martedì, Dicembre 10, 2024
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Morire per Catania

Può una facoltà universitaria ospitare la presentazione di un libro che ancora oggi – dopo trent’anni – nega la matrice mafiosa del delitto di uno dei più grandi intellettuali anti mafiosi del nostro tempo come Giuseppe Fava?

A Catania è successo: una facoltà ha concesso i suoi locali per la presentazione del libro di Tino Vittorio, “La mafia di carta”, in cui, sul fondatore de “I Siciliani”, si legge: “L’omicidio di Fava. Non c’entra la mafia. Donne, gioco per quel che ne posso intuire. La mafia non fa sgrusciu, non fa rumore. Se bisogna ammazzare qualcuno, tra pistola e corda, si opta per la corda”.

Dunque, a distanza di tre decenni, Giuseppe Fava – unico giornalista degli anni Ottanta a spiegare i legami fra Santapaola, i Cavalieri del lavoro, Andreotti, Sindona, Gelli e compagnia bella – sarebbe morto per una questione di corna o di carte. Ma questo, beninteso, mica lo afferma l’autore. Nooooo. Lo dichiara un mafioso di cui addirittura l’autore nel libro non rivela le generalità. Dunque un mafioso anonimo.

Per quanto mi riguarda, penso che una facoltà universitaria, luogo del sapere per eccellenza, prima di concedere i propri locali per la presentazione di un libro, debba conoscerne i contenuti, stabilire se questi contribuiscano alla formazione e all’educazione di un giovane (che, proprio perché giovane, non sempre possiede gli strumenti per comprendere la storia a trecentosessanta gradi), e poi decidere.

Se il volume non risponde a determinati requisiti, la stessa Università avrebbe due possibilità: o negare le proprie aule a libri del genere (con il rischio di essere ritenuta antidemocratica da una frangia di persone), oppure concederli ma a patto che si crei un adeguato contraddittorio con un personaggio (non deciso dall’autore, ma dalla stessa Università) che conosca approfonditamente l’argomento, non tramite i mafiosi “anonimi”, ma le carte giudiziarie, e che quindi sia in grado di spiegare agli studenti:

1) che avvalersi di un “anonimo” per accusare una persona – specie se ha perso la vita per fare la lotta alla mafia – è cosa quanto mai grave e scorretta;

2) che ci sono sentenze di primo e di secondo grado e della Cassazione, supportate da decine di testimonianze vagliate scrupolosamente dai magistrati, che confermano che Giuseppe Fava è stato ucciso per ordine di Nitto Santapaola (e ci fermiamo qui) per le inchieste che faceva con “I Siciliani”;

3) che Giuseppe Fava non era un “giornalista spregiudicato”, come scrive Tino Vittorio nel suo volume, ma un grande giornalista. Per dimostrarlo basterebbe leggere qualche brano della sua ampia produzione e magari dire che una sua sceneggiatura ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino.

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