giovedì, Aprile 25, 2024
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Peppa la cannoniera

Prima antiborbonica, poi antiproletaria…

Molti conoscono Giuseppa Bologna­ra, detta Peppa la cannoniera, per il co­raggio dimostrato nelle giornate della liberazione di Catania dalle truppe bor­boniche, pochi, forse, sanno cosa accad­de appena pochi giorni dopo dalle parti di Biancavilla ed Adrano e tutto ciò che le capitò di fare e di vivere nei mesi e negli anni della sua vita.

Con i patrioti

Non era bella, le fattezze erano piutto­sto mascoline e aveva il viso butterato dal vaiolo; era così Giuseppa Bolognara, nata a Barcellona Pozzo di Gotto, ma catanese di adozione per avere legato la sua esi­stenza alla storia della città etnea.

Garibaldi era arrivato in Sicilia da una ventina di giorni e la Sicilia era un unico, totale fermento: gli insorti volevano a cac­ciare i borbonici da Catania e non contava niente se ancora erano pochi e male orga­nizzati perché era l’aria che si respirava che moltiplicava le forze e preparava la vittoria.

Era questa l’aria che respirò Peppa quando a piazza Ogninella, il 31 maggio 1860, sparò una cannonata sulle truppe del generale Clary e quando riuscì ad im­padronirsi di un cannone che i borbonici in fuga avevano lasciato sulla via.

Peppa lanciò sul cannone una fune, pro­prio come fanno i cow boy per catturare “al lazo” i cavalli, lo tirò a sé restando al riparo dal fuoco nemico, lo sistemò e lo puntò contro i soldati.

Li attirò con uno strattagemma: sparse sul cannone della polvere e simulò un colpo fallito, a quel punto i nemici si lanciarono per riconquistare il “pezzo”, ma questa volta Peppa diede il giusto fuoco alle polveri causando gravi perdite.

Contro i contadini

Da Catania a Biancavilla ci sono pochi chilometri, eppure bastano per collocare Peppa in una nuova dimensione.

In questa sede bisogna spiegare ciò che lei stessa in quei giorni non riuscì a cogliere e cioè che la presenza garibaldina in Sicilia poteva essere e non fu un’autentica lotta di li­berazione; certo lo fu “po­liticamente” per­ché i Bor­bone fu­rono cacciati, ma non lo fu né so­cialmente, né economicamente.

Così i contadini rimasero senza le terre demaniali, mentre borghesi e aristocratici riu­scirono addirittura a portare i garibaldi­ni sulle loro posizioni e mantenere, quin­di, i loro privilegi di classe dirigente.

Peppa non capì nulla e si trovò, a Bian­cavilla, ad inseguire, catturare e portare davanti al plotone d’esecuzione quei pa­trioti che erano stati con lei a Catania ap­pena pochi giorni prima a cacciare i bor­bonici dalla città.

Furono catturati e fuci­lati, il 18 giugno, l’artigiano Furnari, detto Legno Torto e altri otto patrioti tra cui una donna, Vin­cenza Vicceri che si era parti­colarmente distinta nella lotta di classe contro i pro­prietari terrieri.

Nella guardia nazionale

La contraddizione si consumò in modo completo e definitivo quando Peppa entrò nella Guardia nazionale, quando si prestò alla dirigenza aristocratico-borghese con­tro poveri e morti di fame: a Catania, dal­le parti del collegio Cutelli, riuscì a scova­re sotto un tavolo in una bottega di sarto­ria un malavitoso, accusato sommaria­mente di omicidio. Lo immobilizzò e lo fece legare e lo consegnò al plotone di esecuzione per la fucilazione.

Si guadagnò, così, la riconoscenza della guardia nazionale e del Governo che la ri­compensò con un mensile di 19 ducati, poi trasformato in una “una tantum” di 216 ducati e fu anche decorata con la me­daglia d’argento al valor militare.

Come si sa la storia non è soltanto co­noscenza dei fatti, ma anche memoria , giudizio e compara­zione delle situazio­ni, dei problemi ed anche delle storie perso­nali. E allora, solo per una rifles­sione, va detto che altre patriote e ribelli non rice­vettero alcu­na ricompensa.

Peppa, comunque, non ebbe neppure la sorte di una vecchiaia serena: fino al 1876 restò a Catania, la si vedeva per le oste­rie vestita da uomo a bere e a fumare, poi tor­nò a Messina e cadde nella rete degli usu­rai a causa dei frequenti prestiti per soste­nere le sempre più pesanti spese medi­che. Fu ospite, accolta gratuitamente per spiri­to di carità, dalla proprietaria dell’al­bergo Dogali in via Bocca Barile, 2 e quando si aggravò la portarono in ospeda­le dove sa­rebbe morta il 20 settembre 1900.

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