venerdì, Aprile 26, 2024
-mensile-Giornalismo

Tv libere addio, bavaglio su Telejato

Telejato, piccola“roc­caforte” dell’informa­zione libera, trasmette da Partinico, a due passi da Palermo, epi­centro di uno dei terri­tori a più alta densità mafiosa. Direttore del­la “più piccola televi­sione del mondo, con il telegiornale più lun­go del mondo” è Pino Maniaci, un omino con un paio di baffoni e con una telecamera or­mai parte integrante del suo essere

Come ogni televisione comunitaria ha dei limiti: tre minuti di pubblicità all’ora e l’ obbligo di realizzare il 60% di auto­produzione al giorno.

«Significa, dice Maniaci, che una tele­visione comunitaria è quella che cavalca il territorio. Telejato è sempre sul posto: noi arriviamo prima della Polizia. Met­tiamo in onda i consigli comunali. Siamo diventati un’istituzione per i Comuni: le amministrazioni prima di firmare una de­libera ci chiamano: “possiamo firmarla?”. Perché sanno che se eventual­mente c’è un’illegalità gli facciamo il culo quanto una casa. Finisce che quello che trasmette Telejato diventa “materia­le” per le agenzie nazionali».

Ma c’è di più, continua Pino: «Quando mi mandano le lettere anonime, non quelle di minacce, ma quelle per denun­ciare anonimamente come si riformano le cosche mafiose a Partinico, il maggio­re dei Carabinieri mi dice: “Ma scusi perché le mandano a lei e non a noi?”. Ed io gli rispondo: “Perché si vede che non c’hanno fiducia, visto che qua c’è scritto che c’è coinvolto un carabiniere e un finanziere”». Pino ride. «Se perdiamo la leggerezza siamo rovinati, è la nostra unica forza».

Un attimo dopo è già se­rio: «Siamo noi che facciamo l’informa­zione vera. Quel­la che sta sul territorio, il giornalismo di strada. Noi per dieci anni abbiamo dato il culo e non ci siamo fer­mati davanti nes­suna intimidazione ma­fiosa, l’ultima let­tera non minacciava me, ma la mia fami­glia».

In certi territori rimanere isolati signif­ica rischiare la pel­le. Semplicemen­te, senza giri di parole.

Pino ha un motto che ripete giornal­mente ai suoi ragazzi: «Ho preso come punto di riferimento un signore che si chiama Pippo Fava, il suo modo di inten­dere il giornalismo dalla schiena dritta: una buona informazione incide, diventa determinante per un territorio. Può cam­biare le cose».

Di tutto questo pare che lo stato possa fare a meno. Lì dove non è riuscita la mafia, è bastata una leggina del governo Berlusconi per rendere imminente la chiusura di questa e di tante altre voci li­bere.

Il 30 giugno, con il cosiddetto “switch off” le televisioni comunitarie (circa 250 in tutta Italia) verranno abolite. Lo ho de­ciso la legge di Stabilità del 2011, ma non se n’è accorto nessuno, neanche dall’opposizione. La loro lunghezza d’onda è stata venduta alle reti di telefo­nia mobile.

Il ministero dello Sviluppo Economico ha disposto il pagamento per tutte le lun­ghezze d’onda del digitale ter­restre, ec­cetto che per le tre reti RAI, per La 7, per Sky. Questo “dono” è stato chiamato “beauty contest”, ma è difficile capire in che cosa consista il concorso di bellezza: non certo nella scadente qualità di quello che queste emittenti trasmetto­no.

Di fatto, Berlusconi ha cercato di fare l’ennesimo regalo alle sue emittenti estendendolo, per racimolare consenso, a quelle che attualmente trasmettono su tutto il territorio nazionale, bloccando anche la possibile nascita di altre televi­sioni concorrenti. Scelta che priva lo sta­to di un introito valutato circa due miliar­di di euro.

