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Una giornata in Cile

Le ragazze di Santiago contro l’eredità di Pinochet

Santiago, Avenida O’Higgins, 25 luglio. Il corteo avanza lento nella sera fredda dell’inverno australe. C’è tanta gente, ragazze sole, famiglie, giovani e tanti ragazzini, le sigle più diverse, non si vede la fine né l’inizio del corteo. Da quanto tempo non partecipo in Italia a una manifestazione così imponente? Forse dal 2012, le manifestazioni dell’onda studentesca a Roma. Sei anni senza movimenti in Italia, sei anni tranquilli per il potere.

Qui le scarpe glissano sull’asfalto, c’è qualcosa che fa scivolare, forse una vernice. Fa freddo ma si balla, sulle tettoie delle fermate dei bus le ragazze danzano e agitano i fazzoletti verdi. È il simbolo della manifestazione, un pezzo di tessuto verde con scritto “Aborto libre y gratuito”.  Una mamma con tre bambine spinge un passeggino con un cartello. Adolescenti seminude si baciano in mezzo al corteo.

Il governo Bachelet, socialista, introdusse la possibilità di aborto con tre causali; la hola femminista chiede di allargarle oltre il rischio di morte per madre o figlio e violenza sulla donna. Il governo Pinera, di destra, resiste ma in parlamento c’è dibattito, alimentato dai giovani deputati di Revolución Democrática. Sono i leader del movimento studentesco del 2006, Revolución pingüina, che movimentò il paese per l’istruzione pubblica e gratuita.

Il ragazzo di fianco a me, arrivati alla Moneda, mi racconta che cosa è successo l’11 settembre 1973, con gli elicotteri attorno al palazzo e la morte di Allende. Ho visto i video decine di volte, lui – come me – non era ancora nato e ha visto gli stessi video, quando lo racconta però sembra che fosse lì.  Mi raccomanda di andare a vedere il museo della memoria, è importante dice.

Mi guardo intorno, sembra che non ci sia molta polizia. La ragazza di fianco a me, discendente dei Mapuches, dice che i carabineros sono violenti. E che i cileni hanno paura, che la memoria del golpe è ancora viva, che è ancora un limite che non si può superare. È un pensiero sempre presente: il popolo è impaurito e diviso, dice, non unito come in Argentina.

Ora i tamburi si sono fermati, suonano le sirene della polizia. La ragazza mi spiega perché scivolavo: gli antiabortisti hanno rovesciato sull’asfalto vernice rossa e interiora animali, perché “l’aborto è un omicidio”. Non è l’unico atto violento della giornata. Alla fine della manifestazione, vicino alla metro Repubblica, tre donne sono state accoltellate da incappucciati. I giornali, il giorno dopo, non vi hanno dato rilievo ma la notizia, rilanciata su twitter, è arrivata alla stampa internazionale. “Qui la stampa filtra, molte cose del  mio paese le ho scoperte solo andando all’estero”, fa la ragazza del corteo.

Qui è tutto privato, pompieri e informazione, parchi nazionali e servizi pubblici. Stato debole, privato forte, è ancora l’eredità di Pinochet. La sua “Costituzione”, del 1980, del resto qui vige ancora.

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