martedì, Aprile 16, 2024
-rete-CronacaMondoReportage

Cile 2019

Dal 18 ottobre profonda e ininterrotta protesta sociale. Nelle strade, nei bus, in tv tutti parlano, nessuno è indifferente.

Tiro alla fune fra conservazione e cambiamento: come finirà?

Non sono 30 pesos, sono 30 anni

Metro Estacion Central, 18 ottobre 2019. Il governo ha annunciato l’aumento di 30 pesos del biglietto della metro, meno di 4 centesimi di euro. Un ragazzo salta il tornello ed entra senza pagare. Lo segue un altro, poi una ragazza. In breve si diffonde l’evasione massiva in decine di stazioni metro di Santiago. É il primo smottamento, alla quale il governo risponde con la repressione, la protesta aumenta e viene imposto il coprifuco. La pezza é peggio del buco, il coprifuoco richiama alla memoria i tempi della dittatura militare. Il 25 ottobre si riuniscono pacificamente nella piazza centrale di Santiago, ribattezzata Plaza Dignidad, quasi due milioni di persone per chiedere la riforma del sistema sociale. Il Cile si é svegliato. A due mesi di protesta, il bilancio è controverso.

Da un lato, continuano le manifestazioni moltitudinarie che attraversano tutto il paese. Una jacquerie di manifestazioni quasi spontanee, convocate con passaparola sui social e da una miriade di gruppi organizzati, ma senza leader riconosciuti.

D’altra parte il Parlamento approva alcuni cambiamenti nella legislazione: riduzione della settimana lavorativa a 40 ore rispetto alle attuali 45; riduzione degli stipendi per i politici; una promessa di riforma fiscale in senso progressivo. Ciò non serve a calmare i tumulti popolari, il bersaglio grosso è la riforma costituzionale. La Costituzione cilena è quella promulgata dalla dittatura nel 1980, che ha plasmato i rapporti sociali e l’ordine economico che i giovani contestano. Il testo nasce dal lavoro di Jaime Guzman, l’anima nera di Pinochet, il giurista cattolico ultraconservatore, ammiratore di Francisco Franco. Disegnò la Costituzione con l’idea che: “se al potere andranno gli avversari, si vedano costretti a fare cose non troppo diverse da quelle che faremmo noi, poiché il margine di alternative che il campo da gioco impone sia sufficientemente ridotto da permettere il contrario” . Ed effettivamente si é giocato nel campo disegnato da Guzman per quasi 40 anni. L’art. 19 delega allo Stato un ruolo sussidiario, lasciando in mano ai privati i servizi minimi essenziali come la salute, l’educazione, le pensioni. Il risultato é che i giovani si indebitano per studiare e il sistema educativo é fortemente diseguale, lo stesso vale per la salute. Le pensioni invece sono totalmente private, con il fondo privato delle AFP ove ciascun lavoratore deve obbligatoriamente contribuire per ricevere una pensione media inferirore ai 400 euro al mese. Il c.6/art.19 vieta lo sciopero ai lavoratori pubblici. L’art. 66 prevede quorum di 4/7 (il 57%) per modificare leggi di rango costituzionale, come quella dell’educazione. Anche quando una legge viene approvata, deve poi superare il controllo di costituzionalitá del Tribunale Costituzionale – TC (art. 92 e seguenti). Durante il governo della socialista Bachelet, il TC si é caratterizzato come la “terza camera”, il luogo dove si bloccavano i progetti piú ambiziosi di riforma.

Nel 2006 e nel 2011, la giovane generazione ha dato vita a movimenti sociali di massa per chiedere la riforma dell’educazione. Non ha ottenuto grandi risultati, ma ha avviato un processo di cambio e di critica al sistema, superando la paura di manifestare presente nella generazione che ha vissuto la dittatura. Emblematico è il titolo di uno dei molti libri che raccontano le vicende del movimento studentesco del 2011: I giorni in cui avanzammo anni . A indicare come il movimento studentesco abbia preparato il terreno ai grandi cambiamenti sociali verificatisi nel paese e che si manifestarono con le elezioni del 2017, quando una nuova generazione di politici, i leader dei movimenti studenteschi, venne eletta in Parlamento. É questa nuova generazione che sta portando avanti le cause del movimento sociale in Parlamento. Si tratta ancora di piccoli, troppo piccoli, avanzamenti sociali per una popolazione che affoga nei debiti e sfida un sistema che non garantisce mobilità sociale né uguaglianza di opportunità.