Il ministro Passera – che ha scoperto il problema probabilmente an­che grazie a Telejato, che ha sollevato il caso con una petizione corredata da tre­mila firme – ha recentemente dichiara­to che il beauty contest sarà annullato e che le emittenti Mediaset, Sky e La 7 dovran­no gareggia­re alla pari di altre. Una deci­sione degna di un Paese norma­le. Avver­rebbe in Italia quel che accade in tutta Europa.

Su questa faccenda si gioca la soprav­vivenza del governo Monti: Alfano diser­ta una riunione di maggioranza, Berlusca annulla un pranzo con Monti. Tutti se­gnali chiari.Se il provvedimento dovesse arrivare in Parlamento, i berluscones non molleranno: in fondo perché dare allo stato una somma di denaro che potrebbe finire nelle loro tasche? Sulla RAI, la questione è aperta: lasciarla in mano ai partiti che determinano la qualità dell’informazione, o privatizzarla?

Per­tanto la sopravvivenza di Telejato e di tutte le televisioni comunitarie verrà de­cisa in questi giorni. Una prima propo­sta sarebbe quella di consentire l’esisten­za di alcune delle pic­cole emittenti, auto­rizzate a trasmettere come “fornitori di con­tenuti”.

Questa denominazione solleva qualche perplessità: di quali contenuti si parla? Forse di quelli culturali, di quelli giorna­listici, o dell’acqua che è il contenuto di un bicchiere pieno? Ad ogni modo è sta­ta inoltrata la domanda con relativa do­cumentazione, costata 250 euro.

Intanto il Pd aveva promesso di fare un emendamento con la proposta di asse­gnare alle televisioni comunitarie il 30% delle frequenze assegnate alle televisioni locali, ma la cosa sembra essersi arenata sulle secche della dimenticanza.

L’altra possibilità è quella di diventare “operatori di rete” sulla base di una con­cessione comprata attraverso la parteci­pazione alle graduatorie regionali per l’assegnazione. Ogni rete avrà a disposi­zione cinque bande su cui poter trasmet­tere, magari concedendone qualcuna a pagamento a qualche piccola televisione rimasta fuori dall’asta.

Quali sono i para­metri per entrare in queste graduatorie? Numero dei dipen­denti, proprietà immo­bili, situazione pa­trimoniale. Il tutto ge­nera un paradosso: una tele­visione comu­nitaria, che è al servizio di un’associazio­ne culturale o religiosa, è “onlus”, quin­di non può avere un fattura­to, per legge può gestire solo collabora­zioni gratuite e volontarie. Ingegnosa­mente si è allora pensato di costituire un “bouquet”, ovve­ro una rete di emittenti che consenta di coprire vaste zone del territorio regiona­le.

Ci sono contatti con TRM e con Tele­Sciacca, per la costituzione di questo consorzio, ma Pino Maniaci è preoccu­pato: «Abbiamo partecipato ad un con­sorzio di emittenti, ci siamo uniti ad al­tre televisioni, così da raggiungere i para­metri richiesti per l’assegnazione della frequenza. Ma ce la bocceranno. Il punto è che siamo un ibrido: televisioni com­merciali e comunitarie. Non andrà bene».

Anche questa domanda è stata già inol­trata, ed è costata 1.800 euro.

«Ad oggi, dice Pino, per la legge così com’è dovremmo essere fuori, abbiamo incrociato le dita in attesa della risposta del Ministero, che dovrebbe arrivare per metà maggio. Se non passiamo, violerò la legge, perché quella è una legge anti­costituzionale ed iniqua. Accederò lo stesso al digitale, e il paradosso sarà che mi dovranno spegnere i microfoni quegli stessi carabinieri che mi danno protezio­ne. Io vado avanti perché devo tutelare quella che è la vita della mia famiglia: finché avrò un microfono nella mani e i riflettori accesi. Spegnere Telejato signi­fica lasciarci in balia della mafia».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *