mercoledì, Dicembre 11, 2024
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Politiche abitative e mercato

Roma. L’emergenza casa e lo sgombero come “soluzione”

È stata pubblicata lo scorso 5 settembre la circolare sugli sgomberi del ministro Minniti che riassume il dibattito pubblico delle ultime settimane: il sindaco Raggi ha più volte parlato di “soluzioni per le “fragilità”, il capo della polizia ha chiesto invece “soluzioni per evitare tensioni”. E gli sgomberi sono stati invocati per difendere i risparmi dei pensionati. Abbiamo chiesto a Sandra Annunziata, ricercatrice in Studi Urbani e docente a contratto di Urbanistica a Roma Tre, dove si occupa di emergenza abitativa e sfratti nelle città del Sud Europa, di aiutarci a capire di cosa si sta parlando in concreto.

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Sembra che ci sia una certa, non casuale, confusione nel fotografare l’emergenza abitativa romana, ci aiuti a tratteggiare un quadro di insieme del problema della casa a Roma?

Partirei dal sottolineare che stare più di un anno senza assessore alle Politiche abitative e senza una figura di riferimento competente in materia è un fatto grave per la fisionomia assunta dalla questione abitativa a Roma.
Detto questo il concetto di “fragilità” non esiste, nella lettura scientifica tutto al più si parla di disagio abitativo grave e/o vulnerabilità per riferirsi a soggetti che possono da un momento all’altro perdere la loro abitazione perché non hanno un reddito sufficiente per pagare un affitto di mercato e rischiano di diventare “senza fissa dimora”. Se consideriamo classificazione europea ETHOS in questa categoria rientrano tutti gli effetti coloro che oggi occupano a scopi abitativi.
I dati disponibili dimostrano che la domanda di abitazioni sociali oggi è molto complessa e riguarda una fascia estesa della popolazione: a coloro che presentano condizioni di disagio abitativo grave (penso ai senza fissa dimora) si aggiungono oggi i lavoratori precari e coloro che hanno perso il lavoro che non disponendo di reddito sufficiente per pagare l’affitto si sono visti pervenire una ingiunzione di sfratto, anziani soli con pensione minima, nuclei monoparentali, chi ha sottoscritto un mutuo prima della crisi e oggi non è più in grado di sostenerne il costo, gli sfrattati che da anni vivono nei CAAT (i cosiddetti residence che a loro volta “dovrebbero” essere chiusi in vista di una soluzione più adeguata) e infine, come si evince dai fatti di Piazza indipendenza, i rifugiati titolari di protezione internazionale che sono già passati nel circuito della seconda accoglienza e molti immigrati economici che non hanno raggiunto una piena inclusione abitativa per via del costo proibitivo degli affitti.
É una domanda sociale complessa che avrebbe bisogno di soluzioni differenziate. Anche sull’ERP e sulla questione della graduatoria si fa confusione: la lista di attesa dell’ERP non è la fotografia completa della domanda abitativa per come si presenta oggi. Non solo perché le graduatorie sono ferme da anni ma anche perché la cronica lentezza nell’assegnazione degli alloggi ha creato degli effetti pervesi. I criteri di assegnazione di una abitazione ERP prevedono reddito annuo complessivo inferiore ai 20mila € annui circa. Questo vuol dire che anche un giovane precario avrebbe in linea teorica diritto all’alloggio popolare; la realtà è che la cronicizzazione delle liste di attesa e la scarsità degli alloggi determina una selezione ulteriore rispetto ai criteri del bando, selezione che genera spiacevoli conflitti tra poveri.
Per questo individuare determinate fragilità o riferirsi esclusivamente a chi sta in graduatoria ERP in una compagine così complessa è un ragionamento divisivo che non fa altro che complicare le cose e mettere in competizione i diversi soggetti che compongono la domanda sociale di abitazioni.

La Raggi propone di affrontare l’emergenza abitativa “rivitalizzando il mercato”, in particolare parla di affrontare il tema delle 200 mila case costruite e mai utilizzate, il così detto “invenduto”. Si parla quindi di incentivi che sostengano l’offerta, come funzionano o come hanno funzionato in passato politiche pubbliche di questo tipo e che efficacia hanno avuto nel risolvere l’emergenza abitativa?

