lunedì, Aprile 29, 2024
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Riconsegnati ai fratelli Niceta i beni sequestrati

Dissequestrato il patrimonio dei Niceta

Si è chiusa il 9 ottobre 2018 una vicenda iniziata nel 2013 con un ordine di sequestro preventivo prima della Procura di Trapani, (due punti vendita di Castelvetrano), poi della Procura di Palermo, (2 dicembre 2013), con 16 punti vendita, case e azioni, dei depositi bancari e persino di un motociclo Piaggio, per un ammontare, si dice, di 50 milioni di euro, sulla base di “evidenze indiziarie che fanno ritenere…”.

Massimo Niceta, foto di Telejato

L’amministrazione fu affidata, dalla Saguto a uno dei suoi pupilli, l’avvocato Aulo Gigante, già legale rappresentante del gruppo Aiello (Villa Teresa), il quale, in un primo tempo, si servì degli stessi fratelli Niceta per portare avanti la gestione dei negozi e il pagamento delle commesse, poi, decretò per loro “l’interdizione della facoltà di accedere ai luoghi ove le attività in sequestro esplicano le loro attività aziendali  nonché di sostare nei pressi delle medesime, con l’espresso divieto  ad intrattenere rapporti di qualsiasi genere con  i dipendenti” (16 ottobren2014). Da allora tutti i punti vendita cominciarono a svuotarsi di merce e di persone con la prospettiva, in breve tempo, del fallimento e con la preoccupazione dei 54 dipendenti di essere licenziati. Il tutto con in presenza di un proscioglimento da ogni accusa della famiglia Niceta, la cui sentenza era già stata emessa dai giudici Micucci e Guido della Procura di Palermo sin dal 2 agosto 2010.

Niceta è stato uno storico esercente palermitano che si occupava della vendita di capi di abbigliamento, accessori e preziosi. Il peccato originale di Niceta Mario Vittorio Massimo, ovvero Niceta padre, è legato al possesso di una ditta di calcestruzzo in contrada Ciaculli Brancaccio, che, secondo una dichiarazione del pentito Cannella, fatta nel 1995 davanti ai giudici Lo Forte e Di Lucia, sino al 1993, aveva come Amministratore unico Niceta Mario, e successivamente, sino al fallimento nel 1996, un tal Conigliaro Giuseppe, ma i cui reali padroni sarebbero stati Pino Greco, detto Scarpuzzedda, i fratelli Graviano e Nino Mangano per conto di Leoluca Bagarella. La proprietà, ma solo nominale, dell’impianto, da parte del Niceta è anche confermata dal pentito Angelo Siino in una deposizione del 1998. A partire dal 1993 Niceta, tetraparaplegico, e quindi in una difficilissima condizione esistenziale, abbandona tutto e dichiara il fallimento delle aziende nelle quali compariva il suo nome. Sembrava una vicenda chiusa per sempre ed invece le deduzioni della Saguto e della DIA cui erano affidate le indagini hanno concluso che alla base della ricchezza dei Niceta e dei loro negozi c’era un lontano denaro sporco di mafia.
Non meno curiosa è l’altra vicenda riguardante il grande centro commerciale Belicittà di Castelvetrano, aperto nel 2007 gestito dalla 6 GI.DI.O. di cui è patron assoluto Grigoli e compare di Filippo Guttadauro in quanto testimone di nozze, ma anche padrino di Federica Grigoli. Al momento dell’assegnazione degli spazi i due fratelli Niceta stipulano nel 2007 un contratto d’affitto di un ramo dell’azienda per l’installazione di due punti vendita, il Blue Spirit e il Niceta Oggi, ma commettono l’imprudenza di assumere fra il personale Francesco e Maria Guttadauro, figli di Filippo Guttadauro, che ha sposato la sorella di Matteo Messina Denaro Rosalia, detta Rosetta e che non riescono a trovare lavoro a causa delle loro parentele. Va anche detto che Filippo Guttadauro è fratello di Giuseppe, un medico che risulta essere capo-mandamento di Brancaccio-Ciaculli, cioè uno di quelli che controllava la cava di Niceta padre e che è padrino di Massimo Niceta. Secondo le accuse della Saguto i fratelli Guttadauro sarebbero i soci occulti dei due punti vendita di Belicittà i cui intestatari fittizi sarebbero invece i fratelli Niceta, titolari dell’azienda NI.CA. La guardia di Finanza parla addirittura di un rapporto “sinallagmatico” (sic!). Aggiungasi che nei pizzini sequestrati nel 2007 ai Lo Piccolo c’è uno strano biglietto, attribuito a Matteo Messina Denaro, in cui è scritto “amico Massimo N.” e che esiste una intercettazione telefonica del lontano 2000 in cui Massimo Niceta, dovendo aprire un punto vendita Moda Italia in corso Finocchiaro Aprile a Palermo, telefona a Filippo Guttadauro, lamentandosi di uno sconosciuto che era andato a chiedergli informazioni, e chiedendo secondo l’interpretazione degli inquirenti, un intervento del fratello Giuseppe, suo padrino, ove si trattasse di richiesta di pizzo.

Altro elemento addotto è la nomina del ventunenne Niceta Pietro, nel 1991 come Amministratore della Tecnotra, società operante nel settore dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, cui nel 1992 subentrava il solito Conigliaro, che la metteva in liquidazione. Troviamo i nomi di Niceta Gioacchino e di Niceta Mario anche nel consiglio di Amministrazione della Parabancaria Consulting, una ditta che si è occupata di servizi bancari e parabancari, assicurativi e finanziari, sino al 1992, anno in cui si dimisero. C’è poi una serie complessa di eventi nei quali entra in ballo l’on. Acierno, un deputato condannato nel 2012 a 6 anni per peculato e altri reati economici, in stretto rapporto con i Guttadauro e con un tal Cappadonna, compare e “vivandiere” di Matteo Messina Denaro. Ce n’è abbastanza, secondo i giudici, per disporre il sequestro.
Viene rifiutato un piano di concordato preventivo ad un’assemblea dei creditori, giudicato un’indebita intromissione dei Niceta nella gestione giudiziaria. I negozi di Niceta al momento del sequestro avevano un fatturato di 20 milioni, nel primo anno di amministrazione giudiziaria, grazie alla collaborazione dei proprietari era stato confermato, ma dimmezzato l’anno successivo. Per il pagamento dell’amministrazione giudiziaria è stato calcolato un badget spese di 500.000 euro l’anno, di cui almeno 200 sarebbero finite nelle tasche dell’amministratore capo Gigante. Lui stesso ha dichiarato che in fondo non si tratta di una grande cifra, pari al 5% del fatturato. Siamo vicini alla percentuale pretesa dai mafiosi per il pizzo dalle imprese taglieggiate. E intanto, visto che i fornitori, non avendo più le garanzie di una volta, si rifiutano di fornire merce, gli scaffali si svuotano, gli inizi di stagione che in genere comportano molte vendite non partono, sono finiti gli sconti che hanno portato, con il 70%, perdite e fine di rapporti di lavoro. Quello che più incuriosisce è che, accanto ai 45 lavoratori licenziati, ne sono stati assunti 27, una bella lista di persone nuove, più o meno legate all’Ufficio misure di prevenzione, mentre agli storici lavoratori, come da essi ultimamente denunciato, è stato anche negato il pagamento del TFR. L’amministratore giudiziario si è visto più o meno un’ora a settimana, ma si è liquidato profumatamente le sue visite e quelle dei suoi collaboratori, negando però che le cifre comparse su un noto quotidiano siano reali.

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