venerdì, Aprile 26, 2024
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Sicilia fra Pericle e Mazzarino

“Alla fine fu capace di pensare in grande e pen­sare in proprio”

(da” I cento padroni di Palermo”, I Siciliani, giugno 83)

Piersanti Mattarella, il cui per­sonaggio oramai è entrato nella leggenda politica siciliana dell’ultimo decennio, era figlio di Bernardo Mattarella, padrone della Si­cilia occidentale, quando Palermo ancora ammetteva un solo padrone. Saggio e col­lerico, amabile e violento, culturalmente modesto, ma irruento parlatore, Mattarella non disdegnava alcuna alleanza potesse servire al potere del suo partito ed a quel­lo suo personale. Non aveva scrupoli. Se parte dei suoi voti provenivano dai ras delle province mafiose, che ben venissero, erano egualmente voti di cittadini italiani. E se quei grandi elettori chiederanno un favore in cambio, Bernardo Mattarella (come si suole dire) non si faceva negare.

Contro di lui dissero e scrissero cose terribili, ma in realtà non riuscirono a provare praticamente niente, se non che la sua potenza, appunto per questa assenza di testimoni contrari, era perfetta.

Il vecchio Mattarella aveva eletto il fi­glio Piersanti, suo delfino ed erede, lo av­vezzò al potere con la stessa puntigliosa prudenza, la medesima pignoleria, che la regina madre usa di solito per il principi­no di Windsor: prima buon studente, poi eccellente cavallerizzo, ufficiale della ma­rina imperiale, un matrimonio di classe regale, un viaggio per tutto il Common­wealth ad affascinare sudditi. Al momento opportuno il trono. Piersanti era alto, bel­lo, intelligente, amabile parlatore, ottimo laureato, viveva a Roma, parlava con buo­na dizione. Era anche un uomo molto gen­tile ed infine aveva una dote che poteva essere un difetto: era candido. O forse fin­geva di esserlo.

Quando il padre ritenne il momento op­portuno, lo fece venire a Palermo perché fosse candidato al consiglio comunale. Il Comune di Palermo è una palestra politica senza eguali, nella quale si apprendono tutte le arti della trattativa per cui l’affare politico è sempre diverso da quello che viene, ufficialmente discusso, e si affina­no le arti della eloquenza per cui si dice esattamente il contrario di quello che è, anche gli avversari lo sanno e però fanno finta di non saperlo, e quindi l’oratore rie­sce a farsi perfettamente capire senza de­stare lo scandalo dei testimoni. Piersanti imparò quanto meno a capire quello che gli altri dicevano. Poi venne eletto dall’assemblea regionale siciliana, dove in verità – provenendo i deputati da tutte e nove le province dell’isola, le arti sono più grossolane, ci sono anche la cocciu­taggine dei nisseni, la imprevedibile fan­tasia dei catanesi, la finta bonomia dei si­racusani, tutto è più facile e difficile, e tuttavia anche qui Piersanti Mattarella fu diligente e attento. Valutava, ascoltava, sorrideva, imparava, giudicava. Venne eletto assessore alle finanze. Fu in quel periodo che vennero confermati gli appal­ti delle esattorie alla famiglia Salvo.

Esigere le tasse può sembrare odioso, e tuttavia è necessario, consentito, anzi pre­teso dalla legge. L’esattore deve essere avido, preciso e implacabile. I Salvo era­no perfetti. Il loro impero esattoriale si estendeva da Palermo a Catania, un giro di centinaia di miliardi, forse migliaia.

C’era una bizzarra clausola nell’accordo stipulato fra gli esattori Salvo e l’assesso­re regionale: cioé gli esattori avevano fa­coltà di scaglionare nel tempo i versamen­ti. Premesso che la Giustizia impiega ma­gari due anni per riconoscere un’indennità di liquidazione a un povero lavoratore, ma ha una capacità fulminea di intervento contro lo stesso poveraccio che non paga le tasse), gli esattori Salvo avevano il di­ritto di esigere subito le somme dovute dai contribuenti, epperò la facoltà (detrat­te le percentuali proprie) di versare a sca­glioni le somme dovute alla Regione. Pra­ticamente per qualche tempo avevano la possibilità di tenere in banca, per proprio interesse, somme gigantesche.

Non c’era una sola grinza giuridica. Avevano fatto una proposta e la Regione aveva accetta­to.

Infine Piersanti Mattarella venne eletto presidente della Regione. E improvvisa­mente l’uomo cambiò di colpo. Aveva stu­diato tutte le arti per diventare Mazzarino e improvvisamente divenne Pericle. In­dossò tutta la dignità che dovrebbe avere sempre un uomo; dignità significa intran­sigenza morale, nitidezza nel governo, onestà nella pubblica amministrazione.

Piersanti Mattarella fu capace di pensare in grande e pensare in proprio. Figurarsi la società palermitana degli oligarchi, i cento padroni di Palermo. Come poteva vivere un uomo così, e per giunta vivere da presidente? Nessuno capirà mai se Mattarella venne ucciso perché aveva fer­mato una cosa che stava acca­dendo, oppu­re perché avrebbe potuto fermare cose che invece ancora dovevano accadere.

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