venerdì, Aprile 26, 2024
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La fine della politica

La modernità e il labo­ratorio per ciechi di Saramago

Apro, inevitabilmente, con lo sber­leffo anche demagogico. Non è possibi­le astenersi. Il ministro Cancellieri ha recentemente paragonato l’attuale cri­si di legalità e credibilità del sistema politico (dal livello nazionale a quello regionale) “una nuova Tangentopoli”.

Ritorno con la memoria a quel biennio 92/93 e devo ammettere che, se ci si li­mita non solo al piano del malaffare e della corruzione, in realtà il paragone è fin troppo minimalista. La crisi economi­ca e finanziaria di oggi è di gran lunga peggiore di quella già molto pesante del ’92, come il livello di distruzione siste­matica del sistema industriale e produtti­vo del paese realizzato in questi vent’anni.

Senza contare lo sbracamento sconcio del livello culturale e “ideologico” della classe dirigente italica, che quando cerca di assumere un carattere austero, come quello che ci spaccia l’attuale “tecnicità” presunta panacea morale (basti vedere quali siano i criteri etici di selezione all’interno delle tante Bocconi e Luis e dei cda di aziende e fondazioni per aver­ne un’idea), diventa ancor più nauseante.

Nostalgia (quasi) dell’arrogante ma alto e spietato intervento in correo di Craxi alla Camera dei deputati nel ’92. Nostalgia, obbligatoria, se andiamo a guardare gli atteggiamenti arroganti e la finta indignazione di quella sorta di at­tempata comparsa di uno spettacolo di Lady Gaga che si è incatenata alla pol­trona di governatore della Lombardia al secolo Roberto Formigoni o dello svacco coatto di quell’ultrà da curva Nord che ci ha propinato in un mix devastante di vit­timismo e decisionismo da talk show di gossip Renata Polverini nel Lazio.

E proprio partendo da queste due re­gioni diventa evidente la continuità e il legame storico e strategico fra l’attuale crisi e quella emersa nel ’92 con l’arresto di Mario Chiesa. Un’evoluzione/ degene­razione progressivamente trasformatasi da prassi illecita a cultura.

E deflagra, nello scoperchiamento del­la cloaca politico/affaristica, una delle più oscene truffe mediatiche che ci siano state propinate in questi vent’anni: la bontà del decentramento e del federali­smo come panacea contro gli effetti de­generativi della prima Repubblica.

Un decentramento e un federalismo che hanno al contrario prodotto la cresci­ta esponenziale dei doppi incarichi, dei soldi spesi, delle tasse, delle metastasi dei comitati d’affari, degli sprechi e del clientelismo di massa. Le parentopoli oscene messe in atto dal centro destra nella Capitale non sono esclusiva del giù orrido sistema del potere di Alemanno ma anche dello speculare potere porchettaro della Polverini.

Ritorna alla memoria quell’incredibile siparietto tamarro della pajata e polenta in piazza Monte Citorio con l’apoteosi di menti bisunti, schizzi di sugo, rutti e ghi­gni compiacenti che videro protagonisti i Bossi e i Maroni, i Polverini e gli Ale­manno.

Dita unte e grasse esposte davanti al tempio del potere legislativo: “annamo a magnà, ce n’è per tutti”, il messaggio per nulla nascosto. “Se magna”. E hanno ma­gnato. Nel nome del federalismo e del decentramento, della modernità mediati­ca che si è auto-lobotomizzata per non vedere come in meno di 4 anni i bilanci della politica nelle Regioni si moltipli­cassero a dismisura.

Modernità oleosa come una piastra per arrostire salsicce in una sagra di paese, come quelle che piacevano tanto al buli­mico Fiorito. Che andava a tirare moneti­ne a Craxi e poi si bonificava sui propri conti privati i soldi che sottraeva come fosse una moderna e distorta versione di Robin Hood ai bilanci già enormemente gonfiati e grondanti vergogna del suo gruppo consiliare.

Modernità che ha risucchiato tutti, non solo gli ingozzanti tifosi di Berlusconi. Tutti. Una modernità che vuole sangue e lacrime da coccodrillo da sparare in tele­visione e sui social network per as­solvere la maggioranza del popolo della politica politicata da destra a sinistra e offrire i mostri più grotteschi dell’ubria­catura collettiva.

Modernità che si riduce in banalità di 160 caratteri e, per fare esempi compren­sibili, slogan da accidi sindaci toscani che si autodefiniscono il nuovo, i censo­ri, i rottamatori, per offrire una pappa di slogan e banalità ben impacchettati al pubblico per nascondere la fame non sa­zia di chi è stato marginalizzato dal tavo­lo del grande banchetto.

Modernità che è inventarsi un movi­mento di plastica con­dito da banalità e controllo orwelliano af­farucoli editoriali e piacionerie narcisisti­che come quello delle Cinque stelle che appena si avvici­na alla realtà si schianta sulla propria in­consistenza paranoide. Modernità che è il sistema informativo di questo paese che è passato dal vendere le penne a mettere in comodato gratuito le anime e i corpi del giornalismo italiano.

A vedere come stiamo andando alle prossime e sempre più sconcertanti ele­zioni politiche e alle tante elezioni ammi­nistrative regionali e locali che ci rovine­ranno addosso nei prossimi mesi non si può certo essere ottimisti. E ancor meno pensare che si stia prospettando chissà quale rivoluzione. Non confondiamo un presunto scatto d’orgoglio con un peto.

Dopo aver ascoltato la dichiarazione disarmante e disarmata (e profondamente minimalista) del ministro Cancellieri mi è tornato in mente un brano di Saramago, che sarebbe stata una perfetta surreale ri­sposta a quella ministeriali parole: “Sì, signor ministro, il manicomio, E allora vada per il manicomio, Del resto, sotto tutti i punti di vista, è quello che presenta migliori condizioni, perché non solo è circondato da un muro per tutto il suo pe­rimetro, ma ha anche il vantaggio di es­sere costituito da due ali, una da destina­re ai ciechi propriamente detti, e un’altra ai sospetti, oltre a un corpo centrale che fungerà, per così dire, da terra-di-nessu­no, attraverso cui coloro che siano diven­tati ciechi passeranno per andare a rag­giungere coloro che lo erano già”.

E’ l’assenza di idee ancor prima di di­gnità che lascia disarmati. Come se la ca­duta del potere per l’abuso delle proprie prerogative alla fine non alimentasse il rinnovamento delle persone e del senso di comunità ma la continuità del potere stesso. Ormai il manicomio è perfetta­mente costruito. E perfettamente organiz­zato.

L’unica speranza che rimane, per sabo­tare la perfezione del meccanismo, è che in questo momento di traballamento si inseriscano come spine nel monolite del potere persone che impediscano l’omo­geneità del flusso di scambio e ma­laffare. Creando dei piccoli cortocircuiti che ri­sveglino quel poco di sinistra che ha an­cora senso chiamare tale in questo Paese. Microscopiche speranze. A volte, temo, solo illusioni senili.

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