sabato, Aprile 20, 2024
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Antimafia in una piccola città

A Falcone, non lontano da Furnari, intanto…

«Micciché dice è stato un errore inti­tolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino, perché chi arriva in Sicilia si ricorda di essere in terra di mafia… No! Si ricorda piuttosto di essere in ter­ra di antimafia!».

La manifestazione “Venti di legalità de­mocratica”, organizzata dall’associazione Un’altra sto­ria a Falcone, piccolo centro della Messi­na tirrenica, è stata l’occasione di parlare dell’antimafia che parte dalla società civi­le e non più chiusa dietro le mura dei tri­bunali, un’azione sociale con cui ogni cittadino può elimina­re dalla pro­pria vita la minac­cia del potere mafioso..

«La mafia ha due facce – dice Santo La­ganà dell’Associazio­ne Rita Atria – Quel­la impre­sentabile dei vari boss che si sono resi famosi per una serie di omicidi, e quella presentabile di coloro che frequen­tano i salotti borghesi. E’ qui che occorre colpire: negli ambiti della politica, locale o nazionale, della fi­nanza, nei settori che con le loro scelte condizionano la so­cietà. Se la mafia è questa, l’antimafia non può solo essere fatta di cortei, slogan o ri­cordi. È antima­fia l’azione di denun­cia verso i mafiosi, ma soprattutto verso i loro com­pari che non sono indicati come mafiosi dalla Giu­stizia».

Oggi la denuncia non è più una questio­ne di coraggio, ma forse d’intelligenza e ne è la prova l’esperienza di Giuseppe Scandurra, un imprenditore che ha reagito e che ne ha trascinato con sé altri, tessen­do un percorso di reazione per chi li se­guirà. «La risposta dello Stato deve essere sicuramente migliorata, però è anche vero che c’è gente che di fronte all’uccisione di un genitore non collabora, ma di fronte alla confisca di un bene, al sequestro di un bene decide di farlo. Anche noi dobbiamo collaborare affinché si cambi».

Cambiare è possibile, basta evitare la zona grigia, quella in cui tutti sono com­plici ma nessuno appare esserlo, affian­cando alla necessità di una politica traspa­rente quella di una collaborazione attiva della società, che deve avvenire attraverso un approccio culturale nuovo e la mobili­tazione di idee, penetrando nelle coscien­ze della gente, indignandosi di fronte a chi fa affari con soggetti dalle posizioni di­scutibili, boicottando l’economia del ma­laffare. Azioni semplici ma efficaci se rese concrete da tutti e da ogni singolo cit­tadino.

«Non sono obbligato ad entrare in quel negozio se so che il titolare è in odor di mafia, c è tanta altra scelta, basta prendere le distanze, scegliere da che parte stare».

Non si può in ogni caso chiudere gli oc­chi di fronte al passato; questo nuovo ven­to di speranza che si respira innegabil­mente, è sicuramente importante ma è la memoria, la capacità di ricordare che deve insegnare – soprattutto ai giovani – che il ricordo non può essere il confine ultimo di ciò che è stato. Ricordare sempre, par­larne, senza paura, come la madre di Atti­lio Manca: «Parlare di mafia non era pos­sibile fino a qualche anno fa a Barcellona P.G. ma oggi, possiamo dire che le tre C, mi riferisco a Cassata, Canali e Cattafi, sono state estirpate e Barcellona ora è più libera».

Un grande insegnamento la nostra so­cietà ha da percepire, un antidoto a questa cappa irrespirabile: il ricordo delle stragi, delle vittime cadute per mano mafiosa, la memoria che diventa maestra di una società malata e soggiogata dalle logiche dell’omertà e della connivenza, ma soprattutto il dovere che essa ha di risvegliarsi, d’ indignarsi, e di compiere l’abbraccio ad una legalità che parte dal basso, dalla coscienza dei cittadini, in un terra che per troppo tempo ha sopportato il fardello di essere conosciuta come terra di mafia.

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