venerdì, Maggio 3, 2024
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“Il partito della mafia”

Una volta è venuto a trovarci al Giardino di Scidà, bene confiscato alla mafia, il Professor Veenendal dell’Università di Leiden in Olanda. Accompagnato dalla Professoressa Sampugnaro del Dipartimento di Scienze Politiche di Catania, voleva sapere di più su mafia e politica. Era tanto alto che doveva passeggiare per l’appartamentino, che fu di Nitto Santapaola, con la schiena piegata. Era tanto elegante e garbato che molti al Giardino se ne innamorarono. Ci chiese, tra le altre cose, quale fosse il partito della mafia e se la mafia avesse mai perso le elezioni.

La risposta fu lunga e appassionata e riecheggia nella mia testa adesso: che il vicepresidente della Regione Sicilia è stato interdetto dai pubblici uffici, che il Sindaco di Paternò è stato quasi arrestato, che il Sindaco di Tremestieri è in galera, che i comuni di Randazzo, Palagonia, Castiglione di Sicilia sono stati sciolti per mafia, che a Partinico la Procura ha rastrellato mezza politica e mezza imprenditoria cittadina. Riecheggia in queste settimane che, un giorno sì e uno pure, un politico viene arrestato.

La risposta

Se la mafia è composta da qualche bandito col T-Max e la tuta gold, da una manciata di gruppi di spacciatori e dalle loro vedette, da raffazzonate bande di rapinatori, magari residenti nei più poveri appartamenti popolari di Librino e di San Giovanni Galermo, dello Zen2 o di Brancaccio, allora questa mafia le elezioni non le ha mai vinte e non sa che cosa sia un partito. Può mai comandare una mafia di miserabili che scuole e istituzioni non hanno mai salvato dalla miseria, cittadini di uno Stato diverso da quello che si studia nei libri di diritto, carne da macello a disposizione di chi comanda, relegata ai margini della democrazia ed esclusa dalle cartoline per i turisti?

Se la mafia è invece quel sistema di potere che tiene insieme i soldi del riciclaggio di droga, armi e scommesse, gli interessi di una parte delle imprese di aggirare norme e gare d’appalto, gli interessi della politica di conservare influenze e prebende, allora la mafia vince assai spesso le elezioni e il partito della mafia è qualunque partito che governa. C’è una foto del 1980 scattata durante una festa a casa di Franco Romeo, importantissimo imprenditore della Catania del tempo: a sinistra c’è Romeo, a destra c’è il Sindaco Coco della Democrazia Cristiana, al centro c’è Nitto Santapaola, capo della mafia. Tutti e tre, elegantissimi, hanno un bicchiere in mano e brindano a favore di macchina fotografica. La mafia è quella foto lì.

Come funziona da noi la democrazia

C’è la destra, c’è la sinistra, ci sono i simulacri dei partiti e poi c’è un’immensa zona grigia fatta di cognomi e centri di assistenza fiscale. In Sicilia la maggior parte di quelli che fanno politica non sono tesserati a un partito ma aderiscono a un “clan politico” (non mafioso, si intende, non sia mai qualcuno fraintendesse). Di “clan” ce ne sono di diversi: alcuni sono solo su un livello comunale e zonale, altri hanno un livello provinciale, altri addirittura regionale. Così se a un consigliere di municipalità tu chiedi di che partito è, quello ti risponde: “Io sto con Sammartino”. “Sto con Cuffaro”. “Sto con Raffaele Lombardo”. “Sto con Barbagallo”. “Sto con Firrarello”. “Sto con Pogliese”. “Sto con Galvagno”. Oppure, su un livello più basso: “sto con Bottino”, “sto con Capuana”, “sto con Barresi” (nomi dei più influenti consiglieri comunali catanesi). Il posizionamento politico, il nome del partito nel quale si transita per opportunismo, è assolutamente indifferente e irrilevante. Può essere il Partito Democratico, può essere la Lega. La politica, libera da qualsiasi pulsione ideale o schieramento nel dibattito nazionale, è adesione amicale a un “clan” che ha il compito di dare protezione, soddisfare le ambizioni di occupare posti di potere, fare carriera, ottenere vantaggi personali. Esempio clamoroso è Daniele Bottino, consigliere comunale di Catania, capogruppo del più grande gruppo consiliare del centrosinistra legato a Enzo Bianco, transitato alle ultime elezioni comunali nel centrodestra e risultato essere il consigliere comunale più votato di Fratelli d’Italia.

