sabato, Aprile 27, 2024
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La lunga attesa di Felicia

E’ morta otto mesi dopo e sarebbe stata felice di sapere di essere diventata un punto di riferimento per tutto il movimento antimafia.

Nella sua ultima apparizione in pubblico, filmata dal regista Gregorio Mascolo, Felicia è ripresa davanti alla porta della sua casa, mentre distribuisce fiori ai partecipanti al tradizionale corteo del nove maggio: un’immagine per ricordarla, con un mezzo sorriso, mentre dà un fiore a tutti, con alle spalle una strada lunga 87 anni e un viso dov’è scavata e scolpita la sua storia, insieme a quella delle donne della sua terra.

Tra le donne siciliane offese dalla mafia esiste una straordinaria vicinanza tra Felicia e Francesca Serio, la madre di Turiddu Carnevale, il sindacalista ucciso dai mafiosi di Sciara il 16 maggio 1955. Anche Francesca si costituì parte civile per l’assassinio del figlio:

“Una donna sola, prima abbandonata dal marito e poi vedova, che ha allevato l’unico figlio tra mille sacrifici e che è cresciuta accanto a lui, nel dialogo quotidiano con un militante coraggioso e spesso isolato dal suo stesso partito. Dopo la sua morte accusa gli assassini, ne ottiene una prima condanna ma poi deve subire lo smacco della loro assoluzione. Da allora continua a testimoniare la sua vicenda, parlando del figlio con tutti quelli che vanno a trovarla, e le sue parole sono pietre, come scriverà Carlo Levi che ha scritto le pagine più intense su di lei e su suo figlio. Mamma Carnevale partecipa anche a manifestazioni pubbliche accanto a Pertini, organizzate da un partito che sarà sempre più un’altra cosa. Il 18 luglio 1992 è morta dimenticata nella sua casetta di Sciara”(2).

Il richiamo al libro di Levi e l’accostamento tra le due donne risaltano in questo passaggio:

“Parla, racconta, ragiona, discute, accusa, rapidissima e precisa. alternando il dialetto e l’italiano, la narrazione distesa e la logica dell’interpretazione. ed è tutta e soltanto in quel discorso senza fine, tutta intera…niente altro esiste di lei e per lei, se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia accanto al letto: il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello stato. Essa stessa si identifica totalmente nel suo processo e ha le sue qualità: acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole e le parole sono pietre”(3).

Quello che Levi dice per Francesca vale, parola dopo parola, pietra dopo pietra, per Felicia. Pietrificazione del dolore nei più profondi abissi dell’animo. Francesca e Turiddu ebbero immortalata la loro storia dal poeta Ignazio Buttitta in una famosa ballata, Peppino e Felicia hanno incontrato sulla loro strada il regista Marco Tullio Giordana che dalla loro storia ha ricavato due personaggi cinematografici di grande effetto emotivo.

In tempi in cui l’immagine ha finito con il sostituirsi alla parola, Francesca è morta dimenticata da tutti, Felicia è diventata un simbolo nazionale della Sicilia che non si piega alla prepotenza mafiosa.

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