martedì, Aprile 23, 2024
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Chinnici, Radio Aut, e le indagini su Peppino

Fu Rocco Chinnici a riaprire e portare a una svolta decisiva le indagini sull’assassinio di Peppino Impastato. Con la collaborazione dei sopravvissuti di Radio Aut, che si fidarono di lui

Il 19 gennaio 1925 nacque Rocco Chinnici. Quest’anno avrebbe compiuto 88 anni. Ma il 19 gennaio è anche la data di nascita di Paolo Borsellino. Per ricordare questi magistrati la Fondazione Chinnici ha organizzato una giornata di riflessione e di iniziative presso il Liceo Meli di Palermo. Su Borsellino è stato detto molto, su Chinnici un po’ meno.

La sua carriera si svolse interamente tra Palermo e Trapani: in quest’ultima città e nella contigua Partanna fece i suoi primi passi di magistrato, prima di essere trasferito a Palermo, dove divenne capo dell’Ufficio Istruzione.

È a lui che si devono tre grandi intuizioni che hanno rivoluzionato i metodi e il modo di agire contro la mafia:

-La creazione del pool antimafia. Del primo gruppo fecero parte i giudici Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta e, per esso lavorò anche Ninni Cassarà. Il pool agiva sulla base di una semplice considerazione, ovvero che il lavoro di gruppo è più facile a svolgersi, in gruppo si lavora meglio che individualmente, e crea una conoscenza collettiva e condivisa che rimane tale anche nel caso che qualcuno dei suoi componenti dovesse venir meno.

-L’individuazione e l’aggressione ai patrimoni dei mafiosi. Questi costituiscono uno dei motivi della persistenza della mafia, poiché l’accumulazione di denaro attraverso la violenza è il fine ultimo che guida le azioni della criminalità organizzata: colpire i mafiosi nelle loro ricchezze è il sistema più concreto per ridurli all’impotenza e isolarli.

– Il lavoro nelle scuole. Chinnici fu uno dei primi magistrati a dedicare parte del proprio tempo a interventi con gli studenti, nella convinzione che il momento della formazione sia prezioso e fondamentale se si vuole rimettere in discussione la subcultura mafiosa, che spesso accompagna le prime fasi della crescita, trasmessa sia dai nuclei familiari, che dall’ambiente circostante.

– L’analisi sulle origini e sullo sviluppo della mafia. Smentendo una serie di storici che facevano risalire il fenomeno ai “bravi” nel periodo della dominazione spagnola, alla setta dei Beati Paoli, al permanente feudalesimo diffuso nelle campagne siciliane, Chinnici, nella sua relazione in occasione dell’incontro di studio per magistrati organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura a Grottaferrata il 3 luglio1978, disse: “Riprendendo le fila del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente ma necessariamente premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita in Sicilia”, e più oltre aggiunge: “La mafia … nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”. Il che offre una dimensione più realistica per studiare sotto una prospettiva diversa la spedizione garibaldina, l’invasione piemontese, la feroce repressione del dissenso, definito sbrigativamente “brigantaggio” e il dilatarsi della forbice del sottosviluppo meridionale dopo l’unità.

Nel novembre del 1978 gli capitò tra le mani il caso di Peppino Impastato, ucciso nel maggio dello stesso anno. Il giudice Signorino aveva condotto le indagini condividendo all’inizio l’impostazione data dalle forze dell’ordine, in particolare dall’allora tenente Subranni, che si trattasse di un attentato terroristico o di un suicidio.

Pare che, dopo una telefonata di Gaetano Costa, allora capo della Procura, Signorino si fosse deciso ad affrontare il caso per quello che era, ovvero un delitto ordito dalla mafia di Cinisi. Di fatto, nel novembre del ‘78 il giudice depositava gli atti, classificando il caso come “omicidio ad opera di ignoti”. Chinnici, allora consigliere capo, riservava a se stesso lo sviluppo delle indagini su Impastato e tale scelta cambiava interamente il rapporto con i compagni di Peppino, i quali, dopo alcuni mesi di difficili contatti con coloro che li avevano inquisiti come possibili soci di un terrorista, assunsero un rapporto di piena collaborazione, inviando al giudice un documento in cui si indicavano tutti i possibili punti di ricerca sui quali non s’era mai indagato.

Questo documento riveste un’importanza notevole nella storia della magistratura siciliana: è la prima volta che un gruppo di persone inizialmente inquisite si contrappone alle forze dell’ordine nella conduzione delle indagini, individua gli elementi fondamentali che stanno alla base del delitto, predispone e offre al magistrato prove e indizi. Sulla base di quelle indicazioni il magistrato diede una svolta decisa alle indagini, interrogando Giovanni Riccobono, al quale in cugino Amenta aveva detto di non andare a Cinisi la sera del delitto, incriminando per falsa testimonianza i cugini di Riccobono, inviando una comunicazione giudiziaria a Giuseppe Finazzo, detto “u Parrineddu”, presunto esecutore del delitto e titolare di una cava di pietrisco da cui probabilmente era uscito il tritolo per il delitto, e infine mandando i periti del tribunale a indagare sugli abusi edilizi consumati con la complicità dell’Ufficio Tecnico di Cinisi. Il documento non è stato mai ritrovato né tra le carte processuali, né tra le carte di Chinnici, il quale non lo avrà reso noto forse per proteggere i compagni di Peppino che glielo avevano consegnato. Probabilmente sarà saltato in aria con la borsa che il giudice si portava appresso al momento dell’attentato. Ecco il testo del documento, pubblicato nel libro di Salvo Vitale Nel cuore dei coralli. Peppino Impastato, una vita contro la mafia (Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995):

 

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