mercoledì, Ottobre 9, 2024
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Sindaco di Giammarinaro, alla faccia dei siciliani

La provincia di Trapani, fiore all’occhiello della borghesia mafiosa, ha bisogno di ripulirsi l’immagine. Serve qualcuno che non faccia troppe domande e che si presti…

Salemi. Cominciamo dalle dimissioni del critico d’arte Vittorio Sgarbi da sindaco di Salemi? O dalle dimissioni che annunciate sino all’8 febbraio sono state presentate solo il 15 febbraio in un Consiglio comunale super affollato dove ognuno ha cercato di avere la sua “fetta di notorietà” e Sgarbi ancora ha stupito tutte, mi dimetto – ha detto – ma dalle 21 del 21 febbraio”? O dalla relazione degli ispettori prefettizi che hanno accertato l’inquinamento mafioso dell’attività amministrativa e politica del Comune di Salemi? O ancora dal maxi sequestro di beni da 35 milioni di euro che ha colpito l’ex deputato regionale della Dc e capo degli andreottiani trapanesi, Pino Giammarinaro, “rais” di Salemi, la cosidetta operazione “Salus Iniqua” condotta nella primavera dell’anno scorso?

Salemi non è un paese qualsiasi né della provincia di Trapani né della Sicilia, ma il luogo dove la mafia borghese ha cominciato a piazzare le sue radici mentre nel resto dell’isola i mafiosi si ammazzavano per la droga o ancora per i latifondi.

Due nomi su tutti, quelli degli esattori Salvo, i cugini Nino e Ignazio, eredi di un altro notabile, Luigi Corleo, scomparso dopo un sequestro “anomalo”, ma a questi nomi si potrebbe aggiungere quello dell’imprenditore Ignazio Lo Presti, il personaggio, ammazzato poi da Riina, che sotto anonimato parlava per telefono con il sig. Roberto che stava in Brasile e al quale confidava, preoccupato, la mattanza di uomini che stava insanguinando la Sicilia, questi altri non era che Tommaso “Masino” Buscetta.

Salemi è anche il paese dove si trovano i segni della mafia irruenta, violenta, quella che muove i grandi traffici di droga, che ha come suo uomo il potente Salvatore Miceli, che riesce a parlare con Riina quanto con Provenzano e quindi con l’odierno super latitante Matteo Messina Denaro. Anche Miceli è mafioso per eredità, è nipote di un altro mafioso e trafficante di droga, salemitano, Salvatore Zizzo. Ma Salemi è oggi il paese di Pino Giammarinaro, “Pinuzzu” per gli amici, o ancora “Pino Manicomio” come si dice sia appellato, non per dileggio, dai suoi amici di oggi, gli stessi che frequentavano il sindaco che Giammarinaro volle fortissimamente volle…Vittorio Sgarbi.

Giammarinaro, imprenditore edile, cominciò le sue fortune con l’imprenditore Lo Presti; negli anni ’80 conobbe la sanità pubblica, diventando presidente della Usl di Mazara. Da allora non ha lasciato questo terreno fertile, di voti, consensi e mazzette, costruendo una ampia tele di relazioni e di potere. Nel 1991 l’elezione plebiscitaria all’Ars con oltre 50 mila voti di preferenza presi con la Dc. Poco tempo dopo l’ordine di arresto e la latitanza, cominciata su un peschereccio partito da Mazara verso la Tunisia e finita in Croazia dove la Finanza andò ad arrestarlo, mentre contro di lui si aprivano altre indagini sulla malagestione della sanità pubblica trapanese. Pino Giammarinaro non è stato mai condannato per mafia, è uscito assolto da un processo, quello che mentre era in corso fu condizionato dall’entrata in vigore, retroattiva, della cosidetta legge sul giusto processo, e praticamente non si poterono utilizzare le dichiarazioni di accusa fatti contro di lui dai pentiti che nel dibattimento entrarono attraverso la produzione dei relativi verbali di interrogatorio.

La nuova norma vuole che le dichiarazioni dei pentiti siano utilizzabili solo se il collaboratore di giustizia ripete le accuse davanti ai giudici. Il pm Ingroia dovette chiedere l’assoluzione per Giammarinaro, e però quelle dichiarazioni finirono dentro il procedimento per la misura di prevenzione, e a Giammarinaro furono inflitti 4 anni di sorveglianza speciale.

Misura che non gli impedì di continuare a fare politica, addirittura di candidarsi all’Ars e sfiorare per una manciata di voti la rielezione, sorvegliato speciale che riceveva nella sua casa di Salemi politici importanti come l’allora Governatore della Sicilia Totò Cuffaro. O di muoversi, grazie a certificati medici di favore, per andare a Palermo a incontrarsi con altri maggiorenti della politica come l’on. Saverio Romano, capo dell’Udc siciliana.

Tutti sapevano che Giammarinaro era un sorvegliato speciale per mafia, ma facevano spallucce. E se non stava a Salemi oenon andava a Palermo, Pino Giammarinaro era facile incontrarlo davanti all’ingresso della Usl di Trapani, a ricevere i “clienti” mandati dagli amici.

Mafia e sanità. Un formidabile documentario di Stefano Maria Bianchi (uno della «truppa» di Santoro): che ha fotografato, anni fa,  la «mafia bianca», ossia gli interessi di Cosa nostra nel filone sanitario siciliano. Nel 2005 la Commissione nazionale antimafia in missione a Trapani si interessò alle ingerenze mafiose nella sanità trapanese.

Ma le infiltrazioni dei boss dentro il mondo sanitario non sono di oggi ma di molti decenni fa. Bisogna risalire al 1926 ad un certo dottore Melchiorre Allegra, «punciutu» e primo vero pentito di mafia. Certo, il rapporto tra mafia e camici bianchi da allora si è evoluto. Ma sempre borghesia mafiosa, bianca come il colore dei camici dei sanitari.

Un capo mafia famoso è stato il medico Michele Navarra di Corleone. Oggi si sentono fare i nomi di altri medici, palermitani, ma legati a Matteo Messina Denaro, come Antonino Cinà e Giuseppe Guattadauro, fratello di Filippo cognato diretto del boss latitante, il numero 104 nei pizzini di don Binnu.

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