venerdì, Ottobre 4, 2024
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I martiri di Corso Martiri

Catania. Un grande spazio “vuoto”, residuo dello sventramento edilizio degli anni Sessanta. Vuoto per modo di dire, perché – accampati alla meglio – ci vivono decine di esseri umani. Dove andranno a finire, ora che le ruspe degli imprenditori tornano a finire il “lavoro” interrotto cinquant’anni fa? Chi lo sa. Sono soltanto persone. Mentre a Catania contano solo i soldi e chi li fa girare. Legalmente o no

I fragori della festa di Sant’Agata sono appena iniziati e Stancanelli entusiasta ha tanta voglia di parlare. Forse non è soltanto un entusiasmo dettato dalla festa, forse è un entusiasmo elettorale, infatti non parla solo della “Santuzza” ma anche di Piano regolatore e dell’inizio dei lavori in Corso Martiri della Libertà: “Sarà l’avvio di una stagione positiva per Catania, che adesso sarà possibile visto che la città è stata messa in sicurezza col Piano di “risanamento” appena approvato dal Consiglio, – e aggiunge – la prima operazione sarà quella della delimitazione e recinzione delle aree che in un secondo tempo saranno il teatro del risanamento vero e proprio. Si procederà anche allo sbancamento con le ruspe”.

Qualcuno chiede: “E la comunità bulgara che vive in quelle fosse?” Stancanelli risponde che se ne sta occupando l’assessore ai Servizi Sociali Carlo Pennisi con un piano definito “morbido”.

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Mercoledì 6 febbraio

Un tiepido sole riscalda la città di Catania, sono le undici e la “Santuzza” deve ancora rientrare in cattedrale; percorriamo il Corso Martiri della Libertà, vogliamo capire e sapere cos’è il “piano morbido” proposto dal Comune, che dovrebbe accompagnare fuori da quelle fosse la comunità bulgara.

Vogliamo sapere da loro soprattutto se sono stati informati delle intenzioni che ha su di loro l’Amministrazione comunale. Vogliamo sapere se tali decisioni sono state condivise e partecipate.

Mentre cerchiamo un varco per entrare in una delle fosse, una porticina si apre dalla recinzione, esce una donna, chiediamo se sa che l’indomani inizieranno i lavori: “no, qui non è venuto nessuno, sono venuti solo giornalisti!” – Ma proprio nessuno, vigili urbani, carabinieri, funzionari del comune? – No, nessuno! L’abbiamo saputo da voi giornalisti -Ma quanti siete?

La donna risponde, in uno stentato italiano: -Si siamo in tanti in questo buco, e molti altri si trovano nel buco di là.

Cerchiamo ancora un varco, lo troviamo, scendiamo giù nella fossa, e subito notiamo che i rifiuti di ogni tipo sono aumentati, forse meno puzzolenti di quando venimmo nel caldo giugno. Incontriamo Bobo, un bulgaro che vive da otto anni a Catania e che ha sempre fatto da portavoce per questa comunità; insieme a lui c’è un ragazzo della “Chiesa cristiana evangelica pentecostale” di Picanello, chiediamo se gli hanno comunicato lo sgombero e loro rispondono che non lo sanno, e che nessuno è venuto a comunicargli nulla e che quel che sanno lo hanno saputo dai giornali.

Bobo si mostra rassegnato e scoraggiato: nè lui nè gli altri sanno cosa li aspetta, mi chiede soltanto -Cosa fareste voi al nostro posto? Rispondiamo che la cosa più giusta, secondo noi, è quella di chiedere all’assessore Pennisi di condividere con loro le decisioni dell’Amministrazione Comunale, di non delegare altri ed essere protagonisti in questa trattativa che li porterà fuori da quelle fosse, ma soprattutto chiedere prima dello sgombero dove andranno, e se è vero che li sistemeranno in case che siano case.

Bobo è ancor più perplesso e spontaneamente gli viene da dire: -Siamo nelle mani di Dio… ma anche degli uomini che stanno decidendo della nostra vita futura.

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Le organizzazioni sociali cattoliche ed evangeliche come Manitese e Jesus generation, in particolare quest’ultima, si occupano da qualche anno dei bulgari che vivono nelle fosse, con attenta assistenza che ha aiutato questa gente concretamente, soprattutto dal punto di vista spirituale e con un approccio più religioso che laico.

Inoltre, come dichiara Marco Basile, la sua organizzazione Jesus generation fa parte del “presidio leggero”, che è un tavolo di lavoro voluto dall’assessore Pennisi. Ma a noi risulta che in questo tavolo non ci sono rappresentanti della comunità bulgara, da cui deduciamo che non c’è alcuna partecipazione democratica della comunità, e invece sono altre organizzazioni, insieme all’assessorato, che decidono per loro.

