sabato, Aprile 27, 2024
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In morte di Sarina Ingrassia

Deceduta a Monreale la decana del volonta­riato e dell’associazio­nismo siciliano

Quando l’affetto, la stima e la vici­nanza ideale con una persona che ci ha lasciati si mischia con il dovere di rac­contarla a chi non l’ha conosciuta – o non l’ha conosciuta abbastanza – succe­de che certi articoli non si vorrebbe scriverli.

Avevo già pensato che dovevo comin­ciare a raccogliere le idee sul percorso umano e sociale di Sarina Ingrassia per­ché si perdesse meno possibile di uno straordinario patrimonio ideale, quando, durante il nostro ultimo incontro, compre­si che Sarina aveva deciso che il suo per­corso si dovesse fermare lì.

Si, perché mi piace pensare che Sarina avesse discusso anche del Suo trapasso con il Padreterno che amava profonda­mente, ma con il quale aveva un rapporto molto dialettico che la portava anche ad adirarsi con Lui per il dolore degli ultimi, lei donna che aveva preso sempre sopra di sé la responsabilità di occuparsi delle in­giustizie sociali, mai lasciate solo al Cie­lo.

Se si vuole rischiare la sintesi di una vita più intensa di quanto non sia stata lunga, si deve parlare di una storia esem­plare di donna impegnata nel mondo della povertà e dell’emarginazione che ha rap­presentato apparenti contraddizioni che erano il segno di una dedizione completa verso gli altri che, però, non faceva velo ad una grande autonomia di coscienza e di pensiero.

Donna che si sentiva parte della Comu­nione della Chiesa, ma consapevole della compresenza in Essa di sensibilità e com­portamenti diversi, talvolta inconciliabili. 

Una Chiesa di base 

Sarina era fautrice di quella Chiesa di base che aveva contribuito a costruire nel tempo con i gruppi comunitari degli anni ’60 e ’70 e, grazie ad una grande “curiosi­tà” intellettuale ed ad una anticonformisti­ca apertura spirituale, incrociò esperienze innovative, più autenticamente ispirate ad una pratica evangelica, come quella della Comunità di Taizè fondata dal monaco Frère Roger.

Questa sua predilezione per una Chiesa “di strada” rivolta al dolore degli ultimi non poteva che determinare in lei una net­ta opposizione, “senza se e senza ma”, a parte significativa della nomenclatura cle­ricale, soprattutto della importante Dioce­si della sua Monreale, dominata per lungo tempo dal Vescovo Cassisa, esponente di una Chiesa di potere e chiaccheratissimo, insieme al suo entourage, perché coinvol­to in diverse inchieste giudiziarie sulla ge­stione economico-finanziaria della Dioce­si, con sullo sfondo rapporti inquietanti con mafia, politica ed affarismo. 

La laicità della vita pubblica 

Ma la diversità di opinioni con la Chie­sa, soprattutto nelle articolazioni a lei più vicine, non riguardava solo il profilo di coerenza delle gerarchie, ma anche due aspetti fondamentali sul piano concettua­le, ossia l’affermazione della laicità nella vita pubblica – più nella pratica che nelle enunciazioni – e il rispetto della solidarie­tà verso i bisognosi, ma sempre in una lo­gica di promozione sociale e di supera­mento politico delle forme di ingiustizia sociale.

Per comprendere insieme la straordina­ria dedizione e l’incondizionata generosità di Sarina, ma anche per rilevarne la sua impostazione di operatrice sociale, basta riportare un episodio degli ultimi giorni della sua vita, quando visitata da un’asso­ciazione di volontariato che meritoria­mente assiste i malati terminali di cancro, minimizzando sulla sua dolorosissima si­tuazione, chiedeva al medico se poteva in­dicargli una brava nutrizionista che potes­se dare delle informazioni ad alcune mamme dei suoi amati bambini del quar­tiere in difficoltà della Bavera che non avevano strumenti adeguati per curare una corretta alimentazione dei figli. 

Contro tutte le forme di povertà 

Quanto al superamento dello status quo, Sarina, donna schiva e refrattaria ad ogni forma di appariscenza personale, superò la sua esitazione a raccogliere la proposta di Rita Borsellino a candidarsi alle elezio­ni regionali del 2006, dettando, però, con­dizioni per un’attenzione particolare nell’attuazione del programma politico alla lotta contro tutte le forme di povertà – materiale e culturale – e di un rigore asso­luto nella composizione della lista, da ren­dere inaccessibile ai trasformisti della po­litica che confondono realismo politico con incoerenza ed opportunismo.

Bella l’immagine di questa piccola don­na, tanto schiva e modesta, che, però, non si sottraeva al compito di salire sul palco del suo affollato e vibrante comizio di conclusione della campagna elettorale du­rante un affollatissimo concerto sponta­neamente organizzato per lei nella piazza di Monreale da giovani artisti, venuti per l’occasione anche da lontano.

Volle fortissimamente la sede della sua associazione “il Quartiere” – sempre aper­ta ai bisogni della gente – in una piccola casa tra le altre modeste case di cui, però, presto e suo malgrado, si diffuse la noto­rietà che portò stuoli di visitatori da tutto il mondo per conoscere questa esperienza di intervento sociale e divulgarla attraver­so interessantissimi servizi giornalistici.

Sarina fu punto di riferimento di tantis­simi giovani – monrealesi e non – passati dall’impegno nell’associazione, ma anche di un ben più vasto mondo dell’associa­zionismo siciliano impegnato nel sociale dove lei, grazie alla sua apertura intellet­tuale, rappresentava un punto avanzato di innovazione nell’intervento nel territorio, senza trascurare il tratto del calore umano per una vera promozione sociale.

Guardando i tantissimi volti che gremi­vano il Duomo di Monreale per ren­dere l’ultimo omaggio a Sarina, il pensie­ro sfuggiva e si confondeva tra tante imma­gini e arrivava a fissarsi per un attimo per­fino nel testo di una canzone di Vasco Rossi: “Quando cammino in questa valle di lacrime vedo che tutto si deve abbando­nare: niente dura, niente dura e questo lo sai. Però non ti ci abitui mai”.

Forse, molta della nostra realtà sta come espressa dalla sensibilità del poeta. E, in­fatti, non ci si abitua mai alla scomparsa di una piccola donna così modestamente importante, magari semplicemente pro­vando ad andare avanti, come piacerebbe a lei, sulla strada dell’ostinata ricerca del­la giustizia sociale.

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