martedì, Dicembre 10, 2024
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Salvate il soldato B

Salvate il soldato B! Il percorso prevede anche che non si parli della sua condanna e men che mai dei gravi reati commessi. Si deve invece parlare (a vanvera: per distogliere l’attenzione dal punto essenziale: la sentenza è giusta o no?) di “toghe rosse”. Un ritornello logoro, ma ogni botte dà il vino che ha. In ogni caso, una furbata.

Perché nell’arco degli ultimi vent’anni le contestazioni del Cavaliere hanno colpito l’intero ordine giudiziario, e perciò uno spettro assai ampio nel quale sfuma e diventa impercettibile l’eventuale diverso colore delle toghe (quale che sia, perché – se vogliamo – ci sono anche le toghe “azzurre”…). All’inizio della storia , è vero, ad essere oggetto di attacchi apodittici erano solo alcuni procuratori. Ma poi, man mano che i processi si sviluppavano, sono finiti nel mirino anche i magistrati giudicanti tutte le volte che hanno deluso certe aspettative. Fino al vertice della giustizia ordinaria, le Sezioni unite della Cassazione, “colpevoli” di non aver applicato la “legge Cirami” come si pretendeva. Persino l’empireo della Corte costituzionale è finito sotto i colpi delle contestazioni basate sulla pretesa “politicizzazione” dei magistrati. E’ evidente allora che il problema non è costituito da singole toghe, sfumature cromatiche incluse. L’attacco è a geometria variabile, nel senso che può subirlo qualunque magistrato – pubblico ministero o giudice, quale che sia la città o l’ufficio in cui opera – che abbia la “sfortuna” di imbattersi in vicende “scomode”. In sostanza, giustizia giusta sembra essere – per il Cavaliere – solo quella che gli conviene. Ma ragionando in questo modo si rischia di sovvertire le regole fondamentali del nostro ordinamento. E non è cosa bella.

Nella logica berlusconiana, poi, “toghe rosse” è sinonimo di “Magistratura democratica”, monstrum eletto a paradigma di un sistema giudiziario malato in quanto “politicizzato”. In verità fino agli anni Sessanta (non qualche era geologica fa!) la magistratura – secondo la definizione di Luigi Ferrajoli – costituiva “un corpo burocratico chiuso, cementato da una rigida ideologia di ceto”, collocato in tutto e per tutto “nell’orbita del potere”. Mai vista, onestamente, una magistratura più “politicizzata” di quella. Eppure, allora i giudici erano tutti bravi e belli, perché non davano fastidio al “potere”. Ma quando i giudici – con il contributo trainante e decisivo, pur con tutti i suoi limiti e difetti, di Magistratura democratica – han cominciato ad assumere un ruolo di attenzione agli interessi di tutte le componenti sociali (anche quelle prima penalizzate), quando han dato segni di indipendenza rispetto al blocco dominante, pretendendo – o scandalo! – di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi “forti” prima mai neppure sfiorati, ecco scattare le accuse di politicizzazione delle quali Berlusconi ( il “nuovo” potente beneficiato da Tangentopoli) è indiscusso campione e primatista. Basta rifletterci un poco, e si vedrà subito che c’è qualcosa (propaganda a parte) che proprio… non quadra

 

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