martedì, Aprile 16, 2024
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Holding ‘ndrangheta l’affare sanità

Nella sanità calabrese rubano in tanti, altri tengono il sacco. Non sono solo “addetti” ai lavori. Monsignor Antonio Luberto si è arricchito sulla pelle dei quasi quattrocento poveracci ricoverati nella casa di cura “Papa Giovanni” e costretti a vivere con la scabbia addosso e nel sudiciume. I soldi non li portava nella clinica che la Curia gli aveva affidato. Comprava quadri d’autore, arredi per il suo appartamento, mobili di lusso, automobili (dodici) e rimpinguava i suoi conti correnti passando da missionario a milionario della sanità.

Quasi sempre le truffe sono “invisibili” – oltre ottantamila pazienti fantasma, emigrati e morti da decenni sono ancora iscritti negli elenchi dell’assistenza sanitaria regionale – e i farmaci vengono “regolarmente” prescritti a defunti e assistiti ignari per malattie inesistenti e terapie non necessarie. L’ultimo episodio alla fine di luglio a Crotone dove la procura e i Nas scoprono un giro di prescrizioni (di fascia A, le più costose) fasulle, arrestano un farmacista, Luigi Lucente, e mettono sotto inchiesta 42 medici. Oltre ventimila ricette alcune delle quali intestate ad almeno trenta persone decedute da tempo, sarebbero state confezionate con fustelle fasulle e presentate all’Asp per ottenere i rimborsi previsti dal servizio sanitario nazionale per le farmacie. Il “sistema” – oltre un milione di euro truffati all’Asp di Crotone – sarebbe stato messo su da Lucente con la complicità dei medici di famiglia.

Nella Piana di Gioia Tauro non va meglio con i servizi territoriali, 23 ex uffici sanitari, oggi uffici periferici Sisp, il doppio di quanti ne servono. I presidi di Anoia, Cittanova, Feroleto della Chiesa, Melicuccà, Rizziconi, Serrata e Terranova sono stati chiusi, ma stanno riaprendo alla spicciolata. Nella guardia medica di Cosoleto, un paese di novecento abitanti, lavorano a rotazione “solo” quattro medici per coprire il fabbisogno degli utenti e a due passi c’è anche l’ufficio di Varapodio, poco più di duemila abitanti, e l’ospedale di Oppido Mamertina. Il Sisp centrale, nella sede di Palmi è diretto dall’ex capitano medico Domenico Mittica – nipote di Ciccio, morto nel Lager nazista di Fullen – coadiuvato dalla sua ex compagna e da una puericultrice adibita a mansioni amministrative. Si capisce, lavoratori infaticabili: certificati medici e infermità che li impossibilitano al loro lavoro per lunghi periodi e compiacenti dichiarazioni per ottenere il cambio di mansioni.

Come gli infermieri della chirurgia di Gioia Tauro e di Melito Porto Salvo, dove le lunghe malattie non guardano in faccia nessuno: il 35% dei dipendenti è affetto da inidoneità fisiche: mal di schiena, allergie al sangue, depressioni li costringono a lavori d’ufficio invece che a turni di notte o in sala operatoria.

Si spende ancora in appalti per queste fatiscenti strutture. A Taurianova e Cittanova sono stati ultimati da poco i lavori di adeguamento dei locali delle sale mortuarie. A Taurianova le sale mortuarie sono state destinate, con provvedimento del direttore generale del’Asp 5 di Reggio Calabria d.ssa Rosanna Squillacioti, ad uffici del Servizio veterinario; a Cittanova sono state ultimate, ma l’ospedale era chiuso da tempo.

E chi dovrebbe controllare? Centinaia di ettari di agrumeti e uliveti, fabbricati, quadri, argenterie ed ogni sorta di bene donato da famiglie patrizie agli ex Enti ospedalieri sono finiti nelle mani della ‘ndrangheta con la complicità ed il silenzio colpevole di funzionari, dirigenti, amministratori e politici. Basterebbero, da soli, per risanare il bilancio dell’Asp di Reggio Calabria. Ma nessuno se ne occupa, neanche l’inventario si è riusciti a fare, e poi “ad occuparsi di queste cose si rischia” ripetono gli addetti all’ufficio patrimonio.

Nel pubblico impiego, in generale, il sindacato conta molto poco. Qui niente. Non esiste sindacato né sindacalismo, esiste il “sindacalista” una sorta di sbrigafaccende che mira, ed ottiene, solo risultati “ad personam”: un trasferimento, una revoca di un ordine di servizio, un incarico di comodo, un cambio di mansioni per sé e per gli iscritti che devono rinnovare l’investitura nell’incarico. Con il sindacato, di qualsiasi sigla, non si discute di politiche sanitarie, di funzionalità dei servizi, di accorpamenti, di nomine illegittime, di mancanza di farmaci, di strutture pericolose, di prevenzione e quant’altro. Qui i sindacalisti, nessuno escluso, barattano qualcosa. 

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