giovedì, Aprile 25, 2024
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“Me ne vado per essere io”

Ci sono tanti tipi di emigrazione. Gli italiani, in particolare i meridionali, lo sanno bene sulla loro pelle. Ma c’è anche un’emi- grazione per i diritti. Quelli dei gay.

A spingere a cambiare Paese è anche l’idea di vivere in un luogo dove se cammini mano nella mano con la persona che ami non ti guardano con stupore, o disgusto (forse non ti guardano proprio)

Ci sono tanti tipi di emigrazione. Gli italiani, in particolare i meridionali, lo sanno bene sulla loro pelle.

L’Italia è però oggi protagonista di un flusso in uscita inedito, silenzioso e importante, se non in termini quantitativi (mancano delle ricerche in proposito) sicuramente in termini umani. Parlo di una migrazione dei diritti e della libertà che riguarda tantissimi giovani gay o lesbiche. In proposito, in mancanza di statistiche ufficiali, dispongo di una personale statistica di amici e conoscenti che in misura crescente negli ultimi anni hanno lasciato l’Italia o desiderano farlo, in cerca non solo o non tanto di una maggiore realizzazione professionale o economica, ma di un luogo in cui finalmente sentirsi cittadino di serie A, in temine di diritti, riconoscimenti e tutele, e in cui poter realizzare la propria vita affettiva come chiunque altro.

Per i giovani gay, lasciare la casa dei genitori e la provincia per le grandi città è sempre stata una scelta diffusa, alla ricerca di una dimensione meno claustrofobica e più libera lontano dall’occhiuto controllo sociale del paese natio e dei limiti della vita familiare. Ma questa nuova emigrazione dei diritti è una novità dell’ultimo decennio cresciuta parallelamente al diffondersi delle nuove legislazioni che in tanti Paesi europei (e non solo) hanno cominciato ad ammettere unioni e matrimoni omosessuali. Il vero punto di svolta anche simbolico è stato il PACS francese del 1999, presto seguito dal matrimonio in Olanda nel 2001, e in Spagna del 2005 e le unioni civili britanniche alla fine dello stesso anno. Non è un elenco esaustivo, anzi… ma sono quei Paesi che più hanno colpito l’immaginario pubblico italiano e che hanno finito con l’attrarre questo inedito flusso migratorio. Ettore Ciano, padre attivo in AGEDO (associazione di genitori e amici di omosessuali) parla della figlia Margherita che dal 2004 vive in Francia, dove insegna e convive, regolarmente “pacsata” con la compagna. “La sua unione è riconosciuta a tutti gli effetti dallo Stato e dalla società tanto che negli incontri della scuola la Preside non ha ovviamente nessun problema a invitarla con la compagna, come nessuno tra genitori o studenti ha mai avuto nulla da ridire sulla sua vita, neppure quando un video della sua partecipazione a un Pride è stato postato e visto su youtube”.

Anche Marco che da alcuni anni vive col marito a Barcellona racconta un’esperienza simile: “Quando l’anno scorso ho dovuto chiedere un permesso familiare per  il lutto della scomparsa di mia suocera, nessuno sul lavoro ha battuto ciglio, era normale e ovvio”. 

A spingere a cambiare Paese però non è solo la prospettiva immediata di un matrimonio, ma anche, direi soprattutto, l’idea di vivere in un luogo dove questo è possibile, dove non sei considerato un marziano, dove se cammini mano nella mano con la persona che ami non ti guardano con stupore, o disgusto (forse non ti guardano proprio). La semplicità della normalità. Quel che mi rattrista personalmente è che a lasciarci sono spesso anche attivisti, cioè persone che si battono o si battevano perché anche da noi ci possano essere quei diritti, che alla fine tra la lotta e vivere la loro unica vita al meglio hanno rinunciato alla prima per la seconda. E nonostante io abbia per ora fatto la scelta opposta non riesco in cuor mio a dar loro torto! 

Una sconfitta e una perdita per tutti noi, un impoverimento che non possiamo permetterci. Ma, come gli emigranti italiani in America o Germania mandavano le loro rimesse monetarie anche da questa nuova migrazione cominciano ad arrivare delle rimesse di civiltà. Le richieste di riconoscimento delle unioni e dei matrimoni celebrati all’estero cominciano a fioccare nei nostri comuni e nei tribunali (sostenute anche da apposite campagne di alcune associazioni) e prima o poi una sentenza potrebbe aprire una breccia laddove la miopia della nostra classe politica non riesce a regalarci credibili speranze.

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