Le attività dei signori delle preferenze sono sempre le stesse: una rete più o meno capillare di centri di assistenza fiscale; la capacità di agganciare politici, assessori, funzionari e dirigenti pubblici, primari di ospedali, presidi di scuole, per garantirsi la possibilità di ricevere benefici e raccomandazioni, per sé e per chi a loro si rivolge; una o più segreterie politiche dove ricevere i postulanti e tentare in ogni modo di risolvere i loro problemi, con intensità proporzionale al vantaggio elettorale e di potere che si può ottenere. Appartengono alla mitologia le file dietro la porta di via Pola, dove riceveva Raffaele Lombardo, di via Gabriele D’Annunzio, dove riceveva Luca Sammartino, del bar Kennedy di Corso Sicilia, dove riceveva Pino Firrarello.

La semina e la raccolta

C’è la fase della semina, quella nella quale i signori delle preferenze aprono i loro CAF, attivano i loro uffici, ingaggiano consiglieri di municipalità, consiglieri comunali, presidi di scuola, funzionari pubblici, primari e medici negli ospedali, medici di base, proprietari di scuole guida, rappresentanti sindacali. Carrarmatini del proprio esercito, schierati con intelligenza e strategia come in una partita di Risiko. Poi si apre la fase della raccolta, preceduta però spesso da grandi riunioni segrete, magari in casa, a pranzo o a cena, il più delle volte con famiglie al seguito. In quelle riunioni si informa il cerchio magico dell’impegno elettorale imminente. Il messaggio che si lancia è perentorio: “conquistare ogni voto possibile, con ogni mezzo”. E poi il solito panegirico sull’essere famiglia, sull’impegnarsi, sulle prospettive per ognuno di coloro che si impegnerà. Ed ecco la raccolta. Pare che Luca Sammartino, così dice la leggenda, alle elezioni regionali nelle quali conquistò 32mila voti, stampò più di due milioni di fac-simili. Tre per ogni elettore della provincia di Catania. Durante la raccolta ogni primario chiama i suoi, ogni preside, ogni funzionario. E in quell’impazzimento elettorale si raccoglie tutto, si supera ogni confine, non si fa alcuna differenza tra voti puliti e voti sporchi. “Tanto se non lo faccio io lo fa qualcun altro, e ci fotte” è la consolazione che dovrebbe salvare la coscienza dei galoppini con qualche dilemma morale.

Il voto

Il voto è puramente clientelare: un favore fatto a una persona che a sua volta ti ha fatto un favore o potrà fartelo. Il voto è un debito da saldare o un credito che prima o poi potrai riscuotere. Quel voto garantisce il “clan politico”e così alimenta il circolo vizioso della clientela. La solita cerchia di politici, imprenditori, funzionari e portatori di voti (più o meno legati ad ambienti opachi), definita dal cognome del “capoclan” alimenta il suo potere. Il collocamento elettorale è solo funzionale a garantire le promesse clientelari fatte in campagna elettorale e quindi volatile: Luca Sammartino, in qualche mese può passare da Udc, articolo 4, partito democratico, Italia Viva e Lega Nord senza perdere nemmeno un voto.

Poi c’è il rapporto con la mafia, che è quello più delicato, anche da scrivere. Ultimamente non è affatto chiaro se siano i clan mafiosi a cercare di infiltrare la politica e le istituzioni o se sono i politici e i rappresentanti istituzionali a cercare appoggi e protezioni da parte delle famiglie mafiose. È un fatto però che nella zona grigia della politica clientelare si sono sempre annidati gli interessi di Cosa Nostra. Se ne accorge la gente ogni giorno, lo scrivono i magistrati dopo qualche anno di indagini.

Infine c’è il rapporto con i dirigenti nazionali dei partiti. Loro ammiccano, acconsentono, fanno finta di non vedere e quando non possono fare finta di non vedere, allora fanno finta di non sapere. In realtà sanno benissimo. Il fatto è che con quei voti Segretari nazionali e ministri ci costruiscono intere carriere politiche, determinano vittorie e sconfitte nazionali. Quei voti stabiliscono se il partito avrà o meno il vanto del Sindaco di una grande città o un presidente di Regione. Per i mercenari della politica ci sono sempre posti e porte spalancate, costi quel che costi. La mafia? Non sapevano, non potevano immaginare.

