mercoledì, Dicembre 11, 2024
-mensile-Cronaca

Cartoline dal Muos/ parte I

Testata la bontà e la dolcezza dei frutti dell’ingegno gastronomico siciliano, giungiamo a un incrocio, dove un gazebo segnala la presenza di un presidio di protesta. E’ quello che dicono “delle croci” per via degli ornamenti funebri di cui è vestito. Croci in legno e corona funeraria ornano l’area, dove il professore Giuseppe Maida ha condotto la sua personale lotta contro il Muos, giacendo in tenda anche nelle notti più fredde. Al momento, non sembra esserci nessuno. L’altrimenti anonima strada vicinale “Fonte Apa Martelluzzo Fico Polo” ospita il punto d’accesso alla via più nota per la base. Non c’è nessuno, per adesso.

Mentre un’antenna si staglia lontana, in un’epifania molesta, ci inoltriamo per paesaggi argillosi. Sul muro d’un bivio c’è una freccia dello stesso colore rosso di una scritta che indica il presidio di Contrada Ulmo, quello verso cui siamo diretti, in prossimità della base; ma c’è anche una freccia di colore diverso e in direzione opposta. Soltanto uno sprovveduto potrebbe credere che sia quella la direzione giusta: quando si dice la persona sbagliata al momento sbagliato. Riprendiamo il giusto tragitto e arriviamo a destinazione. Sul terreno, a fianco della casa-serra costruita dai militanti No Muos, c’è una manciata di ragazzi su sedie di plastica, aria di arrustuta (barbecue), in un pacato stato di quiete. Ma non è sempre così. Il presidio dell’Ulmo è la linea del fronte della lotta contro l’impianto, soprattutto per i comitati No Muos sparsi sul territorio siciliano. Qui il conflitto si consuma più che altrove, si bloccano i camion con il materiale per costruire l’apparecchio.

I ragazzi sono un gruppo di passaggio, con loro un locale, l’Indigeno, un ragazzotto diretto e schietto. Fa loro da guida in un’escursione fotografica, cui possiamo aggregarci. Saliamo sulla macchina infangata dell’Indigeno e partiamo. Si chiacchiera della serata di festa precedente, in cui s’è bevuto e mangiato a sazietà. «Mi pumiciai una (Ho pomiciato con una)…» ci fa il nostro, scanzonatamente. Ma è successo anche altro la notte passata: un ragazzo ubriaco è passato oltre la recinsione, scatenando la reazione di autorità locali e militari americani. Si racconta che uno di questi sia spuntato dal nulla, forse attraverso un bunker segreto, e che poi lui o un altro abbia scarrellato, che fosse quindi pronto a sparare. Una brutta storia, insomma. E’ un conflitto che si consuma anche su piani più banali: un ragazzo ha incastrato per scherzo e protesta uno stuzzicadenti nel campanello della base; è stato denunciato, ma non se n’è fatto nulla, perché era un’accusa piuttosto eccessiva- o almeno così ci racconta l’Indigeno-.

La nostra escursione costeggia le reti della base. «Chisti u Medioriente u scassanu tuttu (Questi il Medioriente lo distruggono tutto)!» fa l’Indigeno. I ragazzi lo ascoltano, passeggiando. Sull’accento ibleo, alcuni di loro sfoggiano coloritismi del parlato romanesco. Uno di loro, cappellino e barbetta, scambia due battute con noi. Si è laureato a Roma in Sociologia, ma adesso fa l’operaio in Germania, un lavoro non stressante, che serve per dargli il tempo di imparare il tedesco e progettare un futuro. Immersi nel rosmarino selvatico della riserva che sta attorno alla base, i ragazzi guardano le strutture americane, quando uno sparo sorprende la vallata. Sono dei bracconieri, niente paura: gli americani hanno lasciato delle porticine per i roditori, in modo che possano passare con agilità dentro la base inviolabile e sfuggire la morte. Bel paradosso.

Quando torniamo al presidio, c’è il tempo di sentire gli attivisti. Sono perlopiù quelli con i capelli bianchi a starci stamane, causa la festa della notte passata. A detta di un signore, la partecipazione dei giovani non è mai stata così forte a Niscemi. Ma restare qui è difficile: i rapporti con la polizia non sono sempre facili, nonostante- come ci spiegano- il Comitato ha in comune con essa l’obiettivo finale della lotta alla mafia, la cui ombra ha impestato la vicenda Muos. Inoltre, una frangia ha contestato l’antifascismo e la strumentalizzazione politica che vi sarebbe nei comitati No Muos, dando vita al Movimento No Muos. Alfonso Di Stefano, attivista di lungo corso, ci tiene a ribadire che la contestazione al Muos è figlia del pacifismo siciliano e della sua storia. Tuttavia, anche se i gruppi sono diversi, lo precisano anche in questo presidio, si riconoscono comunque nella lotta al nemico comune, seppur con mezzi e mentalità differenti.

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