Anche Manitese, attraverso Marco Gurrieri, ci informa che il “presidio leggero” sta lavorando per trovare una sistemazione, come dicono loro, “più morbida possibile”.

Ci informa anche che i proprietari di quei terreni sono disposti a stanziare 20.000 euro che dovrebbero facilitare la ricerca di nuove case per questa gente.

Le considerazioni sono facili, il Piano che completerà il “risanamento” del quartiere San Berillo ha un costo stimato di 200 milioni di euro, tutti da finanziamenti privati: evidentemente i proprietari che hanno stanziato i 20.000 euro vogliono fare della carità assistenziale e poco gli importa della comunità bulgara, l’importante è che vadano via mentre l’interesse vero e proprio è la speculazione edilizia.

Tutti dicono che il tavolo del “presidio leggero” ha lavorato bene ma non con poche difficoltà: Marco Basile sostiene che l’assessore Pennisi competente nel settore dei servizi sociali non abbia le mani del tutto libere, ha difficoltà di confrontarsi con la giunta per quello che riguarda lo stato sociale, e considerando che fra pochi mesi questa giunta e questo consiglio comunale saranno sciolti per via delle nuove elezioni amministrative, non è detto che il “presidio leggero” esisterà ancora.

Sempre l’assessore Pennisi aveva proposto di utilizzare fondi della Comunità Europea per affittare case sfitte ed assegnarle ai “senza tetto”: per tre anni gli affitti li pagherebbe il Comune di Catania, ma nessun proprietario ha mai risposto all’appello. Se volessimo fare i “conti della massaia” tali fondi potrebbero essere utilizzati per ristrutturare qualche appartamento di quei 60 beni confiscati alla mafia nella città di Catania ed assegnati al Comune nel 1999.

Ma il Comune chissà per quale motivo i beni confiscati preferisce tenerseli stretti e non assegnarli: su questo potrebbe dirci ben di più il coordinamento provinciale di “LIBERA” a cui è stato assegnato uno di questi beni, che utilizza.

Un’altra soluzione potrebbe essere utilizzare tali fondi per il recupero di palazzo Bernini, di proprietà del Comune di Catania, sgomberato all’inizio dell’estate scorsa in una situazione analoga a quella delle fosse di Corso Martiri della Libertà, dove si potrebbero ricavare appartamenti per i nuclei familiari senza casa.

Ma si sa che l’Amministrazione comunale catanese preferisce gonfiare i portafogli dei privati e pagare fior fiore di quattrini ai privati anzicchè utilizzare i beni di sua proprietà.

Da qualche giorno attorno alle fosse si sono alzati nuovi muri che chiuderanno le aree impedendo il libero accesso a quei cittadini e cittadine.

E quando si alzano i muri non si sa mai quando verranno buttati giù, anche se sicuramente al posto di quei muri prima o poi arriverà il cemento che distrugge: l’importante è che la città non veda e non sappia. 

SCHEDA

UN PIANO URBANISTICO DI QUARANT’ANNI FA

1 – Il Piano che si attuerà risale al 1973, e non può quindi certamente ritenersi moderno, né rispondente alle esigenze attuali della città.

2 – La qualità del progetto non potrà essere garantita dal suo affidamento ad un “archistar”, che sarà inevitabilmente condizionato dalla vetustà del Piano urbanistico e delle sue regole, che fissano i perimetri, le densità e le destinazioni dei singoli lotti.

3 – Il Piano urbanistico, essendo palesemente obsoleto, non prevede aree libere con caratteristiche e dimensioni adeguate alle necessità della protezione civile in caso di grave evento sismico, facendo perdere alla città l’unica occasione per mettere veramente in sicurezza il centro storico circostante 4 – Il centro storico non ha bisogno della costruzione di altre strutture commerciali, ma di sostegno e valorizzazione delle attività già esistenti.

5 – Il Piano del ’73 manca di un’idea di fondo, forte e nuova, che possa veramente qualificare l’intervento, come ad esempio quella proposta poco tempo fa dall’arch. Zaira Dato.

6 – Qualora l’archistar dovesse invece interpretare con troppa disinvoltura le regole imposte dal vecchio Piano per esprimere liberamente la propria capacità progettuale, è ipotizzabile che il Direttore dell’Urbanistica, dovendo rilasciare la concessione edilizia, rischierà di incorrere in un reato penalmente rilevante.

 

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