sabato, Ottobre 5, 2024
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Da Radio dei poveri cristi a Radio Aut

Danilo Dolci e Peppino Impastato: cosa ci inse­gnano, come può conti­nuare la loro storia oggi? Uno dei protago­nisti racconta

Il 25 marzo del 1970, alle ore 19,30 chi si fosse sintonizzato sui 98,5 mhz della modulazione di frequenza e sulla lunghezza d’onda di m 20.10 delle onde corte, avrebbe potuto sentire uno stra­no messaggio: “ S.O.S…S.O.S…Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occi­dentale, attraverso la radio della nuova resistenza. Qui si sta morendo…Sicilia­ni, Italiani, uomini di tutto il mondo, ascoltate: si sta compiendo un delitto di enorme gravità, assurdo, si lascia spe­gnere un’intera popolazione…”

L’appello durava circa 20 minuti ed era seguito da una serie di altri messaggi che denunciavano lo stato di abbandono e di sfascio della popolazione delle Valli del Belice, dello Jato e del Carboi, ovvero di quella zona della Sicilia occidentale dove, due anni prima, un terribile terremoto aveva causato circa cinquecento morti e distrutto interi paesi: baracche, freddo, si­tuazioni igieniche assenti, fame, sete, un panorama desolato su cui volteggiavano i corvi del clientelismo, della mafia, della disoccupazione, della disperazione. Il messaggio , accuratamente preparato, fa­ceva appello all’art. 21 della Costituzione italiana: “Tutti hanno il diritto di manife­stare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Ventisei ore di libertà

L’esperienza durò 26 ore, dopo di che un centinaio di carabinieri, già stati preav­visati con lettera, della natura non violen­ta dell’iniziativa, “attrezzatissimi di po­tenti mezzi meccanici, in pochi minuti scassavano, con innegabile perizia, porte e cancelli, impadronendosi delle trasmit­tenti” (1).

Nei locali di Palazzo Scalia, a Partinico, si erano asserragliati, con il tra­smettitore, Franco Alasia e Pino Lombar­do, due col­laboratori di Danilo Dolci, con cento litri di benzina, che avrebbero dovu­to servire a dissuadere chi avesse voluto penetrare con forza nei locali: in realtà si è poi sa­puto che non si trattava di aspiran­ti kami­kaze, ma che il carburante serviva ad ali­mentare un generatore di corrente, in caso di interruzione dell’energia elettrica.

I due redattori vennero arrestati, assie­me a Danilo, processati e infine rilasciati per una sopravvenuta amnistia.

Era nata “Radio Sicilia Libera”, la pri­ma radio libera italiana, “la radio della gente che solitamente non ha voce, che non riesce a farsi sentire” (1)

Dall’esperienza della “Radio dei poveri cristi” (1970) a quella di “Radio Aut” ( 1977) passano appena sette anni, all’interno dei quali matura e si configura una situazione completamente diversa e una trasformazione radicale nel campo delle radiocomunicazioni.

Nel ’70 Danilo progettava “per evitare al massimo inciampi, di trasmettere su ac­que extra-territoriali su un’imbarcazione di bandiera non italiana”.

Qualche altro tentativo, come quello di Radio Milano International venne effet­tuato e subito fermato con il sequestro delle attrezzature nel 1975 (10 marzo): il 26 aprile dello stesso anno il pretore di Milano, Cassala, definì legittima “l’attivi­tà di trasmissioni radiofoniche fino a quando non si determinano interferenze che possano nuocere o disturbare le emit­tenti di stato”.

La totale “deregulation” consentiva, tra il ‘75 e il ‘77 una grande fioritura di emittenti private, in gran parte commerciali, in piccola parte legate al cir­cuito delle “radio libere”, con forti carat­terizzazioni politiche.

Peppino e Danilo

Peppino aveva sentito parlare di Danilo sin dai tempi in cui frequentava il Liceo Classico di Partinico. Le lotte per la diga sullo Jato, l’attenzione verso la vita e i problemi del mondo contadino, la denun­cia delle collusioni politiche tra la mafia e Bernardo Mattarella, gli scioperi della fame, le scritte murali, ma soprattutto la grande capacità di Danilo di coinvolgere masse di gente e di intellettuali provenien­ti da ogni parte d’Europa, avevano affa­scinato il giovane studente.

Nel ’67 egli aveva partecipato alla “Marcia della pro­testa e della pace” : il re­soconto di quella storica iniziativa venne scritto da Peppino, in qualità di corrispon­dente, su un giorna­le locale “L’idea”, che lui stesso aveva contribuito a creare e co­stituì un forte mo­mento di contatto tra una personalità poli­ticamente matura, come Danilo, e un gio­vane di 20 anni, alle sue prime esperienze politiche.(2)

Qualche mese dopo, durante il terremo­to del gennaio ’68, Peppino fu tra i tanti volontari che raccoglievano abiti, cibo, merci, per portarle nei paesi terremotati:

frequentò anche alcuni seminari sulla rico­struzione della Valle del Belice orga­nizzati a Borgo di Dio, la grande struttura creata da Danilo a Trappeto.