Iniziamo dicendo che chiedere al Ministro sbagliato la cosa sbagliata dovrebbe farci riflettere sul sindaco che abbiamo: ovviamente non è il Ministro degli interni che ha le competenze per mettere a dispozione immobili della difesa.
Le proposte fatte sono il linea con una agenda di interventi orientati alla soluzione del problema. Quello che la Giunta però sta sbagliando è una stima dei tempi di attuazione di queste misure e l’assenza di un piano nel breve e medio periodo.
In se la proposta di mettere a disposizione il patrimonio demaniale per fini abitativi è una cosa di cui si parla da diverso tempo; un tema sul quale si sono impegnati i corpi intermedi e per il quale già disponiamo di un quadro legislativo. Tra le leggi in materia mi preme sottolieneare il comma 1-bis dell’articolo 21 della legge Sblocca Italia che permetterebbe ai Comuni di fare una proposta di conversione abitativa come azione prioritaria rispetto ad altre destinazioni d’uso degli stessi immobili.
Il problema è che questo tipo di trasformazioni sono molto complesse e richiedono sinergia e collaborazione tra diversi livelli di governo che non sempre sono dello stesso colore politico e non sempre hanno le stesse idee su come riutilizzare il patrimonio (sono il Ministero della Difesa, l’Assessorato all’urbanistica della città in oggetto, il Demanio e spesso e volentieri Cassa Depositi e Prestiti).
La complessità di questo tipo di trasformazione è data anche dal fatto che si tratta di immobili che devono essere convertiti, per i quali è necessario fare dei piani e degli studi di fattibilità e valutazioni sulla possibilità di poterli abitare. Si tratta di piani che necessitano di tempi di attuazione precisi. Trovo assolutamente irresponsabile che ogni nuova giunta faccia della trasformazione urbana lo strumento con cui lasciare il proprio segno di distinzione e agisca in discontinuità con la precedente, durante la Giunta Raggi addirittura sono decaduti i termini per la riconversione di alcune di queste caserme. Di cosa stiamo parlando? E’ evidente che la questione abitativa non è stata un priorità fino a quando lo scandalo di P.za Indipendenza non ha cavalcato la stampa nazionale prestandosi a tutte le strumentalizzazioni possibili.
Detto questo si tratta di operazioni urbanistiche interessanti, in linea sia con i sostenitori della riduzione al consumo di suolo, sia con la possibilità di mantenere quote di abitanti a basso reddito in aree urbane in cui sono già presenti infrastrutture di trasporto (diciamolo, avere una casa importante ma è altrettanto importante poterci arrivare!) e in cui la città si troverebbe avvantaggiata nella negoziazione con gli operatori immobiliari perché avrebbe la possibilità di abbattere gli oneri di urbanizzazione e chiedere in cambio un numero considerevole di alloggi da destinare a ERP.
La proposta di mobilitare le case vuote e invendute è pure giusta, ma non saranno i meccanismi di detassazione a renderla possibile. Proporre di detassare chi mette a disposizione immobili vuoti e invenduti in un paese in cui la rendita da locazione è ampliamente detassata (oltre alla cedolare secca del 20% con l’ultimo piano casa si abbatte il regime di tassazione al 10%) ancora una volta denota l’incapacità di fotografare il problema degli immobili vuoti a partire dalle cause che li hanno generati.
In concreto cosa fa il sindaco? passa la palla al governo nazionale proponendo cose che per essere fatte seriamente richiedono tempo, come ad esempio una riforma della legge sull’affitto (che introduca regimi di tassazione differenti per piccoli medi e grandi proprietari, cosa che oggi non fa).
Avrebbe però, la sindaca, degli strumenti che potrebbe utilizzare subito come l’erogazione di sussidi specifici per l’affitto a categorie sfrattate o che oggi vivono in occupazione chiedendo al governo continuità nell’erogazione dei fondi; proporre di rivedere al ribasso le soglie massime dei contratti concordati che ad oggi sono vicini ai prezzi di mercato e dovrebbero essere almeno la metà per commisurarsi ai redditi; fare una richiesta esplicita di blocco degli sfratti e degli sgomberi sulla base di un vincolo d’uso sociale al patrimonio pubblico e privato, confiscare il diritto d’uso di immobili ad oggi invenduti…
Sui sussidi in particolare credo si debba essere aperti. Il bonus casa era una misura intelligente che sarebbe potuta essere ampliata per prevenire gli sfratti. Andava, seppur timidamente (infatti non ha trovato grande consenso nei movimenti) nella direzione auspicabile: quella di diversificare il più possibile l’offerta nella consapevolezza che le nuove abitazioni ERP che l’amministrazione capitolina e ATER saranno in grado di garantire non soddisferanno in ogni caso la domanda nel breve periodo.

In sintesi però che cosa è uscito dal tavolo Raggi- Minniti? Ipotesi che richiederanno anni di lavoro, che convivono a fatica con il clima di sgomberi che si respira in questi ultimi anni e per le quali servirebbe più competenza in materia di politiche abitative.

Per chi oggi dorme a piazza venezia solo fumo negli occhi…

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