giovedì, Ottobre 3, 2024
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Peppino Impastato, Rita Atria e Roberto Mancini non rimasero mai alla finestra

La commemorazione che non è accompagnata dallo stesso impegno è mantello di ipocrita complicità

“Chi lascia fare e s’accontenta, è già un fascista”
Cesare Pavese, da La casa in collina

“È successa la stessa cosa con Falcone e Borsellino, le persone che hanno lavorato per questo Paese sono riconosciute dopo la morte”. Questa le amare parole di Monica Dobrowolska, la vedova di Roberto Mancini, nell’intervista a Il Fatto Quotidiano TV del 28 febbraio di quest’anno, mentre ribadiva che l’unico vero rispetto alla memoria del marito è sconfiggere le ecocamorre e salvare la Terra dei Fuochi. Un’intervista intensa che mi ha ricordato le parole del fratello di Paolo Borsellino, Salvatore: “È ora di smettere di piangere per Paolo, è ora di finirla con le commemorazioni, fatte spesso da chi ha contribuito a farlo morire, è l’ora invece di dimenticare le lacrime, è l’ora di lottare per Paolo, lottare fino alla fine delle nostre forze, fino a che Paolo e i suoi ragazzi non saranno vendicati e gridare, gridare, gridare finché avremo voce per pretendere la verità, costringere a ricordare chi non ricorda”.

Ogni commemorazione, lo si è scritto tante volte in questi anni, nasconde la più insidiosa delle trappole: la retorica vuota e buona solo per sfilate e cerimonie piene di belle parole e la creazione di laici santini. E poi tornare alla vita di sempre. Ma Peppino Impastato, Roberto Mancini, Rita Atria e tanti altri hanno pagato l’altissimo prezzo di un fuoco ardente, di una tensione etica, politica e civile. Hanno aperto gli occhi sul mondo che li circondava, non si sono accontentati di lamentarsi ma hanno speso le loro esistenze per lasciarlo migliore di come l’avevano trovato.

Monica Dobrowolska fu intervistata in occasione dell’uscita del libro “Io morto per dovere”, sulla storia di Roberto e il suo impegno per la Terra dei Fuochi, insieme all’autore Nello Trocchia. Il sistema che ha impedito a Roberto Mancini di salvare la Terra dei Fuochi e di combattere le ecocamorre è lo stesso nel quale s’imbatterono Ilaria Alpi, Mauro Rostagno e tantissimi altri. Quel sistema è ancora in piedi, vive e prolifera nei silenzi, nelle complicità, nelle finestre affollate mentre la coscienza chiama. In Campania, in Sicilia, nel Lazio e altrove. Anche nell’Abruzzo da dove sto scrivendo. Dove ci sono piccole e grandi “terre dei fuochi” conosciute o sconosciute, dove la camorra è arrivata a stoccare i suoi rifiuti. Ma molti girano la testa dall’altra parte, fanno finta di non sapere. Lamentarsi che è tutto uno schifo, rimanere inerti è accettarlo. Un’accettazione che diventa complicità, brodo di coltura della mafiosità, del marcio che Peppino Impastato, Roberto Mancini, Rita Atria hanno ripudiato e combattuto.

Le mafie non sono organizzazioni isolate che violano banalmente e soltanto una formale legalità. Le mafie sono immerse e si alimento in ben precisi contesti sociali, politici, culturali. Rita Atria si ribellò alla sua famiglia, alla complicità ai boss. Peppino Impastato si era reso conto che la mafia e le classi dominanti sono un blocco unico, e capì che bisognava spezzare le catene, di quel sistema borghese e oppressivo, di quella cultura ipocrita e servile. Tutto questo non è mai finito, perché le trame continuano, prosperano, infettano. Per dirla con Pippo Fava, ancora “i mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione”. Esiste l’antimafia da parata, l’antimafia da salotto, l’antimafia vuota e retorica, l’antimafia di chi in realtà si amalgama (per dirla con le parole di Roberto Mancini) al sistema.

Chi veramente vuol realizzare commemor-azione, chi vuol aprire gli occhi nomi, cognomi, atti e fatti li conosce e li trova facilmente. Per gli altri c’è poco, anzi nulla, da fare. Perché è tanto, troppo facile puntare il dito giudicando chi lotta perché “tanto si è tutti uguali” (ma chi paga il prezzo della coscienza e chi si fa pagare quello del “materasso di piume” non saranno mai uguali!!), credere che Peppino Impastato fosse un terrorista, che Pippo Fava e don Peppe Diana andavano a “fimmine”, che Ilaria Alpi fu vittima di una rapina, che nulla potrà mai cambiare, che chi rifiuta la raccomandazione è uno che non vuol lavorare, che la difesa del territorio sia un inutile e dannoso fastidio burocratico. Perché – come scrisse Rita Atria – “se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo”. Peppino Impastato non è un laico santino per un giorno ma un fuoco che ci deve ardere dentro. E se qualche borghese in poltrona e alla finestra sarà infastidito, se i moralisti a basso prezzo ci sentono come minaccia e li turbiamo, è una soddisfazione in più.

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