Sul modo con cui Peppino visse le vi­cende della “Radio dei poveri cristi” non ho testimonianze, tuttavia stupiscono al­cune impressionanti analogie sul modo di concepire la comunicazione come mo­mento politico fondato su una precisa concezione dell’intervento.

Il confronto è possibile sull’analisi di due documenti: un opuscolo dattiloscritto di sei pagine, scritto da Danilo tra il di­cembre del ’69 e il marzo del ’70, con il titolo: “Radio libera: alcune considerazio­ni preliminari”, (3) e pochi appunti, scritti da Peppino, nell’estate del ‘77 dal titolo “Proposte d’intervento radiofonico”. (4)

Non lasciar nulla all’improvvisazione

La posizione di Danilo si sviluppa su al­cuni punti fermi:

1) non lasciare nulla all’improvvisazio­ne;

2) analisi della situazione

3) indicazione dei tempi: un’ora la mat­tina e un’ora la sera, con una parte cultu­rale e una parte d’attualità;

4) organizzazione e rete di redattori e corrispondenti locali;

5) individuazione degli obiettivi: carat­tere educativo inteso come auto-educazio­ne, autogestione culturale, processo de­mocratico;

6) individuazione dei problemi: finan­ziario, tecnico, organizzativo, culturale, politico, giuridico;

7) favorire la“produzione di nuove strutture democratiche attraverso la de­nuncia e il superamento di quelle cliente­lari-mafiose attraverso una presenza co­stante penetrante.

La struttura radiofonica è pertanto con­cepita come “espressione del malcontento sociale, come strumento di conoscenza per determina­re direzioni alternat­ive di sviluppo e come strumen­to di coagulo”, consi­derate le carenze di vita associati­va che caratteriz­zano la zona.

La radio come strumento per realizzare il diritto-dovere all’informazione e alla li­bertà d’espressio­ne e come espressione diretta della cultura popolare, come “co­municazione dal bas­so” che faccia sentire “le voci dei lavora­tori, di chi più soffre ed è in perico­lo”.

Alla base del progetto una semplice premessa : “Il mondo non può svilupparsi in vera pace finché una parte degli uomini è costretta alla disperazione”.

Nelle sue “Proposte” Peppino Impastato manifesta singolari analogie con il docu­mento di Danilo, che egli non conosceva: uguale la concezione della radio come momento di formazione e di aggregazione di un gruppo di lavoro, come strumento d’informazione alternativa rispetto all’informazione di regime e come espres­sione dei drammi e dei problemi esisten­ziali delle classi sociali subalterne, uguale la concezione dell’intervento radiofonico come strumento pedagogico per la forma­zione di coscienze politiche e come stru­mento di lotta.

Molte affinità presentano anche l’indi­viduazione delle fasce orarie e delle orga­nizzazioni sociali con cui con­frontarsi: Abbiamo una uguale concezione della ra­dio come strumento di comunica­zione di­retta dei bisogni e della cultura della gen­te: quelli che per Peppino sono gruppi di “organizzazione autonoma del sociale”, per Danilo sono “persone, tavole rotonde, gruppi come consorzi, cooperati­ve, sinda­cati e così via”: termini diversi per indica­re gli stessi soggetti.

“Fare esprimere tutti direttamente”

– Scrive Danilo: “Occorre uno strumen­to di comunicazione che arrivi a ciascuno fa­cendo esprimere alla popolazione diret­tamente , esattamente il contrario di quan­to avviene oggi, la sua più autentica cultu­ra e i suoi bisogni…uno strumento che sia occasione non solo di conoscenza, ma, sia pure nel modo più aperto, di nuova orga­nizzazione; sia martellante pressione sugli organi male e non funzionanti degli enti pubblici, dello stato, delle vecchie struttu­re in genere; scelga e si esprima dunque in modo rivoluzionario”.

– Scrive Peppino: “Solo a partire da una premessa politico-culturale nel territorio, che sia al tempo stesso proposta di mobi­litazione e organizzazione autonoma del sociale (comitati di disoccupati, organismi di lotta dei precari, collettivi femministi, circoli e cooperative culturali ed economi­che, associazioni sportive ecc.) si può pre­tendere di costituire un rapporto dialettico tra la struttura radiofonica e l’ambiente”

– Danilo; “non c’è dubbio che sia deter­minante allo sviluppo di una nuo­va socie­tà democratica l’infrangere il mo­nopolio dell’informazione e dell’espres­sione, in mano alle vecchie strutture del potere”.

“Il primo livello è l’informazione”

– Secondo Peppino “esiste un primo li­vello, quello dell’informazione e contro­informazione, che si presenta immediata­mente come momento di rifiuto e di ridi­mensionamento dell’informazione di regi­me e del monopolio dell’industria del consenso (Rai, TV, stampa e mass media in genere)”;

– Danilo: “agendo in modo concentrato e massiccio da alcuni punti strategici di zone omogenee attraverso l’azione di cen­tri-pilota dal rompere la crosta in un punto nevralgico, sarebbe derivata una notevole facilità nel determinare screpolature in tutta la superficie interessata.

