giovedì, Aprile 25, 2024
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Emilio Di Giovine, boss fra le donne

Un eroe dei nostri tem­pi…

Nel parco di Pioltello, in provincia di Milano, tra banchetti e umidità, c’è una donna che parla seduta davanti a una pic­cola platea. Capelli corti e occhiali da vi­sta. Lo sfon­do è un festival sull’anti­mafia, il pri­mo da queste parti, che ha per oggetto principale la ‘ndrangheta al nord.

È straordinario pensare a quante cose si possono apprendere stando per qual­che ora sullo stesso posto. Da una parte si par­la di pizzo, ti sposti di qualche me­tro e si parla di gioco d’azzardo, vai lì e parlano di beni confiscati. Poi però ti devi sedere da qualche parte. La donna con i capelli corti e gli occhiali si chiama Ombretta Ingrascì e sta presentando il suo secondo libro, Confessioni di un pa­dre. Il padre in que­stione è Emilio Di Giovine, boss del clan Serraino-Di Gio­vine collaboratore di giu­stizia dal 2003. Per circa tre anni, due o tre volte all’anno, dal 2008 al 2011, Ombretta ha incontrato Di Giovine e da questi in­contri è nata in seguito l’idea del libro. Si tratta di una vera e propria confessione di Emilio alla figlia.

L’azione del clan Serraino-Di Giovine si è concentrata prevalentemente in Lombar­dia, a partire dagli anni ’60.

Maria Serraino, madre di Emilio, prove­niva da una famiglia molto impor­tante nell’ambiente ‘ndranghetista. Si spo­sò con Rosario Di Giovine, trafficante di si­garette e a Milano, dove si erano trasferi­ti nei pri­mi anni ’60, iniziò la parabola della fami­glia Serraino-Di Giovine. Ma­ria diventa in poco tempo la capa del clan, una vera e propria cosca che fa del­la ricet­tazione e del traffico di droga, specialmen­te eroina, i pilastri di un’eco­nomia virtuo­sa.

I capitali accumulati vengono poi reinvestiti nel traffico di armi, sempre a Milano.

È interessante notare come una donna possa aver avuto così tanto peso all’inter­no di un’organizzazione di questo tipo, di­ciamo, di “stampo maschile”. Basti osser­vare il ruolo della “femmina” nei tan­ti esempi di realtà mafiose in generale o nei film di mafia.

Una madre-comandante insomma, una figura che ha inciso particolarmente nella vita del proprio figlio Emilio, altra figura certo non priva di fascino, protagonista del libro di Ombretta. Emilio, infatti, attraver­so il suo carisma, la sua competen­za e, specialmente, i suoi contatti all’este­ro, svolgerà un ruolo decisivo per le sorti del­la seconda guerra di ‘ndran­gheta (1985-1991), rifornendo di armi la famiglia giù in Calabria. Di Giovine, bi­sogna dirlo, è un boss che tecnicamente non si è mai af­filiato all’organizzazione, perché lui non ha mai voluto dipendere da nessuno. Emi­lio, infatti, non è mai stato “iniziato”.

La sua vita è fatta di lusso, belle don­ne, viaggi, ville sfarzose in diverse città d’Europa, tanti vizi insomma che, a ca­vallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, rappre­sentavano i guadagni di un’attività in­tensa. Il traffico di droga misto a quello delle armi ha fatto sì che il clan Serraino-Di Giovine si affermasse con prepotenza nell’ambiente milanese ed Emilio pote­va contare su una fitta rete di contatti in paesi come Marocco, Inghilterra, Olan­da, Spa­gna e, ovviamente, Colombia.

Di Giovine ad ogni modo vuole essere uno indipendente. A lui le regole non piac­ciono, preferisce vivere la sua vita da uomo libero. Libero di amare tante don­ne, libero di spendere i suoi soldi in costosissi­me cene a base di aragoste e champagne, protagonista pure di un’eva­sione. Un boss sui generis, lontano dalla figura del tipico boss che l’immaginario collettivo ha con­tribuito a costruire.

D’altronde Emilio lo aveva detto ad un cronista: «Ma chi me lo fa fare? I mafiosi fanno una vita pazzesca, piena di regole: e non fare questo, e non fare quello. Io sono una testa matta, un avventuriero».

A que­sto proposito Ombretta, ad un certo punto, si ferma a riflettere su una parte­ del testo, quella cioè in cui il protagoni­sta parla del­la sua infanzia. Il piccolo Di Giovine, un giorno, assistette ad una con­tesa e lo zio gli chiese chi fu a provocar­la; così Emilio disse subito chi era stato il responsabile, ma lo zio lo punì imme­diatamente colpen­dolo con uno schiaffo e raccomandandogli che la prossima vol­ta avrebbe fatto meglio a pensarci su due volte, prima di “parlare”. valore dell’omertà.

Il piccolo Emilio è poi cresciuto, ha messo in piedi un suo impero e ha anche avuto dei figli. Dopo l’arresto e dopo set­te anni di 41/bis, tutto “si è sciolto come neve al sole” ed è arrivata la scelta di col­laborare con la giustizia. Sicuramente c’è convenienza in questa decisione, manco a dirlo, ma vi è anche un elemen­to di svolta che è rappresentato da una donna. Sì, una donna.

D’altronde si era già parlato della partico­lare posizione di Maria Serraino nel­la vita di Emilio, ma in questo caso par­liamo di una donna molto più piccola, e cioè del­la figlia dello stesso Emilio. La fi­glia che non è riuscito a conoscere, la stes­sa a cui è rivolta questa confessione. “I giovani si devono rendere conto”, dice Emilio.

La parabola della famiglia Serraino-Di Giovine terminerà a metà degli anni ’90, con le operazioni condotte dalla polizia Belgio 1, Belgio 2, Belgio 3 e la stessa Maria Serraino verrà condannata all’erga­stolo.

Questo boss, che non faccio fatica ad immaginare seduto sul sedile di una fuori­serie a fianco di una donna bella e ingio­iellata, è ora un pentito, uno che ha parla­to, un traditore. In passato ha avuto tutto quello che voleva, soldi e potere, eppure “puoi avere tutto, ma alla fine re­sti solo”.

La storia di questa famiglia, di queste persone è anche la storia di una città e di un Paese. Storie di droga, armi e de­litti, ma anche storie di uomini e di don­ne. Le seconde, in questo caso, hanno preval­so.

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