Creatività popolare

I muri di Santiago sono coperti di graffiti e scritte di vernice, un discorso pubblico gridato da un popolo silente da decenni. Vi sono rivendicazioni di ogni tipo, dall’educazione alle pensioni, alla richiesta di dimissioni del governo e contro le violazioni della polizia. E molta ironia. Sulla saracinesca di una panetteria una scritta di vernice gialla “il tuo pane non è buono” subito sotto, con vernice verde, qualcuno aggiunge “è vero!”. Vi sono moltissimi simboli, profondamenti latinoamericani, fatti di povere cose, creatività e rabbia. I più comuni sono il “perro mata paco”, uno delle centinaia di cani di strada di Santiago che divenne famoso nel 2011 per aggredire i poliziotti e difendere i manifestanti. Un nuovo simbolo è una persona che si presenta alle marce col costume di Pikachu, uno dei personaggi del cartone animato giapponese Pokemon. Dentro il costume giallo si nasconde Giovanna Grandon, 44 anni, autista di pulmini scolastici. La famiglia Grandon si è vista recapitare a casa il costume come omaggio, perché il figlio di 7 anni aveva spesa circa 700 euro su un sito di acquisti online. Non riuscendo a rimandare indietro la merce, la signora non senza buon umore ha deciso di presentarsi alle marce vestita da Pikachu. Oggi il volto di Pikachu è dipinto sui muri e nei manifesti, é uno dei simboli più allegri della protesta. Tra la moltitudine di bandiere che sventolano nelle piazze, insieme a quella cilena, la più presente è la Wenüfoye, la bandiera mapuche. Simbolo di uno dei popoli indigeni in guerra prima con la colonizzazione spagnola e poi con lo Stato cileno. I vinti, gli sconfitti di sempre, vogliono riscrivere la storia. A Temuco, capitale della regione mapuche, é stata distrutta la statuta di Pedro de Valdivia, conquistador spagnolo e sterminatore di indigeni.

La protesta ha ispirato gli artisti del paese, sono nate rappresentazioni teatrali, programmi radiofonici, canzoni e performance. Il collettivo femminista Las Tesis ha inventato la geniale performance Un violador en tu camino proposta per la prima volta a Santiago e che in breve a fatto il giro del mondo. I gruppi femministi di base sono uno dei motori che alimenta la protesta popolare.

Nei quartieri si organizzano riunioni di abitanti, i cabildos, una parola che risale ai tempi della colonizzazione spagnola. Forme di democrazia di base, riunioni tematiche senza canovaccio, in cui chiunque può prendere la parola. Si legge la costituzione, si parla di politica, ci si conosce tra vicini. È una lezione di educazione civica popolare.

Gli occhi di Gustavo

Quasi ad ogni corteo, volano pietre, si costruiscono barricate, si respira aspro l’odore dei lacrimogeni, crepita il fuoco. Hanno bruciato edifici di banche, fondi pensione, supermercati, infrastrutture pubbliche e qualche chiesa. Il clero cileno è accusato di uno dei maggiori scandali di abusi sessuali, contro i quali sta cercando di far luce Papa Francesco. C’è certamente una componente di violenti organizzati tra i manifestanti. La rabbia però trabocca oltre l’organizzazione e coinvolge anche i manifestanti a volto scoperto, le persone comuni che assistono agli abusi della polizia. Agli occhi di un europeo abitutato alle categorie di buoni e cattivi, al Pasolini di Valle Giulia che difende i poliziotti contro gli studenti borghesi, quel che succede in Cile non è comprensibile. Per due motivi. Primo, qui i manifestanti non sono studenti borghesi ma il malcontento è condiviso dalla maggioranza della popolazione. Secondo, qui la polizia ha un lunga e consolidata tradizione di abusi di potere al proprio attivo. Di recente è stato pubblicato il report della missione ONU sulla violenza durante la protesta . Un libro dell’orrore che ripercorre, col linguaggio formale del resoconto, l’insieme di violenze, abusi, torture, morti sospette. La specialitá della polizia cilena è generare danni permamenti alla vista, con l’uso di proiettili di gomma. Analisi ex post sui bossoili hanno mostrato la presenza di piombo dentro le cartucce. 350 persone sono state ferite agli occhi dall’inizio delle proteste. Tra queste c’è Gustavo Gatica, uno studente di psicologia di 21 anni. Il pomeriggio dell’8 novembre passeggiava per Plaza Dignidad insieme al fratello, stava scattando delle fotografie con la sua nuova macchina Sony. Viene colpito dagli spari dei carabineros a entrambi gli occhi. Resterá cieco per sempre. Dal suo letto d’ospedale, tramite la madre ha diffuso un messaggio che ora si legge nelle scritte sui muri della cittá: “ho regalato i miei occhi perché il paese si svegli”.

Lo stato di diritto europeo qui non esiste, pertanto non si possono applicare le stesse categorie interpretative per capire ciò che avviene. Pasolini ci viene in aiuto quando dice che chi viene odiato inizia a odiare, é una buona chiave per interpretare il clima d’odio che attraversa il paese. Un odio tra manifestanti, polizia, classi sociali. Una forza che puó prendere qualunque direzione e ancora non ne ha presa nessuna in particolare.