Peppino: “un secondo livello è quello dell’intervento politico. La radio diventa strumento diretto, come il volantino, il vi­deotape o il megafono. dell’iniziativa di lotta e del progetto politico complessivo di una struttura di base “dislocata social­mente e territorialmente”.

E’ questo il li­vello dell’agitazione poli­tica vera e pro­pria, dell’istigazione alla ri­volta e all’organizzazione autonoma delle proprie lotte…”

– Danilo “una precisa conquista in que­sto senso non ha solo un significato locale e riesce a produrre reazioni a catena, non solo in quanto riesce a produrre qualità at­traverso il lavoro: una propulsiva reazione a catena può venire dal diffondersi della valorizzazione stessa dello strumento.

– Peppino “il tutto è da intendere evolu­tivamente in direzione del terzo livello, quello degli spazi autogestiti. E’ il livello in cui la realtà sociale si appropria dello strumento radiofonico e lo usa diretta­mente per allargare e difendere le “mac­chie liberate” e come mezzo di coordina­mento delle lotte e delle iniziative di mas­sa”;

“Le radio di liberazione”

– Danilo “l’esperienza ci dice come e quanto la popolazione ascolti la radio, so­prattutto le notizie locali, pur sapendo da che parte vengano e che non ce ne si può fidare: tanto più e meglio ascolterebbe la propria voce, la voce che la esprime e la libera. Chi di noi ha avuto esperienza di­retta delle radio di liberazione sa cosa esse rappresentano”

– Peppino “la notizia discende diretta­mente dal sociale e va riproposta, in ma­niera amplificata, al sociale stesso, senza filtri e interventi manipolatori…Tutto questo presuppone un uso molto ampio di registrazioni dal vivo e di notevole dispo­nibilità della presenza politica.”

– Danilo “il carattere com­plessivo delle trasmissioni deve essere edu­cativo sulla base delle esperienze locali (secondo un’educazione concepita come autoeduca­zione, autogestione culturale, processo democrat­ico)”

– Peppino: : “questi spazi si inseriscono a pieno titolo nel processo di crescita di un movimento di opinione democratico e di opposizione”

“Premere con la non-violenza”

– Danilo: “Premere non-violentemente, scioperando attivamente e passivamente, non collaborando a quanto si stima danno­so, protestando e operando pubblicamente in forme diverse che possono venir sugge­rite dalle circostanze, dalla propria co­scienza e dalla necessità: valendosi delle leggi buone quando esistono e contribuen­do a realizzarne di nuove quando sono in­sufficienti, ma premere con forza serena finché non vincono il buon senso e il sen­so di responsabilità” (5)

Peppino: “Per quel che riguarda la se­lezione della notizia, il criterio di priorità viene indicato dalla collocazione che una radio si è data all’interno della dinamica dello scontro politico e di classe e delle esigenze del sociale ad emergere autono­mamente. Centrale è la creazione di un forte movimento di opinione non scissa dalla crescita di ogni movimento di con­tropotere”.

La formazione e la rivoluzione

Queste due ultime note tuttavia eviden­ziano la differenza tra le due formazioni politiche e culturali di Danilo e Peppino e il diverso rapporto con lo strumento della comunicazione che si è sviluppato nei sei anni che dividono l’esperienza delle due radio: in Danilo c’è la costante ricerca di strumenti di formazione popolare per la costruzione progressiva di un mondo di­verso fondato sui principi della non vio­lenza e della conquista lineare della de­mocrazia, in Peppino c’è l’urgenza di co­struire questo mondo nuovo attraverso la frattura traumatica della lotta di classe e della rivoluzione come momento catartico di eliminazione delle ingiustizie.

Comune invece l’esigenza di conquista­re la libertà d’informazione come stru­mento per la conquista della democrazia e quindi l’uso del mezzo informativo come strumento di formazione politica oltre che di denuncia di tutte le distorsioni e le mal­versazioni del potere. Messaggio attualis­simo.(6)

Note:

1) Danilo Dolci: “Il limone lunare. Poe­ma per la radio dei poveri cristi” Bari La­terza 1970 – premessa

2) Salvo Vitale: “Nel cuore dei coralli” Rubbettino 1995 pag.78

3) Danilo Dolci: ”La radio dei poveri cristi” a cura di Salvo Vitale e Guido Or­lando, edizioni Navarra Palermo 2008

4) Salvo Vitale: “Peppino Impastato, una vita contro la mafia” Rubbettino, 2008 pagg.147/152

5) Danilo Dolci: “Esperienze e riflessio­ni” Laterza 1974 pag. 204

6) Questo articolo, a parte alcune inte­grazioni, è stato pubblicato in: “Peppino Impastato e i suoi compagni: Radio Aut – materiali di un’esperienza di controinfor­mazione” Edizioni Alegre Roma 2008 pagg. 37-42

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