giovedì, Dicembre 12, 2024
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I professionisti dell’anti-antimafia

Come si stava bene in Sicilia quando c’erano i Cavalieri (quelli dell’apocalisse mafiosa), dice l’editorialista del principale giornale siciliano, Zermo; e non gli risponde nessuno, salvo il solito “ossessionato dalla mafia” Claudio Fava. Che fesseria in sostanza l’illusione (dice l’editorialista del principale giornale italiano, Merlo) dei “professionisti dell’antimafia”, di cui già parlava Sciascia. Che belli quei vecchi pezzi da novanta del “Giorno della Civetta”: mafiosi sì, ma insomma “uomini di rispetto” con cui si poteva dialogare alla pari, guardandosi rispettosamente negli occhi da baffo a baffo. E che bella antimafia, quella di Sciascia! Nobile, attenta al folklore, elegante nei circoli perbene; nemicissima dell’illusione (da “professionisti”) che il potere mafioso si possa abbattere per davvero, e tutti insieme.

Non c’era solo Sciascia in Sicilia, che morì ricco e rispettato e a tarda età e nel suo letto. C’erano anche altri scrittori. Che morivano poveri, dopo essersi venduti la casa per fare i loro giornali. Morivano per la strada, a colpi di pistola. E un’ora dopo la loro morte la mafia giornalista cominciava già a calunniarli per cancellarne anche il ricordo dalla faccia della terra. Anch’essi avevano qualcosa da dire, sui mafiosi. Scriveva – per esempio – Giuseppe Fava:

«Sciascia è convinto che la mafia sia un sottile gioco di cervello. La condizione umana non è influente: la povertà, l’ignoranza, il dolore non entrano nel gioco. In nessuno dei personaggi di Sciascia, dietro la violenza, ci sono mai la sofferenza sociale dell’uomo, il dolore dell’individuo, la sua disperazione di potere altrimenti modificare il destino, e cioè gli antichi e immutati dolori del Sud: miseria, solitudine, ignoranza. I personaggi entrano in scena e sono già disegnati, con tutti i loro abiti indosso, ognuno deve recitare la sua parte già scritta, senza mai spiegare il perché, essi sono il buono, il cattivo, l’uccisore, il testimone, la vittima, senza mai dare spiegazione, com’è accaduto: per quale dolore, ribellione o inganno quel tale sia nel ruolo di assassino e l’altro in quello della vittima.

«Sciascia non narra mai di grandi passioni sentimentali. Nel suo universo la donna, come costante essenziale di tutte le altre vicende umane, non esiste. Protagonisti sono i capipopolo e gli assassini, i cardinali, i ruffiani, i colonnelli dei carabinieri, i ministri, i confidenti di polizia, i teologi, i viceré, gli accattoni: la donna mai!

«Sciascia non ha un’idea politica precisa. Quasi certamente è convinto che la politica sia un mezzo che la società offre all’uomo per realizzarsi come individuo, non certo uno strumento della società per risolvere i suoi problemi. È una specie di liberale di sinistra, politicamente fermo alla Sicilia del dopo Crispi, nella quale i grandi problemi della società potevano essere risolti dal superiore talento di alcuni uomini, mai dalla trascinante violenza o dalla ribellione e disperazione delle masse.

«Queste grandi forze possono essere utilizzate storicamente da alcuni individui, mai essere protagoniste. Anche la politica dunque non è uno scontro dei bisogni popolari dell’umanità, che non ha perciò cicli politici in evoluzione, l’uno diverso dall’altro e determinati da nuove, profonde necessità storiche, ma da un eterno gioco di poche intelligenze opposte».

Facile fare antimafia alla moda, fra scetticismi e cerimonie, alla maniera di Merlo o Sciascia. Facile, e popolare, perché non fa male a nessuno. Difficile invece, e impopolare come poche altre cose al mondo, fare antimafia vera e concreta – e dunque potenzialmente “eversiva” – seguendo l’insegnamento di uomini come Giuseppe Fava. Eppure, alla lunga, l’antimafia difficile fa più strada.

(2002)
Riccardo Orioles

 

Sciascia e il potere

Lasciamo perdere la letteratura, e vediamo i fatti.

Borsellino. Sciascia mette sotto accusa la nomina del giudice Borsellino a Marsala perchè non ha abbastanza scatti di anzianità. In provincia di Trapani, negli ultimi tempi, sono emerse le piste più interessanti sui concreti rapporti fra mafia e politica: una loggia massonica di tipo piduista e una banca coi dirigenti mafiosi. Il trapanese è un crocevia importantissimo per gli equilibri mafiosi di alto livello; forse il più importante. Catanesi e palermitani vi operano con tutti i loro mezzi, tanto militari quanto finanziari. L’ultimo “professionista dell’antimafia” che ha cercato di Indagarci è stato il giudice carlo Palermo; minacciato, bombardato e infine costretto – non innocente il governo – a cambiare praticamente mestiere. Ora tocca a Borsellino. Del quale, dice Sciascia “nel momento in cui ho scritto nulla sapevo”.

Orlando. Non si tratta di generiche polemiche sul nongoverno. In questo momento, in Sicilia, il gioco politico è incontestabilemente nelle mani dell’onorevole Salvo Lima. Ha vinto le elezioni, sfrutta le fortune di Andreotti, è fortissimo nel partito. Adesso, nel momento in cui il Pci siciliano è allo sbando, scavalca tutti e propone alla Dc un’apertura ai comunisti. Il nome di Lima, come Sciascia sa, ricorre qualche decina di volte nei verbali dell’antimafia; adesso è quello del nuovo candidato alla guida del “rinnovamento” cattolico. Unico ingranaggio incompatibile, in questo meccanismo, è il sindaco Orlando: isolato, sotto tiro, scomodo per tutti, è nondimeno il segno di qualche cosa; bisogna passare su di lui prima di dar corso ufficiale alla restaurazione. E Sciascia individua in Orlando, qui e ora, il politico da contrastare. E’ suo diritto, naturalmente; e anche di Lima, del resto; ognuno fa politica come può. Che “Sciascia non fa politica, d’altra parte, è un mito da sfatare. Adesso, per esempio, Sciascia fa sapere di avere il sostegno di quei sindacalisti palermitani che da tempo cercano di opporre all’incontrollabile” (e indipendente) coordinamento antimafia un loro più malleabile comitato concordato fra le forze politiche ufficiali.

Processi. I processi alla mafia andranno, probabilmente, allo sfascio; non per una qualche metafisica “mostruosità giuridica” ma perché, più semplicemente, si sarà infine riusciti a impedirne il regolare svcolgimento. A Messina, fra imputati, legali e testimoni, i morti ammazzati sono già mezza dozzina; a Palermo si è bloccato il processo per ottenere la lettura in aula di tutti gli atti: ma una volta ottenutala… gli atti sono stati letti in mezzo a un’aula deserta. Garantismo? Furberia da piccola pretura? Mah. D’altronde, sono tattiche difensive giustificabili, probabilmente, sul piano del rapporto professionale fra l’avvocato e il cliente, che paga e vuol essere ben servito; soltanto, non ci sembra il caso di proporle come modelli di civismo e democrazia.

Democrazia. Per quanto strano, qualche po’ di questa merce, in questi anni feroci, è attivato perfino in Sicilia. Gli studenti che hanno fatto i cortei (ma: “i ragazzi bisogna lasciarli a scuola” ammonisce Sciascia) hanno imparato, perlomeno, che la cosa pubblica attiene a ciascuno di noi; qualche professionista ha pur rischiato la pelle per svolgere onestamente la sua professione; qualche giornalista ha pur stampato per quattr’anni a duecentomila al mese per poter scrivere senza censure; una donna qualunque è pur andata, in feroce solitudine, al tribunale per denunciare – peraltro invano – gli assassini di suo marito; duecento cittadini comuni – insultati da Sciascia, guardati con sufficienza dalla sinistra perbene, denunciati alal mafia dal Giornale di Sicilia – hanno pur trovato il coraggio, vivendo a Palermo, di essere il Coordinamento Antimafia. Questa è la democrazia, cari amici milanesi, una democrazia per cui si può anche morire in Sicilia, come in Polonia o in Cile. Perché in Sicilia, purtroppo, oggi come oggi c’è ben poco da garantire; la Costituzione, qui, non ha mai avuto vigore se non nei discorsi ufficiali. Unico potere reale: i Rendo e i Lima. Unica reale opposizione: i movimenti antimafiosi.

Certo, è una democrazia, la nostra, che Sciascia non può comprendere. “I ragazzi a scuola!”. Certo: e i preti a dir messa, e i sindaci chiusi in municipio, e i cittadini tranquilli, e le donne a casa; ciascuno al proprio posto, nella migliore delle Sicilie possibili. E i giudici? I giudici a farsi i loro processi in santa pace, lontani da ogni curiosità indiscreta: “non resta che applicare il pieno e intero segreto istruttorio. La rescissione di ogni legame, a parte le eventuali conferenze stampa fra giudici e giornalisti…”: il regime, insomma, nel nome delle garanzie; e al più con qualche mafioso “all’antica”, alla don Mariano Arena, raccontato in pensose pagine al pubblico italiano.

Non c’è una lapide, in Sicilia, non una piccolissima piazza che ricordi, tanto per dirne una, uno scrittore come Giuseppe Fava; anche lui siciliano come Sciascia, ma in ben diverso rapporto col potere mafioso; ucciso, e dimenticato. Per Sciascia, il potere s’è mosso, e con molto senso della tempestività: fra le molte istituzioni della Regione siciliana da ora ci sarà anche una Fondazione Sciascia, inaugurata in pompa magna dai rispettabili esponenti del buongoverno siciliano.

Sarebbe interessante studiare come mai tanta parte della letteratura italiana finisca, prima o poi, in feluca; e come mai il dannunzianesimo – il giudizio apodittico, la superficialità nel dar rapido conto di ciò su cui altri travaglia la vita, la facilità a dar dell’asino o del criptocomunista al diversamente pensante – abbia ancor tanto corso tra l’ufficialità intellettuale del Paese, e come mai soprattutto i problemi più seri da noi finiscano regolarmente in letteratura da terza pagina, in intrattenimento televisivo, in “spettacolo” culturale. Perché insomma in Italia, prima o poi, le questioni controverse finiscano sul tavolo del Vate Nazionale di turno, ex garibaldino o ex futurista o ex illuminista che sia.

Una cosa soprattutto ha destato scandalo nel comunicato del Coordinamento antimafia di Palermo (quello “ingenuo”, intendiamo, quello da cui era cosi’ “facile” dissociarsi), il fatto che fosse stato redatto da due studenti e un commerciante: gente ordinaria, ohibò!, certo strumentalizzata, ma da compatire. A me va benissimo che a prendere la parola, oltre ai Grandi Intellettuali di turno, siano anche gli studenti e i bottegai; specialmente quando rischiano ogni giorno la pelle in una città tradita. Mi piacerebbe se la sinistra civile su questa e su altre questioni desse loro, umilmente, qualche po’ di attenzione.

(1987)
Riccardo Orioles

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