L’oasi cilena

La gestione pubblica della crisi da parte del governo è un susseguirsi di inciampi, marce indietro e gaffe. In una delle sue numerose infelici dichiarazioni stampa, il presidente Pinera dichiarò che il Cile era l’oasi dell’America Latina. Un luogo di crescita, prosperità e stabilità economica. Correva il 9 ottobre 2019, nove giorni dopo i ragazzini iniziano a saltare i tornelli della metro e comincia la valanga.

Effettivamente in Cile l’oasi esiste, sono le grandi imprese che esportano, il potere economico che controlla la stampa, le élite che vivono nei quartieri orientali della città di Santiago. Uno di questi, Vitacura, ha un reddito mensile per famiglia di circa 3800 euro, vi sono i negozi delle grandi marche internazionali, scuole private d’eccellenza, spazi verdi e suv. Spostandosi 18 km verso ovest si arriva al comune di Cerro Navia, il reddito crolla a 740 euro al mese per famiglia. Passaeggiando per le strade di Cerro Navia nel fine settimana si vedono i ragazzini che lavano le auto o tagliano i capelli, lavoretti per aiutare le famiglie. Una donna che nasce a Cerro Navia vive in media 18 anni in meno rispetto a una donna che nasce a Vitacura. La divisione amministrativa cilena, eredità della dittatura implica che gli introiti delle tasse restino in buona parte nei municipi e le risorse da ripartire a livello nazionale per i comuni più poveri siano minime.

Secondo uno studio dell’Università Cattolica, negli ultimi dieci anni, il prezzo della casa a Santiago è aumentato fino al 150%, i salari appena del 25%. Il Cile dovrebbe essere una storia di successo economico dell’America Latina, il tasso di crescita è positivo e sopra la media regionale (+3.2% nel 2018) ma le disuguaglianze sono profonde e antiche. Come negli altri paesi di America Latina, esiste una società che è arrivata da fuori (bianca di ceto medio alto, discendente dagli europei) e una che c’era da sempre (indigena, marginalizzata e povera). Ciascuno ha la propria cultura, una propria visione del mondo. Questo dualismo sociale ha un riflesso nella grande eterogeneità economica. Il paese è cresciuto molto da quando è tornato in democrazia, il PIL per capita è aumentato di sette volte, raggiungendo circa i 15mila dollari per abitante, ma le diseguaglianze sono profonde e il 70% delle famiglie cilene vive con un salario inferiore ai 750euro mensili (fondazione Sol). L’economista Jorge Katz che ha a studiato in profondità il paese, ha scritto che non esiste il Cile, bensì esistono quattro paesi diversi, in ordine decrescente di sviluppo economico, dal più avanzato e innovativo, fino a un paese che vive di economia informale e illegalità.

Tutto può succedere

A metà dicembre, oltre due milioni di cittadini ha votato per una consultazione popolare in 225 comuni, per definire in maniera non vincolante la modalitá di riforma costituzionale e le prioritá delle politiche nazionali. Si tratta di un successo di partecipazione in un paese dove nei municipi poveri la partecipazione elettorale per le elezioni comunali si ferma sotto il 25%. La politica torna interessante.

A fine novembre, nel pieno delle proteste, i partititi hanno siglato un accordo trasverale “per la pace sociale e la nuova costituzione”. Si tratta della base per aprire il cammino alla nuova Costituzione. È un accordo tutt’altro che scontato, una grande concessione della destra cilena che vede nella Costituzione del 1980 il simulacro del proprio potere. È la concessione delle élites per tentare di calmare la rabbia popolare, prevedendo un percorso a ostacoli che dovrebbe portare all’elezione della convenzione costituente. Il testo é stato accolto con molto scetticismo dalla popolazione. Si teme che tutto cambi perché nulla cambi, vi sono tre punti di disaccordo sostanziale. L’elezione della costituente non prevede paritá di genere, né quote per i popoli indigeni, è molto difficile la candidatura per gli indipendenti dai partiti. Ad aprile 2020 si voterá il referendum per decidere se modificare la costituzione e se si in che forma. Se si dovesse optare per la convezione costituente, l’opzione maggiormente accreditata, il nuovo organismo, eletto a ottobre 2020, avrebbe circa un anno per promulgare il testo, approvato con maggioranza dei 2/3, che poi verrebbe sottoposto a referendum confermativo.

Il cammino è colmo di insidie e la destra cilena ha dimostrato di poter dare colpi di coda anche quando sembra ormai sconfitta. Tuttavia, sessanta giorni di protesta hanno insegnato che l’impossibile non esiste, il popolo cileno si è svegliato e sembra voler andare fino in fondo alla sua battaglia. La partita è aperta e il finale imprevedibile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *