giovedì, Aprile 25, 2024
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“Niente, non è successo niente”

Avete mai sentito parlare di Milazzo? No? Meno male. Perché esattamente un mese fa, il 27 settembre 2014, questa “ridente cittadina sul Tirreno” per alcune ore ha rischiato di finire sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo per un terrificante incidente petrolchimico, alla fine rientrato. “Ci ha salvato la Madonna” dice don Peppe Trifirò, il vecchio parroco che da anni si batte contro l’inquinamento della locale mega-raffineria. Forse. Ma se an­che le autorità preposte le dessero una mano (controllo dei livelli chimi­ci, serbatoi non a ridosso delle case, piani d’evacuazione adeguati e tutto il resto) forse non sarebbe male

 

“NOI, LE DONNE DEI LENZUOLI”

di Olga Nassis

Milazzo – Sono passate solo quaran­tott’ore da quella notte in cui sembrava di essere a Fukushima, una notte che nessuno di noi è sicuro di superare.

L’odore è insopportabile, il serbatoio continua a bruciare. Ma sono solo residui, dicono. “Tutto sotto controllo” dice la Raffineria, che prosegue la produzione.

Le scuole sono aperte, cessato allarme, come se nulla fosse accaduto. Ma quel si­lenzio nel paese è una novità, così come sono nuovi gli sguardi della gente, smarri­ti, inquieti.

Di buon mattino accompagno i bambini a scuola, li lascio a malincuore.

“E se suc­cedesse ancora ed io non sono con loro…”. Incontro un’altra mamma, Matil­de.

“Siamo vive per miracolo” fa. Le infor­mazioni su quanto era accaduto e su quan­to poteva ancora accadere arrivano rade, confuse e discordanti.

“Come facciamo a sapere?”.

Un lenzuolo! Mettiamo un lenzuolo ai balconi”.

Ci ha spinto il bisogno di protesta, di un segnale tangibile per tutti. Qualcosa come dire: basta!

Basta al silenzio, alla rassegnazione. Non potevamo più accettare di rivivere il terrore di quella notte. Anche soltanto re­spirare ci faceva paura. Respirare chissà che veleni di un mostro che di morti e ma­lati ne ha già fatti tanti.

Il lenzuolo è innocente è purezza. Forse almeno lui può dare una risposta. Così, seduta stante, abbiamo mandato un sms a tutti quelli che conoscevamo. Forse, insie­me, la voce sarebbe diventata più potente.

Scrivi: “Io non ci sto”

“Metti un lenzuolo bianco al balcone per protestare. Scrivi IO NON CI STO. Cammina con la mascherina. Non molla­re. Fai passa parola!”.

Nel giro di poche ore sui balconi della Valle del Mela e di Milazzo si vedono i primi lenzuoli bianchi. Certo, non tutti hanno il coraggio di farlo. La paura di esporsi… Certo, “la Raffineria dà lavoro”. “Non ci pensate all’indotto? Quel nostro po’ di ricchezza…”.

Questo, per cinquant’anni, ci hanno in­segnato. “Richiamate i vostri uomini… ora arriva il lavoro” gridava Enrico Mat­tei. Ma la ricchezza, alla fine, ci ha solo sfiorati. E i costi sono stati infiniti. Lavo­ro per alcuni, malattie per tanti, ma disa­gio e conflitto per tutti.

“Noi non abbiamo paura” dice ora Bar­bara “Noi siamo gli altri, noi siamo quelli che mettiamo il lenzuolo al balcone della nostra casa, noi abbiamo un nome, un co­gnome e un indirizzo civico che si ricono­sce dal lenzuolo”.

Per noi è stato uno tsunami

Quello che per gli economisti è un “flusso”, per noi è stato uno tsunami. Il loro flusso si serve della marginalità e del sottosviluppo, e si nutre della totale opaci­tà: della politica, dei controlli, della sicu­rezza, delle conseguenze sulla salute e sul futuro dei luoghi in cui viviamo. Tutto dentro un Sistema.

Un sistema di occultamento program­matico, di mimetizzazione degli obiettivi: chi deve fare i controlli non ha gli stru­menti, chi deve garantire la salute si affida ai sa­peri aziendali, chi deve pianificare il futu­ro delega tutte le scelte alle multina­zionali.

Una “black list” di negozi considerati “anti-raffineria e quindi da boicot­tare

Un sistema autoritario, che si na­sconde dietro tecnicismi, “saperi” chimici, epide­miologici… parole che servono solo a la­sciare le cose nell’ambiguità. Un siste­ma di rassicurazioni date all’arena degli schiavi tenuti volutamente nella divisione e nel disordine. “Raffi­neria per tutti – mo­rale della favola – e poi ognuno per sè”.

La crisi del petrolio non è un’utopia lontana, c’è già ora. Perché non dare allo­ra una visione d’insieme alla gente che c’è coinvolta? Perché non dire finalmente le cose come stanno? Perché lasciare l’ultima parola all’industria? Sia­mo sicuri che le risposte stiano tutte a casa sua?

Dove c’era l’Acquaviola

Prima che arrivasse la raffineria, in quella costa piena di ruscelli e gelsomini – l’Acquaviola, la chiamavano – le donne andavano a lavare la lana e i lenzuoli bianchi. Si lavavano, si stendeva­no, si piegavano, si mettevano nei cassoni di vi­mini e lì venivano conservati in attesa del matrimonio.

E’ stata un’emozione per tutte noi sten­dere quei lenzuoli bianchi. Il fatto di non essere sole in questo gesto, di farlo tutte insieme, ci ha fatto capire molte cose. Condividere le percezioni aiuta a decodi­ficare la realtà. “La paura può essere vin­ta, se ci si unisce in una rete sana” dice Paola.

Chiediamo un ripensamento serio, radi­cale, che non lasci scontento nessun esse­re umano. Sappiamo che è possibile. Chiediamo di conoscere le cose come stanno. Le attività economiche le misuri con gli indicatori economici, ma a misura­re quelle umane sono gli stessi corpi che percepiscono l’odore, il rumore, il paesag­gio e anche il dolore. Ecco, questi indica­tori ci dicono che i limiti di tolleranza li abbiamo superati.

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