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L’Agenzia delle arance marce

Storiacce di beni confiscati in Sicilia

 Dopo numerosi solleciti, email, telefonate, l’Agenzia Nazionale per la Gestione e l’Assegnazione dei Beni Confiscati alla Mafia il 22 febbraio finalmente risponde alle associazioni. La pec recita più o meno così: “Le arance dell’agrumeto di Palagonia, confiscato alla mafia, non le potete raccogliere. Nonostante la vostra richiesta, le abbiamo vendute”.

Domenica 7 marzo.

Telefoniamo al Dottor Angelo Bonomo, coadiutore dell’agrumeto di contrada Alcovia (Palagonia Catania), bene confiscato alla mafia. Telefono irraggiungibile. Lasciamo un messaggio:

“Sono il presidente della associazione culturale i Siciliani giovani, desideravamo sapere, se le arance sono state raccolte”.

Poco dopo arriva una risposta: “La posizione non è più di mia competenza. Saluti”. Firmato Angelo Bonomo

Lunedì 8 marzo.

Telefoniamo ai militanti dell’Arci di Palagonia. “Potete fare un sopraluogo all’agrumeto di contrada Alcovia, e verificare se le arance siano state raccolte?”

Il giorno dopo.

“Stamane ancora non avevano raccolto, ma fortunatamente ancora le arance sono sugli alberi e non per terra”. Parlando con i braccianti della zona sappiamo che questo è proprio questo il periodo per raccogliere il tipo di arancia che cresce in Contrada Alcovia. “Se passano altri dieci giorni si rischia che le arance cadano. Si perderà il raccolto. Sarebbe un gran peccato!”

10 marzo.

Chiamiamo la sede dell’ANBSC di Reggio Calabria, che si occupa dei beni confiscati alla mafia della Sicilia orientale. Non risponde nessuno. Decidiamo di contattare la sede centrale di Roma. Veniamo messi in contatto col responsabile della sede di Reggio Calabria, il Dottor Nicolò.

Ci conferma che le arance sono state vendute, ma non sa a quale azienda. Ci racconta che l’operazione è stata condotta dal Dottor Bonomo, prima delle sue dimissioni dall’incarico di coadiutore. Ci informa che il nuovo coadiutore è il Dottor Spartà. E aggiunge che, da quanto ne sa, l’azienda che ha acquistato le arance ne raccoglierà solo una parte. Chiediamo se questo è regolare: “Non è forse un gran peccato far marcire le altre arance sul terreno?”. Il direttore ci risponde che questo è l’accordo tra coadiutore e azienda e che l’Agenzia non c’entra più nulla.

11 marzo.

Chiamiamo il nuovo coadiutore Dottor Spartà. Risponde. Chiediamo informazioni sulla raccolta delle arance in contrada Alcovia.

Anche lui ci conferma che le arance sono state vendute dal precedente coadiutore e di non conoscere il nome della azienda che dovrebbe raccoglierle. Il Dottor Spartà ci informa che ha fatto un sopralluogo nel terreno confiscato e che in effetti le arance si trovano ancora sugli alberi.

Lo informo che il Dottor Nicolò  ci ha comunicato che l’azienda a cui sono state vendute le arance “sugli alberi” (ovvero con l’onere della raccolta), non raccoglierà tutto il prodotto. Ciò significa che le arance non raccolte marciranno o verranno rubate.

Raccontiamo che ci eravamo offerti, come associazioni, di fare una raccolta degli agrumi, coinvolgendo le associazioni e i cittadini della zona. Raccontiamo che avevamo proposto all’Agenzia di donare parte delle arance raccolte alle associazioni caritatevoli che le avrebbero distribuite a chi avesse bisogno. Che la restante parte delle arance, qualora ne fossero rimaste, l’avremmo venduta ad aziende confiscate, controllate dall’ANBSC, che si occupano di distribuzione alimentare e che il ricavato in denaro l’avremmo utilizzato per restaurare il casolare presente nel terreno confiscato, in modo da renderlo fruibile alle associazioni, agli scout, agli abitanti del territorio. Abbiamo precisato che ci sembrava assurdo che per cavilli burocratici si rischiasse di far marcire parte del raccolto.

Il neo coadiutore concorda con noi, ma aggiunge:  “Oramai il le arance sono state vendute, è un gran peccato se andrà così. Ma non ci posso fare nulla. È così che funziona la burocrazia, è così che funziona l’Agenzia che dovrebbe gestire i beni sequestrati e confiscati alla mafia”.

L’agrumeto viene sequestrato nell’ambito del processo Iblis al signor Sangiorgi.  La confisca definitiva avviene nel 2016.  Dal sequestro né l’Agenzia, né gli amministratori giudiziari, né le forze dell’ordine fanno qualcosa. Lo Stato fa finta di niente e consente che le persone a cui il bene è stato confiscato restino lì, accaparrandosi persino i guadagni della raccolta delle arance.

Nell’autunno 2020 un’inchiesta condotta dai Siciliani giovani e dall’Arci Catania svela la malagestione dei beni confiscati alla mafia. Finalmente si accendono i riflettori sulle anomalie nella gestione dei beni confiscati, che non riguardano solo l’agrumeto di Palagonia ma tanti altri beni confiscati nella provincia di Catania e in Sicilia.

Le associazioni si organizzano, fanno i sopralluoghi, fanno intervenire la commissione antimafia della Regione Sicilia, organizzano conferenze stampa, costringono le forze dell’ordine a tagliare catene e catenacci per entrare nei beni confiscati occupati.

Insomma, la storiaccia è questa. E le arance che rischiano di marcire sugli alberi dello Stato sono solo l’ultimo triste capitolo.

Il triste epilogo è che sta vincendo la mafia. Nonostante i processi, le sentenze, le confische, la “roba” accaparrata con la violenza, con il traffico di stupefacenti  e corrompendo pezzi dello stato per ottenere favori e appalti sta rimanendo nelle mani dei mafiosi. O sta restando abbandonata.

Forse siamo ancora in tempo per scrivere un altro finale. Basterebbe una telefonata del Direttore dell’Agenzia Nazionale: “Andate a salvare le arance. Chiediamo scusa per come abbiamo gestito fino adesso. I soldi dei mafiosi serviranno per il lavoro e la solidarietà. Anche quelli rubati, dopo la confisca, in tutti questi anni”.

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