venerdì, Ottobre 4, 2024
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Un “saggio” guida le cosche provinciali palermitane

Partinico e San Giuseppe Jato riunite in un unico mandamento, quello di Camporeale 

L’unione fa la forza. Devono aver pensato questo le famiglie mafiose di Partinico e San Giuseppe Jato, negli ultimi anni colpite duramente da una serie di operazioni da parte delle forze dell’ordine. L’ultima di queste, avvenuta lo scorso aprile, ha portato all’arresto di 37 persone permettendo di smantellare il nuovo “supermandamento” di Camporeale, sorto dalla fusione dei due mandamenti storici. Le indagini, condotte dai Pm della Dda Francesco Del Bene, Sergio De Montis e Daniele Paci, hanno ben edivenziato l’opera di rifondazione da parte di Cosa Nostra per riorganizzare le proprie fila. L’uomo designato per il “rinnovamento” era Antonino Sciortino, 51enne allevatore di Camporeale, tornato in libertà nel 2011 dopo essere stato condannato per mafia e detenuto al carcere duro per dodici anni. Un tempo infinito in cui non ha mai risposto ad una domanda postagli dai magistrati.

Una nomina non frutto dell’improvvisazione visti gli stetti legami avuti sia con i capi indscussi del mandamento di Partinico, Leonardo e Vito Vitale, che con il capomafia di Altofonte, Domenico Raccuglia, arrestato il 15 novembre 2009.

Una volta libero, seppur limitato negli spostamenti a causa delle prescrizioni e delle limitazioni imposte dalla misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale, si è subito adoperato per il riassetto del territorio prendendo in mano le redini del comando, riservandosi un ruolo di supervisore, una sorta di “saggio” a cui erano tenuti a dar conti i “delegati” alla direzione sul territorio, Salvatore Mulé a San Giuseppe Jato e Giuseppe Speciale, genero di Vito Vitale, a Partinico.

Un riassetto necessario nel cuore della Sicilia Occidentale che riveste una grande importanza, soprattutto in termini economici, all’interno del sodalizio criminale. E in cinque mesi il nuovo mandamento diventa realtà.

Il primo intervento è stato proprio quello di dare una nuova collocazione alle famigie mafiose di Monreale ed Altofonte, transitate nel frattempo sotto Villagrazia e Santa Maria di Gesù di Palermo. Lo stesso è valso per quelle di Montelepre e Girdinello, in quel periodo subordinate a San Giuseppe Jato rispetto all’assetto tradizionale nel mandamento di Partinico. A parlarne gli stessi boss in un’intercettazione ambientale in cui veniva evidenziato il ruolo apicale di Sciortino, appena pochi giorni dopo la scarcerazione. “I tempi cambiano” diceva Giuseppe Libranti, esponente della famiglia mafiosa di Monreale, al cugino Francesco Vassallo. E riferito a Sciortino raccontava: “ha fatto tre ore sempre a discutere lui, no però… come discutiamo noialtri!Non ti dico quando ha finito il discorso metteva l’accento, ma ti faceva capire che già là era finito e ne iniziava un’altro, finiva e ne iniziava un’altro, finiva e ne iniziava un altro!…Un cretino solo non poteva capire… tu vedi …inc… …quattro, cinque, quanti minchia erano, nessuno ha parlato!… (ride)… no, …inc… passiamo al cambio, cominciava e finiva, cominciava un’altro e finiva… dalle dieci all’una e un quarto, l’una e venti che erano là… l’una e mezza, una cosa di questa!”.

Per riorganizzarsi Cosa Nostra non aveva lasciato nulla al caso ed anzi aveva puntato ancora una volta sulla forte tradizione, come la “punciuta”, con cui venivano affiliate le nuove reclute. Una mafia che, oltre a fare affari (in particolare estorsioni e controllo nella gestione dei confini delle terre), non aveva neanche paura di tornare ad uccidere. Tra gli elementi raccolti anche un caso di “lupara bianca” con tanto di frase registrata dalle microspie degli inquirenti (“Pigliami due, tre lacci. Due tre lacci puliti prendimi”). E sarebbero stati quelli i lacci utilizzatti per uccidere Giuseppe Billitterri, scomparsi mesi fa dopo che, è l’ipotesi degli inquirenti, si era messo di traverso all’azione del nuovo capomafia.

Affari, racket e appalti. Cosa nostra riparte e come sempre non manca il legame con la politica. Tra gli arrestati spicca il nome del sindaco di Montelepre, il paese noto ai più per aver dato i natali al bandito Salvatore Giuliano, Giacomo Tinervia, ex Grande Sud di Micciché, alle ultime regionali siciliane candidato con Fli. L’accusa contro di lui è di estorsione e concussione e ad incastrarlo vi sarebbero le intercettazioni. Gli inquirenti, che seguivano i passi del capomafaia del paese Giuseppe Lombardo, hanno registrato un dialogo in cui il boss ha raccontato un episodio riguardante una mazzetta intascata dallo stesso sindaco. “Che è Giacomino? Quanto ti sei fottuto? – ricordava – Minchia ma io… Quanto ti sei fottuto tu? Dice, ma che c’entra. Giacomino, allora non lo hai capito, quanto ti sei fottuto tu? Giusè, dice, che in tutto il lavoro mi può dare sei, settemila euro? Ah, lo hai messo a posto tu? Ma che c’entra, io poi te li facevo avere. Giacomino, me li facevi avere che? Gli ho detto, duemila euro? Dice, quelli che restavano. Quelli che restavano? Gli ho detto, ventimila euro voglio”. E dopo quell’incontro il sindaco avrebbe fatto da intermediario con l’imprenditore, per non scontentare Cosa nostra, che dovette così pagare 20mila euro come “pizzo”. Soldi che si erano aggiunti ai 7mila euro già intascati dal primo cittadino.

