venerdì, Aprile 26, 2024
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Una capitale di Cosa Nostra

“Al centro del crocevia fra cosche e affari…”

“Rosario Pio Cattafi è inserito a pieno titolo, in una posizione di preminenza rispetto a quello dei singoli affiliati, in alcune organizzazioni criminali di tipo mafioso, quali la famiglia di Benedetto Santapaola e la famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto”. Il 21 luglio del 2000, il Tribunale di Messina delineava il profilo criminale di quello che da lì a poco sarebbe divenuto l’ideatore-tessitore del grande affaire del parco commerciale del Longano. Una “persona socialmente pericolosa”, contro cui veniva decretata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona, per la durata di cinque anni. “Numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano Angelo Epaminonda e Maurizio Avola hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca Santapaola, le famiglie Carollo, Fidanzati, Ciulla e Bono”, aggiungevano i giudici peloritani.
Sei anni più tardi i membri della commissione prefettizia inviata per indagare sulle infiltrazioni mafiose al Comune, avrebbero descritto il Cattafi come “una delle figure più emblematiche mediante il quale la città di Barcellona diventa il crocevia, snodo nevralgico e luogo di convergenza ove si intersecano gli interessi della mafia catanese e palermitana, intrecciandosi con imponenti operazioni finanziarie e di illeciti traffici che portano fino alla lontana Milano”.
Da giovanissimo aveva militato nelle file della destra eversiva “rendendosi protagonista nell’ambiente universitario messinese di alcuni pestaggi (unitamente al mistrettese Pietro Rampulla, l’esperto artificiere della strage di Capaci), risse aggravate, danneggiamento, detenzione illegale di armi”. Sono gli anni in cui nell’Ateneo di Messina si strine l’inedita alleanza tra neofascisti, ‘ndrangheta, massoneria deviata e misteriose organizzazioni paramilitari: “l’Italia come Il Portogallo di Salazar, la Spagna di Franco e la Grecia dei colonnelli” è la parola d’ordine. Tra i protagonisti dei raid nelle aule accademiche e alla casa dello Studente spiccano alcuni militanti di Ordine Nuovo, “movimento culturale” che a Messina era ospitato nella sede del Msi-Dn. Vicereggente provinciale del Fuan, l’organizzazione universitaria del partito di Almirante, era al tempo Rosario Cattafi. “Questo personaggio ha origini ordinoviste”, spiegò nel 1995 l’allora Procuratore della Repubblica di Firenze Pierluigi Vigna ai membri della Commissione Parlamentare Antimafia presieduta dall’onorevole Parenti. Ancora più netti i militari del G.I.C.O. della Guardia di finanza di Firenze. “Prima di far parte di Cosa Nostra, al tempo in cui frequentava l’Università di Messina, Cattafi era un terrorista”, scrissero un anno più tardi in una loro informativa su un presunto traffico di armi a livello internazionale.
Lasciata Messina per la Lombardia, nella seconda metà degli anni ’70, Cattafi fu sospettato di essere stato uno dei capi di una presunta associazione operante a Milano, responsabile del sequestro, nel gennaio 1975, dell’imprenditore Giuseppe Agrati, rilasciato dopo il pagamento di un riscatto miliardario. All’organizzazione fu anche contestata la compartecipazione nei traffici di stupefacenti e nella gestione delle case da gioco per conto delle “famiglie” mafiose siciliane.
Nei primi anni ’80, il barcellonese si sarebbe attivato in vista del trasferimento di una partita di cannoni “Oerlikon” a favore dell’emirato di Abu Dhabi. I documenti sulla transazione di materiale bellico furono scoperti nel corso di un’inchiesta della procura meneghina interessata a verificare se dietro un suo viaggio a Saint Raffael c’era l’obiettivo di “stipulare per conto della famiglia Santapaola un accordo con i Greco per la distribuzione internazionale di stupefacenti”. Le indagini consentirono di accertare che il Cattafi aveva avuto accesso a numerosi e cospicui conti correnti in Svizzera e che lo stesso aveva tenuto “non meglio chiariti” rapporti con presunti appartenenti ai servizi segreti.
Nell’agosto del 1993 fu indicato in una nota della Squadra Mobile di Messina quale fornitore di materiale esplodente e di armi ai sicari della cosca barcellonese ed “uno dei maggiori esponenti del clan”. L’1 settembre dello stesso anno la sua abitazione fu oggetto di perquisizione su decreto emesso dalla Procura di Messina nell’ambito di un procedimento penale per traffico internazionale di armi e materiale bellico, associazione per delinquere, truffa e corruzione, nel quale egli risultava coindagato unitamente al re dei casinò delle Antille olandesi Saro Spadaro e al mediatore italo-peruviano Filippo Battaglia. Il procedimento fu avocato dalla Procura di Catania che rinviò a giudizio il solo Battaglia (poi assolto). Rosario Cattafi fu invece tratto in arresto il 9 ottobre 1993 in esecuzione di un ordine di cattura emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nell’ambito dell’operazione relativa all’autoparco della mafia di via Salomone a Milano. Dopo una pesante condanna in primo grado a 11 anni e 8 mesi per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (4 anni furono scontati nel carcere di Opera), la sentenza fu annullata per un vizio procedurale. Rifatto il processo, Cattafi venne assolto perché in sede dibattimentale furono dichiarate inutilizzabili le intercettazioni ambientali che avevano documentato le sue frequentazioni dell’autoparco. In una delle intercettazioni, il 16 settembre 1992, Cattafi si vantava di avere avuto modo in qualche modo di assistere ad un importantissimo summit mafioso, tenutosi in una località, forse Erice, “durante la quale venne deliberato un patto chiamato accordo delle cinque monete”. “Sembra che non ci possono essere dubbi che il Cattafi voglia riferirsi a quanto raccontato a suo tempo anche a Franco Carlo Mariani e cioè di aver assistito ad un convegno a cui avevano partecipato gli esponenti di cinque mafie mondiali”, spiegano gli uomini del G.I.C.O..

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