Un sindaco “bene comune”?
Un candidato anomalo in una “normale” catastrofe: come finirà?
Renato Accorinti, professore di educazione fisica, è diventato – in quarant’anni di battaglie civili, pacifiste e ambientaliste – quasi un’icona dell’impegno disinteressato e della politica fatta per passione, in strada.
Renato era a Comiso negli anni ottanta, era a Messina quando i quattro gatti che si opponevano allo scempio del Ponte sullo Stretto sono piano piano diventati ventimila e poi sempre di più. E’ stato con i rom e tutti gli emarginati, con le vittime di mafia come Graziella Campagna e Attilio Manca, con i ragazzi e le ragazze del Teatro Pinelli Occupato.
Nel campetto di atletica “ Santamaria “ ex Gil, in quella che una volta era la periferia sud di Messina, ha allenato generazioni di giovani atleti che lo ricordano più come un maestro di vita che come un semplice trainer. Come le centinaia di ragazzi che lo hanno avuto per insegnante alle medie, in ore che – fra una canzone di de Andrè e un ricordo di Don Milani- sono state molto più che semplice scuola dell’obbligo.
La candidatura a sindaco di Renato Accorinti matura in un momento drammatico della storia messinese. In una città ancora una volta commissariata, dopo un’amministrazione di centrodestra sui cui uomini si addensa un fondato giudizio di assoluto disinteresse per il bene comune, tremila cittadini dalle più varie estrazioni sociali e culturali, firmano una petizione in cui gli chiedono di mettere la faccia per la prima volta anche in una battaglia franca ed esplicita di conquista delle istituzioni.
E’ l’autunno 2012, quello dello Tsunami grillino e dello sfacelo politico: il Pd pensa al fidanzamento con l’Udc sperimentato a Palazzo dei Normanni, persino Sel di Nichi Vendola (che Renato non ha mai nascosto di apprezzare) si limita a rivolgergli un appello a partecipare alle primarie. Finisce che, dopo un momento di incertezza, Accorinti, in una fredda mattina di gennaio, annuncia la sua corsa in solitaria a una emozionata e gremita platea, nel Salone delle Bandiere del municipio di Messina.
Da quel giorno è un crescendo di adesioni e di iniziative. Renato batte, come del resto ha sempre fatto per le innumerevoli cause per cui si è impegnato, strade e villaggi. Uno per uno. Rifondazione Comunista è con lui, così come la galassia del sindacalismo di base e del movimentismo messinese. Ma questo schieramento non si cristallizza in un’etichetta. Aderiscono a “Cambiare Messina dal Basso” (come la lista di Accorinti s’è voluta chiamare) soggetti e personalità non riconducibili al piccolo mondo della sinistra antagonista. Molto volontariato cattolico, molti gruppi parrocchiali di periferia, intellettuali miti e ragionatori come l’economista Guido Signorino, la “mente” accademica del movimento. E soprattutto la cosiddetta gente comune.
Mai prima d’ora a Messina, per strada, nei mercatini rionali, nei villaggi in collina, un candidato dal look così apertamente “alternativo” era stato applaudito o perlomeno ascoltato senza pregiudizi quanto Renato Accorinti.
Ma perché un uomo che a sessant’anni mantiene l’aspetto gioioso e un po’ naif degli hippies anni 60 riscuote un successo così vasto in una città in fondo provinciale e venata di bigottismo come Messina? Sicuramente c’entra molto la crisi del vecchio sistema di potere. Potenti clientele mantenute nel corso dei decenni con un sapiente controllo della spesa pubblica sono in affanno per le ricadute della crisi del debito sulla realtà siciliana.
Il clan di Totò Cuffaro e quello – tutto sommato omologo – di Raffaele Lombardo sono crollati sotto i colpi delle inchieste giudiziarie e soprattutto per il prosciugamento delle risorse che alimentavano stipendifici e fabbriche di privilegi.
Il welfare locale, mai di alto livello, è definitivamente entrato in affanno a causa dei debiti che stanno portando le finanze del Comune sull’orlo del default. a città è quotidianamente percorsa da cortei e punteggiata da presidi di lavoratori disperati, che non hanno più nemmeno una controparte con cui scontrarsi. I punti di maggior sofferenza si chiamano Servizi sociali, Teatro Vittorio Emanuele, Birra Messina, ATM (trasporti pubblici).
In questo quadro drammatico il Partito che fu di Bersani non ha saputo nè voluto candidarsi a rappresentare un’alternativa credibile, preferendo il piccolo cabotaggio degli accordi coi pezzi del vecchio potere in fuga da posizioni discreditate.
Se a livello regionale questa strategia si è concretata nell’esperienza per certi versi anomala della giunta Crocetta, a Messina la proposta politica del PD in sostanza consiste nel patto fra i due golden boys dei giovani Dc anni ’80: Francantonio Genovese e il neo-ministro Giampiero D’Alia. Troppo poco per una sinistra priva di memoria e marginale, e soprattutto troppo poco per una città in cui si vive male, da cui i giovani fuggono a gambe levate.
Accorinti ai messinesi parla di cose antiche come la politica come servizio, la dignità, la qualità della vita. Quando racconta delle scuole materne di Reggio Emilia o delle biblioteche pubbliche berlinesi allude a cose che in un paese civile sarebbero persino banali ma che in riva allo stretto sembrano fantascienza.
I cittadini, però, sembrano credergli davvero. Forse perché prima delle parole astratte l’esperienza politica di Renato è costruita sulla quotidianità di una persona che parla come pensa e agisce allo stesso modo.