

Il dato ancora più sconcertante è la ri­sposta del Sid. Siamo nel gennaio del ’78, nella replica si legge che “come da dispo­sizioni impartite” c’è il divieto di trasferi­re Mori a Roma “fino alla fine della cele­brazione del processo Borghese”. Per quale ragione viene sottolineata questa specifica indicazione? Bisogna mettere insieme altri pezzi di questo mo­saico.

Il giudice Tamburino che stava condu­cendo l’indagine sulla Rosa dei venti a un certo punto si vede richiesti gli atti dal­la procura di Roma. La tesi dei magistrati romani è molto semplice: siccome stiamo indagando sul Golpe Borghese, anche se non sono gli stessi soggetti, si tratta sem­pre di un colpo di Stato organizzato dai militari e quindi c’è connessione. Il pm che indagava sul Golpe Bor­ghese era un uomo fedelissimo di Giulio Andreotti: Claudio Vitalone.

L’indagine tolta al magistrato

Di fatto Tamburino resiste fino al di­cembre del ’74, poi però la procura di Roma si appel­la alla Cassazione e vince. Tutta l’indagi­ne sulla Rosa dei venti viene quindi tolta a Tamburino per essere man­data a Roma così da essere unificata a quella sul Golpe Borghese.

Evidentemente il Sid scrive di non man­dare Mori a Roma “fino alla fine del pro­cesso Borghese” fino a quando è in corso il procedimento che vede tra gli im­putati anche Vito Miceli. Ma restano intat­ti gli interrogativi su quella disposizione del Sid. E’ un dato di fatto che nel giro di un paio di mesi la triade Miceli, Marzollo e Mori viene cacciata dai Servizi.

I magi­strati del pool stanno lavorando per com­prendere in special modo i motivi dell’allontanamento di Mori. Incrociando i dati e analizzando le carte si cercheranno i possibili collegamenti tra Mori, Rosa dei venti e processo sul Golpe Borghese, fino ad arrivare al biennio stragista ‘92/’93.

Molti dei principali protagonisti sono morti. E quelli in vita sono consapevoli dei contraccolpi che subirebbero da parte del Sistema nel caso di loro “rivelazioni” e preferiscono tacere.

In nome della “sicurezza”

La cacciata di Mori potrebbe rappresen­tare una sorta di “puni­zione” per aver agi­to troppo spregiudica­tamente? O c’è dell’altro? Fino a che pun­to quegli stessi apparati che hanno armato la mano di Cosa Nostra, dei terroristi o di chiunque altro (per de­stabilizzare il nostro Paese attraverso le stragi), hanno utilizza­to lo stesso Mori per quelle azioni crimi­nali nel nome della “si­curezza nazionale” o per una “ragion di Stato”?

Un pensiero su “Mori, il Sisde e quelle operazioni criminali

  • Il futuro generale dei CC Federico Marzollo comandava nel 1961 la stazione di Carabinieri di Merano (BZ). Era famigerato per le torture inflitte ai prigionieri negli anni degli attentati in Alto Adige. Diversi prigionieri sono morti sotto tortura. In un processo farsa a Firenze è stato assolto, “perchè i prigionieri si sono autoprocurate le ferite e le menomazioni”.

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