Il capro espiatorio e la questione mafiosa

Ogni tanto la magistratura sembra avere un sussulto e qualche politico finisce arrestato o interdetto dai pubblici uffici. Negli ultimi giorni a passare per la forca c’è Luca Sammartino, raggiunto dall’interdizione dai pubblici uffici e costretto a dimettersi da vicepresidente della Regione per un’inchiesta su mafia e politica nel territorio di Tremestieri Etneo. La cosa più preoccupante e inquietante dell’inchiesta su Sammartino è che nessuno ne è rimasto sorpreso. I commenti delle ore successive erano del tenore: “lo hanno beccato”, “finalmente lo hanno preso”, “si è fatto azziccare”. Nessuno, che io sappia, si è stupito, ha gridato allo scandalo, ha annunciato l’abbandono del partito perché un suo autorevole dirigente si è macchiato di condotte assai discutibili, al di là della loro rilevanza penale. È come se tutti sapevano e si attendeva solo di capire se sarebbe riuscito per sempre a farla franca. Ora che “è stato beccato”, Luca Sammartino apparirà come l’ennesimo capro espiatorio di questo sistema politico, come fu Cuffaro, come fu Lombardo (Sammartino non è stato condannato, Lombardo è stato assolto). Con il rischio che tutti rimangano a guardare il dito, mentre il dito indica la luna.

In Sicilia e in Italia non esiste un caso Sammartino, come non è mai esistito un caso Lombardo o Cuffaro. Qui esiste una questione morale, che sarebbe meglio definire, per onestà intellettuale, “questione mafiosa” che inquina nel profondo la nostra democrazia. A ogni inchiesta della magistratura sembra che un pezzo di politica e di giornalismo siciliano si sveglia dal letargo e si accorge della realtà. Ogni volta si deve attendere un’azione di qualche magistrato per ragionare sulla degenerazione del potere in Sicilia. Tra qualche mese, è inesorabile, usciranno nuove notizie “sconvolgenti” sulle infiltrazioni mafiose al comune di Catania, dove Riccardo Pellegrino, già deferito alla commissione parlamentare antimafia, viene eletto quasi all’unanimità vicepresidente del consiglio comunale. Poi sarà la volta di altri politici, di altre elezioni. Nel frattempo si continuerà a fare finta che tutto sia normale e si continuerà a giocare a questa finta democrazia: Raffaele Lombardo qualche ora fa ha dato il sostegno elettorale, per le prossime elezioni europee, a Caterina Chinnici, candidata di Forza Italia, dopo essere stata deputata del PD e candidata del centrosinistra alla presidenza della regione Sicilia. La candidata per la quale Sammartino faceva campagna elettorale alle scorse elezioni europee.

Poveri noi

Potrebbe non fregarcene niente. Ma tutto questo influenza drammaticamente le nostre vite. I bambini che fanno un anno in meno di scuola alle elementari perché non possiamo avere il tempo pieno. I soldi che servirebbero a strade e ferrovie dirottati sul ponte sullo Stretto. Le risorse e le competenze che servirebbero per garantire il diritto alla salute barattate per qualche posto di primario da dare a qualche amico, per qualche appalto da dare a privati. Ventimila ragazze e ragazzi che ogni anno scappano dalla Sicilia per cercare lavoro, futuro e dignità in altre parti d’Italia e del mondo. Il venti per cento di bambini che abbandona la scuola prima di aver finito la terza media.

Il nostro partito

A Palagonia un gruppo di ragazzi si inizierà a prendere cura di un bene confiscato tolto a uno dei tanti galoppini della nuova DC, a Partinico una cooperativa agricola difende un terreno confiscato alla mafia dal tentativo di farci un parcheggio per i soliti imprenditori disonesti, a Palermo tante associazioni denunciano il proliferare del crack svenduto dalle cosche a 5 euro a dose, a Favara un giovane Sindaco si riprende i beni confiscati e viene minacciato dai clan, a Randazzo i cittadini onesti sfidano tutto l’arco costituzionale colluso col potere mafioso. Ragazze e ragazzi girano la Sicilia dicendo che i soldi dei mafiosi vanno confiscati e usati per creare lavoro e diritti.

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