Ma i legami con la politica si sviluppano anche nel piccolo comune di Giardinello con i boss che festeggiano l’elezione a sindaco di Giovanni Geloso. “Vedi che noialtri abbiamo fatto un figurone. Il botto noialtri lo abbiamo fatto, no loro” commenta al telefono con la propria amante il capomafia Giuseppe Abbate. Un capomafia, sì, strafottente e sicuro di sé tanto da lasciare più volte il telefono aperto con la sua donna, mentre parlava con i propri sodali o con alcuni politici locali.

Come quando il boss rimproverò il consigliere comunale Vito Donato perchè aveva discusso dello spostamento di un candidato da una lista all’altra senza interpellarlo: “Vedi che si muore Vitù la politica non si fa così – diceva al telefono mentre i carabinieri intercettavano – la politica noialtri la dobbiamo fare giusta, precisa”. In un altro dialogo con l’amante commentava poi la richiesta di aiuto di un altro candidato sindaco, Marcello Bommarito, mentre il primo cittadino uscente di Giardinello, Salvatore Polizzi, chiese aiuto per il figlio, candidato consigliere.

Nell’operazione è stata anche sequestrata una impresa edile, riconducibile a Lucido Libranti, che ha permesso alla famiglia di far muovere grossi flussi economici, garantendo il monopolio degli appalti in tutto il territorio monrealese e l’assunzione di personale indicato nelle altre imprese. Come se non bastasse, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, fra le azioni promosse dalla cosca ci sarebbero anche quattro distinti furti di bestiame.

Altro elemento importante raccolto durante le indagini è il legame sempre vivo con la mafia statuintense. Per ammettere nei suoi ranghi un nuovo membro la famiglia mafiosa Gambino di New York pretendeva garanzie scritte dalle cosche siciliane. Così uno degli arrestati, Salvatore Lombardo, che da 20 anni viveva in America, era tornato in Italia con una lettera dei Gambino che chiedevano per iscritto alle famiglie palermitane garanzie sulla qualità di uomo d’onore di Lombardo e la conferma che questi fosse stato messo fuori dalla “famiglia” di Montelepre, requisito minimo per poter esser affiliato formalmente negli Usa. Prima di rispondere a tale lettera, Lombardo si è visto costretto a recarsi da Salvatore Mulè, l’unico che sul momento avrebbe potuto “certificare” tale autorizzazione.

Secondo il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo l’operazione “dimostra la perdurante presa di Cosa nostra sulle strutture politiche locali” e “conferma lo spiccatissimo interesse per le strutture comunali da cui può controllare gli appalti”. Inoltre l’indagine è “molto importante perché conferma la fortissima aspirazione di Cosa nostra ad accrescere la sua presa sul territorio, con l’intento dei boss di riorganizzare le strutture territoriali con l’eliminazione di due mandamenti: San Giuseppe Jato e Partinico, per formarne uno solo, Camporeale, cioè un Super Mandamento, questo per rafforzare le periferie rispetto al centro”.

E prorio quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare in particolare sul piano militare. Sono gli stessi boss Salvatore Mulé e Giuseppe Lo Voi, in un’intercettazione del marzo 2012, a sottolineare la forza della fusione: “Eh? Si… che questi sono passati qua… una potenza di questa maniera non c’è stata mai – dicono – Io non é che sono minchia che non ho capito che Partinico è passato a San Giuseppe!”. Segno di una nuova scalata al potere della Provincia verso Palermo? Indagini sono in corso, anche se gli stessi inquirenti non smentiscono che vi siano stati contatti.

Nello specifico l’indagine sul mandamento di Camporeale, a quanto è dato sapere, non presenta particolari elementi per cui vi sarebbero stati contatti tra il “saggio” Sciortino e il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro. Tuttavia appare improbabile che il boss di Castelvetrano fosse all’oscuro di questa operazione di riorganizzazione. Le operazioni degli ultimi anni, “Perseo” nel 2008 ed “Araba Fenice” del 2011 (quella del summit mafioso a Villa Pensabene nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale), hanno dimostrato come siano le stesse famiglie palermitane a ricercare il parere della Provincie, in particolare proprio quella trapanese. Messina Denaro non rappresenta solo “l’ultimo padrino” in libertà.

E’ dei giorni scorsi la denuncia rivelazione dell’attuale caposcorta di Di Matteo, il maresciallo Masi, che ha parlato di indagini bloccate o intralciate tra il 2001 e il 2007 nel tentativo di catturare prima Bernardo Provenzano (arrestato nel 2006) e poi lo stesso boss di Castelvetrano.

E’ lui l’uomo di garanzia, capace di unire davvero le famiglie siciliane, a cui ci si affida per un parere ma anche per avere la “benedizione” sull’operato. Arrestati uno dopo l’altro Riina, Bagarella, Provenzano ed i Lo Piccolo, è sul boss trapanese che gravita la “guida” di Cosa nostra. Matteo Messina Denaro, custode di segreti inimmaginabili, è pronto a far suonare nuovamente il suono delle bombe nche ad uccidere i magistrati. L’avvertimento ricevuto da un “anonimo” da parte del pm della trattativa Nino Di Matteo, non lascia dubbi: “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”.

 

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