venerdì, Aprile 19, 2024
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Questa non è demò-cra-zia!

In mezzo ai suoi colleghi, una della DIGOS fa il verso ai ragazzi che urlavano i cori, poi si accorge di essere osservata e ridiventa seria.

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Ieri alle otto di sera via Etnea era affollata: le macchine, gli autobus, davanti al giardino Bellini passava anche il trenino dei turisti, pieno di gente che si gira verso la folla con lo striscione No Muos in mano. Osservando bene lo striscione si nota una signora morte, vestita con la bandiera degli Stati Uniti, che tiene nella destra una falce mentre allunga la mano sinistra sulla Sicilia, ricorda un film di Francesco Rosi.

“Che c’ha i fischietti?”. All’entrata della villa Bellini un agente della polizia prende in giro il professore Gianni Piazza e mentre ispezionano lo zaino continua: “Lei insegna al dipartimento… –  e poi rivolgendosi ai colleghi – e attenzione, si chiamano dipartimenti, non più facoltà!” Accende la torcia: “Ok, va bene, può andare”.

Intanto altre persone passano il cordone di poliziotti mentre il ti-ti-ti del metal detector fa da sottofondo. Damiano Cucè e Giuseppe Pecora, due de I Ragazzi della Piazzetta, svuotano le tasche: un portafoglio, un accendino col simbolino della marijuana, un pacco di fazzoletti e poi salgono le scale illuminate. Sventoleranno poi una bandiera No Muos davanti al palco da cui parlarà il ministro Pinotti: saranno allontanati poco dopo dalla sicurezza.

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Al giardino pubblico di Catania ci sono pure alcuni cittadini ragusani, bloccati in attesa di essere espulsi. Il movimento contro il Muos (il sistema di parabole della marina statunitense) è sparso in tutta la Sicilia e oltre. Nel 2017 saranno processati ben centovantasei siciliani: niscemesi, catanesi, calatini e altri che vivono al Nord. Pippo sorride con amarezza sotto i baffi: per lui è stato un colpo mirato, quello della questura. “Il documento del rinvio a giudizio – dice lui – è datato sette dicembre 2015, hanno aspettato il momento giusto.” Nel frattempo il Cga ha dato ragione a chi faceva ricorso contro le autorizzazioni, quindi il tribunale del riesame di Catania ha dissequestrato l’area impegnata dalle parabole.

Adesso c’è un’aria di attesa, la marina Usa ha tutto in regola secondo lo Stato italiano, il comune di Niscemi ha “tolto” il suo appoggio al movimento, mandando degli operai a recuperare due gazebi dal presidio in contrada Ulmo.

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Per il signor Spina non c’è niente da fare: “Comandano gli americani”. Lui ha ottantadue anni e degli occhiali aggrappati al naso, dopo poco si avvicina come per confessare un segreto: “Gli italiani sono gli ultimi in classifica!”.

Chiedo: “Ma a lei non le dà fastidio che comandino?”

Il signor Spina con un battere di tacchi e la mano destra aperta in alto risponde: “Quannu c’era a bonanima currevunu! Adesso, ci dovete pensare voi giovani”. E va via soddisfatto. Pochi passi più in là urlano: “Renzi go home! Noi non l’accettiamo, questa non è… demò-cra-zia!”. In mezzo ad un gruppo di colleghi una della DIGOS, agitando le braccia, fa il verso a quelli che gridano in coro, poi si accorge di essere osservata e ridiventa seria. Accanto, altre persone fanno la fila per entrare: “Sì c’è Luca Carboni che suona, come chi è!?”.

Il gruppo di chi protesta, verso le nove e trenta, si siede sulle panchine per aspettare quelli che devono uscire. Le automobili continuano a passare, Pippo parla al telefono con quelli di Ragusa. “Stanno bene?”

“Sì, sì, – risponde lui – tutto bene, sono nella saletta, aspettano di essere mandati fuori”.

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