mercoledì, Novembre 13, 2024
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Il potere dell’immaginario mafioso

Padrini contro Eroi: ma è proprio un mes­saggio giusto?

A giugno l’attenzione di chi si occupa di mafia e antimafia è stata catturata da due fatti in apparenza distanti tra loro. Giovedì 6 su Mediaset è andata in onda la fiction “Il coraggio e la passio­ne” sulla storia di “Pupetta” Maresco (nella fiction Marico)., donna di camor­ra tra gli anni ’50 e ’80 (nella fiction Marico). 

Le reazioni dell’antimafia non si sono fatte attendere: Libera Campania e la Fon­dazione Polis si sono espresse contro. Leggendo la storia della Maresco si fa fa­tica a capire come si sia potuto anche solo pensare di cavarne una serie su “coraggio e passione”, in cui la giustizia evocata più volte dalla protagonista ha le forme della vendetta e della violenza. Le immagini sono quelle del boom economico degli anni’50 e i suoni quelli accattivanti della canzonetta napoletana. La bella protago­nista si ribella al ruolo di femmena tradi­zionalmente attribuito alle donne del Sud, quasi a voler emulare un percorso di emancipazione (irreale quanto illusorio) dentro la carriera crimi­nale.

Pochi giorni dopo, il web si è riempito di messaggi di indignazione per il menu austriaco del locale “Don Panino” che – facendo il verso al “Padrino” – offre pani­ni con nomi che mescolano boss ma­fiosi (Don Buscetta, Don Corleone) a per­sone che hanno perso la vita per il loro impe­gno antimafia (“Don” Falcone, “Don” Peppino…).

L’accostamento di vit­time e carnefici dovrebbe far andare di traverso qualsiasi cibo, ma diventa strategia di marke­ting.

Ciclicamente notizie come queste con­quistano unavisibilità a partire dagli epi­sodi più disparati: dai videogiochi sulla mafia in cui chi gioca impara a diventare un vero padrino, al reality Usa Mob Wi­ves o la ormai famosa serie tv, sempre made in Usa, Sopranos.

Fino alle tante fiction nostrane che met­tono in scena sto­rie ispirate alle più feroci cronache di ma­fia, camorra o ‘ndrangheta (Il capo dei capi, Romanzo criminale, Squadra Anti­mafia, L’onore e il rispetto, Il peccato e la vergogna, e la lista potreb­be continua­re).

In Campania pochi mesi fa i cittadini di Scampia avevano espresso forti critiche rispetto alla scelta di Sky di girare la fic­tion ispirata a “Gomorra” in un quartiere già sovraesposto mediaticamente, che fa fatica a far raccontare di sé – oltre al nega­tivo – anche il lavoro sociale e culturale portato avanti da molte associazioni, gior­no dopo giorno.

Il filo che accomuna tutti questi casi è: quale rappresentazione si vuole dare della mafia e dell’antimafia,di mafio­si e anti­mafiosi? C’è un aspetto del feno­meno ma­fioso – di tipo “culturale” – che non si può sottovalutare: il fascino eserci­tato dall’immaginario mafioso sulla cultu­ra socialmente condivisa e, al tempo stes­so, la sostanziale invisibilità di chi si im­pegna quotidianamente per il contrasto sociale alle organizzazioni e alle culture mafiose.

Negli ultimi anni il tema “mafia” si è imposto all’attenzione mediatica come mai prima. Si assiste a una vera e propria sovrapproduzione mediale. Mafia, camor­ra e ‘ndrangheta sono diventate di fatto brand commerciali, simboli del made in Italy: le magliette con Il Padrino o le tre scimmiette non-vedo-nonsento-non-parlo.

Nel solo settore ristorazione, a parte il caso austriaco, livesicilia.it segnala il ri­storante argentino “Arte de mafia”, e su libera informazione.org si trova un altro “menù piccante come la vendetta” trovato da chi scrive a Vilnius in Lituania. Infine, si è sviluppata una vera e propria mitolo­gia dell’antimafia, per la quale nella lotta alla criminalità organizzata sembra esserci posto solo per eroi post-moderni, spesso stereotipati al pari dei padrini.

Ma il modo in cui si rappresentano que­ste storie non è neutro: è molto diverso definire la mafia come fenomeno sempli­cemente criminale o come fenomeno complesso (sociale, culturale, politico ed economico).

Al primo modello corrispon­de una ri­sposta dello Stato di tipo pura­mente poli­ziesco e repressivo e un mecca­nismo di distacco e delega da parte dei cittadini.

A una rappresentazione multidimensio- n­ale del problema, invece, corri­sponde una ri­sposta complessiva, certo più diffi­cile da raccontare, ma che chiama in cau­sa tutti: le istituzioni, le im­prese, la scuola e l’uni­versità, il mondo della cultu­ra, l’informa­zione.

Anche rappresentare l’antimafia solo at­traverso gesta eroiche e storie eccellenti allontana i giovani e i cittadini dalla con­sapevolezza di poter fare ciascuno la pro­pria parte.

La sfida non è racconta­re meno sto­rie, ma di racconta­re meglio sto­rie diffe­renti, capaci di ren­dere la gra­vità e il dolo­re del­le vicende mafio­se e, al tempo stesso, la straordina­rietà della quo­tidiana (r)esisten­za delle donne e degli uo­mini di un movi­mento antimafia (questo sì po­trebbe esse­re un made in Ita­ly da esporta­re) capace di liberare le ter­re di mafia e renderle terre di sviluppo, verità e giusti­zia.

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