venerdì, Aprile 26, 2024
-mensile-CronacaInchieste

Da mesi dentro la nave per non perdere il lavoro

Il porto, osannato e festeggiato con le lussuose barche a vela della Coppa America, trasformato da una infinita serie di lavori pubblici condotti in un battibaleno (ma con la super visione di Cosa nostra: vedi sentenze), è rimasto incompiuto (40 milioni di euro di nuove banchine spesi senza risultato) quando si è scoperto che i fanghi provenienti dall’escavazione dovevano finire su di una chiatta per essere gettati al largo, o ancora finire su dei camion diretti in discariche “abusive”, il porto di Trapani, quello che la storia dice doveva essere l’approdo vero di Garibaldi quando invece i Mille finirono con lo sbarcare a Marsala, il porto che vorrebbe essere la porta del continente Europeo e che guarda verso quello Africano, il porto dai mille traffici (anche illegali), ecco, questo porto che mai avrebbe dovuto conoscere la crisi invece è in crisi. Profonda crisi e già da prima che lo “spread” si mettesse a fare le bizze.

Il porto che doveva rinascere, così andavano dicendo i politici locali, che se la prendevano con la magistratura quando andava scoprendo illeciti di varia natura, oggi rischia di scomparire. Quando si andavano facendo quelle dichiarazioni altisonanti sul porto – bipartisan, da destra a sinistra, passando per il centro – c’erano una serie di alleanze alle spalle.

La più importante era quella tra l’allora sottosegretario all’Interno senatore Antonio D’Alì e la famiglia D’Angelo. In questo scenario un giorno arrivarono a Trapani imprenditori dalla Sicilia Orientale che chiesero al cantiere navale di costruire la prima di una serie di petroliere. Comunicati esaltanti, ricchezza fatta toccare con mano, girandola di meriti tra politici e imprenditori, ma presto cominciarono i guai. Si ruppe l’alleanza tra i D’Alì e i D’Angelo, proprio mentre gli allora candidati premier a Roma e Palermo, Veltroni e Anna Finocchiaro, entravano in pompa magna nel cantiere per parlare agli operai, coi D’Angelo felici per essere stati scelti per l’unico appuntamento elettorale trapanese della coppia aò vertice del centrosinistra.

Presto però la società imprenditoriale cominciò a presentare diversi problemi. Le proteste degli operai, dopo che avevano affettuosamente lanciato in aria il loro patron Peppe D’Angelo il giorno che venne fatta la prova di galleggiamento della petroliera (filmato su youtube), cominciarono a farsi incessanti, fino a esplodere. Il Cnt decide di sbaraccare. Le imprese dell’indotto cominciano a non vedere arrivare i pagamenti, le imprese che facevano da satellite al Cantiere Navale di Trapani si rivelano quasi delle scatole vuote, non c’è giorno che passi senza che ci sia una protesta.

La soluzione è presto trovata. La società che controlla a sua volta la società Cantiere Navale di Trapani (Cnt) è la “Satin” entrambe del gruppo D’Angelo. La Satin ha lavorato nell’area demaniale nei lavori per la petroliera commissionata da “Augusta due”, per un importo pari a 44 milioni di euro. “Augusta due” paga la “Satin” che, a sua volta, sta corrispondendo il prezzo del subappalto alla società “Cnt”, la società che di fatto ha realizzato il bene per il committente. Tra dare e avere non si è ben capito chi è in credito e chi ha il debito.

Accade quando a gestire casse diverse sono le stesse persone. I soldi per pagare i dipendenti “in crisi” di “Cnt” subiscono dunque il “filtro” della “Satin” deciso dal medesimo soggetto amministrante. “Cnt” è attualmente sotto procedura fallimentare e l’amministratore “in comunione” vorrebbe mettere in mobilità (leggasi licenziamento) i dipendenti ed ottenere, in favore della società “Satin”, l’affitto del ramo di attività della società “Cantiere Navale Trapani”. Per la Capitaneria titolare del rilascio della concessione è possibile fare passare il titolo dal Cnt alla Satin.

Nel frattempo i lavori per la petroliera sono stati completati, “Augusta due” per ultimare i pagamenti, saldati al 90 per cento, chiede la consegna della nave ma i lavoratori a rischio di mobilità (licenziamento) si stanno opponendo poiché non capiscono per quale ragione “Augusta Due” abbia pagato la commessa mentre la società che ha eseguito i lavori (CNT) è in crisi ed è inoltre orientata ad affittare l’attività a condizioni agevolatissime alla “Satin”, che sarebbe sua debitrice.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *