lunedì, Dicembre 9, 2024
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La lunga metamorfosi di Coop e Unipol

C’erano una volta le istituzioni economiche (cooperative, assicurazioni, ecc.) dei lavoratori, come si diceva un tempo. Erano un pezzo di storia. Adesso salvano Ligresti

Siamo così assuefatti che non ci facciamo nemmeno più caso, ma l’operazione di salvataggio del gruppo Ligresti riflette come uno specchio l’anormalità del nostro Paese. Un’anormalità che ha molto a che fare con la concentrazione del potere economico-finanziario (e dunque oggi anche politico) in un’unica mano, quella di Mediobanca.
L’istituto decide a suo piacimento delle sorti dei grandi gruppi italiani come fossero semplici pedine da muovere su una scacchiera. Gruppi che sono spesso suoi debitori e ancora più spesso suoi azionisti. Del resto le due cose vanno solitamente di pari passo nel capitalismo incestuoso all’italiana che la stessa Mediobanca ha contribuito a creare a partire dal dopoguerra: un groviglio, o meglio una melassa di rapporti, relazioni, cointeressenze dove il conflitto d’interessi non solo c’è, ma è anche ritenuto virtuoso perché contribuisce a rinsaldare gli equilibri e a far crescere gli affari.
Così per risolvere la crisi del gruppo Ligresti (che è debitore di Mediobanca per oltre 1 miliardo di euro e che ne è anche uno dei soci forti con poco più del 4%) gli uomini dell’istituto fondato da Enrico Cuccia hanno chiamato Unipol, il gruppo assicurativo che fa capo alle Coop “rosse” (che è debitore di Mediobanca per oltre 400 milioni di euro). Unipol si fonderà con Premafin (la holding dei Ligresti), con Fondiaria Sai e con Milano Assicurazioni, divenendo così il secondo gruppo assicurativo italiano e il primo gruppo nel ramo danni. Un’operazione di “sistema”, l’hanno definita  molti benevoli commentatori; una rapina ai danni dei piccoli azionisti, hanno tuonato i (pochi) critici.
Che l’operazione serva innanzitutto a garantire alle banche creditrici dei Ligresti (Mediobanca e e il suo primo azionista Unicredit) i propri crediti non c’è dubbio alcuno, così come non c’è dubbio che l’operazione sia strutturata ancora una volta per scaricare i costi sui piccoli azionisti e sulla collettività, visto che dall’integrazione tra i due gruppi assicurativi scaturiranno ancora una volta migliaia di esuberi. Ma non è tanto questo il punto.
La questione principale è che Mediobanca ha deciso di creare il secondo polo assicurativo italiano mettendo assieme due suoi debitori ed essendo al contempo azionista di controllo delle Generali, la prima compagnia italiana. In un qualsiasi Paese occidentale una cosa del genere non sarebbe neanche concepibile. Da noi invece non solo lo è (tant’è che l’operazione è già stata annunciata), ma viene addirittura applaudita come un’operazione di “sistema” e – si accettano fin d’ora scommesse – verrà ratificata dal nostro Antitrust dopo una rapida istruttoria che imporrà al nascente gruppo assicurativo Unipol-Fonsai alcune cessioni più o meno importanti. Non verrà invece messo in discussione il ruolo di indirizzo, la capacità di influenza che Mediobanca esercita sui suoi azionisti, sui suoi debitori, sull’industria assicurativa e, più in generale, sulla finanza e l’economia italiana.
Dopo un’operazione del genere, chi può ragionevolmente credere che Unipol-Fonsai farà davvero concorrenza o darà in qualche modo fastidio a Generali? Vale la pena sottolineare che, in seguito alla fusione, Unipol diventerà un importante azionista di Mediobanca (oltre ad essere suo debitore) ereditando peraltro  diversi pacchetti azionari strategici per gli equilibri del capitalismo italiano: il 5.4% di RCS Mediagroup (l’editore del Corriere della Sera), il 4,4% di Pirelli & C., la holding di Marco Tronchetti Provera, il 3% di Gemina e tanti altri pacchetti azionari in società quotate e non.
Sembrano passati anni luce dall’estate dei “furbetti del quartierino”, delle scalate a Rcs e Bnl, dell’”abbiamo una banca”. Se Mediobanca oggi sdogana Unipol (e con essa la finanza “rossa” che nel 2005 aveva dato l’assalto al salotto buono) significa che qualcosa è davvero cambiato e che i “parvenue” non daranno in alcun modo fastidio al manovratore. Anzi. E sbaglia chi pensa che questa sia solo una questione economico-finanziaria: è una partita di potere e, come tale, la contropartita è (o sarà) soprattutto politica. Con il salvataggio del gruppo Ligresti si compie la lunga metamorfosi del gruppo Unipol-Coop ed anche probabilmente quella del suo partito di riferimento, il Pd, convinto sostenitore del governo Monti e delle sue liberalizzazioni. Quali effetti politici avrà l’invischiamento di Unipol nella ragnatela di Mediobanca lo vedremo presto. Quanto agli effetti economici, possiamo dire senza timore di smentita che la formazione di un così potente cartello al vertice dell’industria assicurativa imprimerà una volta in più una spinta al rialzo dei premi, soprattutto nel settore della RcAuto (che è obbligatoria), premi che – secondo i dati Isvap – negli ultimi due anni sono cresciuti in media del 26,9% anche per chi non ha mai fatto un incidente in vita sua.

 

Altre economie

GLI ORTI URBANI

La crisi picchia sempre più duro e pochi giorni fa il neopresidente della Bce, Mario Draghi, ha lanciato l’allarme sul progressivo peggioramento della situazione. Salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, da un punto di vista economico febbraio si preannuncia come un mese ben più gelido di gennaio. Così, mentre riscopriamo le virtù della zuppa di cipolle nel far quadrare il bilancio familiare, potremmo anche pensare di fare un passo ulteriore. Quella che fino a un paio di anni fa era soprattutto una moda – coltivare ortaggi sul balcone o in appezzamenti di terra strappati al degrado urbano – a Milano sta diventando una delle possibili risposte collettive alla crisi. Il primo giardino comunitario è stato realizzato nel 2009 al Parco Trotter da volontari e abitanti del quartiere di Via Padova. Oggi se ne conta ogni mese uno nuovo. Sono esperienze e progetti di coesione sociale a costo zero, che migliorano la vivibilità della città e permettono di produrre in proprio una parte del cibo che si consuma.
Da Detroit arriva un grande esempio: negli ultimi sei anni l’università del Michigan assieme a cittadini, associazioni e organizzazioni come The Greening of Detroit e Detroit Agricolture ha dato vita al Garden Resource Program, il programma che ha via via trasformato l’aspetto della città e la sua economia: dal 2004 al 2009 si è arrivati da 80 a 875 tra orti e giardini coltivati ed è nato un marchio – “Grown in Detroit” – che identifica le produzioni agricole cittadine di eccellenza. Nato come progetto per mitigare la sofferenza di una città che ha visto più che dimezzare la popolazione (da quasi 2 milioni a circa 900mila abitanti) a causa del declino industriale, si è presto trasformato in un volano della crescita. Oggi Detroit attira investimenti milionari nell’agricoltura urbana, sta creando posti di lavoro, ha fortemente ridotto degrado e criminalità urbana e si è posta l’obiettivo di coprire con le coltivazioni urbane il 75% del fabbisogno cittadino di verdura e il 40% del fabbisogno di frutta. E se funzionasse anche da noi?

 

Internet:

http://greeningofdetroit.com
http://detroitagriculture.net
http://www.umich.edu

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