giovedì, Dicembre 12, 2024
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Diario egiziano

Il Cairo: una città dai mille volti.

“Sono stata in Egitto dal venticinque febbraio fino al dieci marzo per un viaggio di piacere. Lì ho avuto modo di scoprire nuovi scenari: innanzi tutto la popolazione egiziana percepisce il virus come fosse qualcosa di molto lontano. Assomiglia molto all’atteggiamento che avevamo noi italiani quando sentivamo cosa stava accadendo in Cina” racconta Marika che può sembrare araba per carnagione e capelli scuri, ma invece è campana al cento per cento.

“Una volta atterrati ci hanno fatto rimanere seduti in aereo perché di lì a poco il personale ci avrebbe misurato la temperatura ad uno ad uno. Ci hanno consegnato anche un documento per sapere se avevamo avuto sintomi sospetti nei giorni precedenti. Arrivati in albergo stessa procedura: misurata di nuovo la temperatura. Nei giorni successivi ci siamo spostati, il nove marzo abbiamo preso un traghetto da Sharm El Sheik a Hurghada dove siamo stati sottoposti al termo test sia in entrata che in uscita. In pratica per tutto il viaggio ci hanno misurato la temperatura corporea”- dice Marika- “Si tende ad allontanare lo straniero piuttosto che prendere vere precauzioni. Lì nessuno portava la mascherina, un gel disinfettante non l’ho visto. Vero è che l’Egitto vive di turismo per lo più quindi magari cercano di arginare il problema per evitare una ricezione economica. In fin dei conti l’Egitto si è ripreso dalla primavera araba da pochissimo, sono passati solo dieci anni dal 2010.”

“Il quattro marzo mi trovavo in metro al Cairo, poiché la confusione era tanta ho deciso di salire sul vagone per sole donne. Questi non sono obbligatori, ma se una donna preferisce evitare la calca e avere più privacy, può prenderlo. Ero seduta sola, non avevo aperto bocca quindi le altre donne non mi avevano sentito parlare. Ad un certo punto delle ragazze fra i sedici e i diciotto anni, forse intuendo che io fossi italiana, hanno iniziato a ridacchiare e si sono allontanate creando un vuoto tra me e loro. Avevano delle buste in mano e con queste hanno creato una linea di separazione tra me e loro. Avevano paura di me, come se fossi malata di peste.”

“Una sera abbiamo aspettato alla fermata un autobus notturno per vedere il Cairo di sera, erano le ventidue e trenta, c’eravamo solo io e il mio ragazzo. Saliti sul bus scorgiamo da lontano due asiatici, nonostante ciò ci sediamo e ci prepariamo per il tour. Qualche minuto dopo sono entrati due egiziani, una donna con velo e il figlio adolescente. Lei, saliti due gradini, ha guardato con attenzione prima noi e poi gli asiatici, un secondo dopo era scesa ad aspettare il prossimo bus.

Io non parlo arabo, ma la parola corona virus era evidente.”

“Il Cairo è una città sorprendente, ma sovrappopolata: tutto si concentra su tutto. Le misure di sicurezza non venivano rispettate da nessuno e anche lì, aimè, c’erano alcuni barboni per strada, abbandonati al loro destino.”

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