mercoledì, Aprile 24, 2024
-mensile-Periferie

Una giornata particolare

E Renzi? E Grillo? E Berlusconi? E Crocetta, e Bianco? Roba per gente im­portante, non per noi poveracci. Per noi, la politica – se vogliamo chia­mar- la così – è un’altra cosa: per esempio la storia di venti ragazzini di quartiere che scappano dalle angherie destinategli e imparano a suonare Mozart, alla faccia di notabili e mafiosi. E via, forza così: questa è la stra­da

Diritti dei poveri: si può

“SE TANTI PARLANO CON UNA VOCE SOLA”

Si, è una giornata particolare il cin­que gennaio: ricordiamo un uomo e tanti altri uomini che credevano allo stato, alla giustizia dei codici, pur sa­pendo che senza la giustizia sociale non c’è democrazia.

Lontani dalle celebrazioni ufficiali, dai picchetti d’onore, dalle ipocrite pagine del quotidiano cittadino che tenta di offuscare la memoria col suo revisionismo storico, siamo qui a San Cristoforo a ricordare la­vorando, con gli uomini e le donne dei quartieri.

Siamo qui al Centro Gapa presidio di resistenza in uno dei tanti quartieri abban­donati dallo Stato e consegnati alle mafie. Sono le 9,30 del mattino quando apriamo, una signora fa capolino davanti alla porta, e ci chiede:”C’è festa stamatina?”. “Sì si­gnora, oggi festeggiamo la libertà di par­lare accompagnati da una buona musica!”.

Entrano alla spicciolata i ragazzini e le ragazzine con i loro strumenti musicali. Allegramente prendono posto e incomin­ciano ad accordare violini e violoncelli Sanno bene che un solo strumento non fa un’orchestra. Sanno che una sola voce non fa cittadini e sanno che l’unità di tutte e tutti noi è l’unica maniera per rivendicare i nostri diritti.

Suonano Mozart e Vivaldi, ma fanno anche domande. “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa perchè volevano tanto potere, tanto denaro, al punto da al­learsi con la mafia e indicarle chi andava eliminato perchè raccontava la verità?”

Rispondono gli adulti, con le parole di padre Pino Puglisi, di Falcone, di Borsel­lino, di Giuseppe Fava. Parole e musica vengono ascoltate con interesse e un po’ di rabbia. “Ma tutto questo – si chiedono tutti – quando finirà? Quando tornerà il di­ritto alla dignità e alla felicità collettiva?

Ascolta anche il procuratore della Re­pubblica, Giovanni Salvi. Ascolta in silen­zio, ma sentiamo la sua soddisfazione di essere qui con noi, in questa “società rea­le”, in questa parte di società fatta di don­ne e uomini, ragazzini e ragazzine che vi­vono il disagio dei quartieri.

Ma da oggi qualcosa può cambiare, per­chè oggi è una giornata particolare.

“Ma un altro lavoro ci aspettava”

Quella prima parte della giornata era fi­nita ma altro lavoro, per continuare a fare memoria, ci aspettava.

Mentre rimettevamo in ordine il nostro centro e discutevamo soddisfatti di come era andata, un signore si avvicinò dicen­do: “Certo lo spettacolo è stato molto bel­lo e i ragazzini sono stati molto bravi, ma a che serve tutto questo, a che servono le parole se poi viviamo in questo quartiere dimenticati dal Comune e dallo Stato? Dove i me’ niputi se ne sono dovuti anda­re in una scuola più lontana picchi ca’ a chiurenu o se ti sventuri a camminare co’ scuru c’è periculu ca qualche spaccia­turi non ti fa trasiri mancu a’ casa! Come si fa a dire di no a un politico che ti pro­mette un lavoro da precario e ti da 50 euro per un voto? Io sono pensionato e ho la­vorato tutta la vita e sono più fortunato de me ni­puti e di tutti ddi carusi ca furriunu co muturinu senza fari nenti o fossi picchi vannu… e quelli più onesti cercano un la­voro che non c’è oppure finiscono in mano dei mafiusi ca ni levanu a libertà!”.

“Certo, caro signore, lei ha ragione ma cosa ci resta da fare? Guardi che le parole sono importanti, solo che se è uno solo a parlare viene preso per pazzo, ma se sono tanti, ma tanti, e parlano con una sola voce si possono ottenere tante cose. Per esempio, pretendere che il Comune ci ri­dia le piazze occupate dalla manovalanza mafiosa; oppure chiedergli di dare gli im­mobili confiscati alle mafie a chi è senza casa, dando pure lavoro per la ristruttura­zione degli edifici. Potremmo chiedere, i beni confiscati, di darli alle cooperative giovanili, creando nuovo la­voro, o sem­plicemente “case” per le asso­ciazioni che non sanno dove riunirsi. E in­fine la “casa” dell’informazione, aperta, a chi vuol fare un giornalismo libero. Ma tutto questo si può fare solo se stiamo uni­ti, differenti ma uniti, parlando con una sola voce!”.

Quel signore non risponde, ma sorride con un sorriso che ci dà fiducia. “Sì, sono d’accordo – dice quel sorriso – andiamo avanti così!”.

Giovanni Caruso

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