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Le mani sulla discarica

Latina. Terra, rifiuti e mafie: le tre stagioni della storia di una tran­quilla cittadina che, per quanti nomi abbia cambiato, non è ancora riuscita a trovar pace

La monnezza delle strade si vede ra­ramente. L’emergenza è finalmente lon­tana, ad appena cinquanta chilometri, direzione Sud. Lì c’è un fiume, una pia­nura, decine di serre, trattori, contadini con la loro lingua antica. E una collina, strana, verde pallido. E’ Borgo Montel­lo, Latina, la discarica che da mesi ac­coglie una parte dei rifiuti romani che Marino non vuol vedere dalle sue par­ti.

Inghiotte tutto, come ha sempre fatto. Negli anni ’80 prendeva quei fusti neri delle industrie criminali; poi “il triturato misto”, melme confuse di chimica e fan­ghi. Oggi la Forsu, ovvero gli scarti umidi delle città, selezionati dai mostri d’acciaio chiamati TMB. Roba che puzza come pri­ma, che emette gas, percolati. Che – come in tutte le discariche del Lazio – violenta la terra.

Da queste parti negli anni ’30 l’hanno strappata alla palude. Venti ettari a fami­glia, dove spaccarsi la schiena per genera­zioni. E’ un susseguirsi di argille scure e sabbie, da mescolare e accudire. Guardan­do le mappe catastali della provincia a sud di Roma si riconosce quella suddivisione dell’era che qui chiamano della “Fonda­zione”.

Era l’epoca di Littoria…

Era l’epoca di Littoria, quando la corru­zione il fascismo la teneva nascosta, chiu­sa nei dossier da usare per ricattare tutti.

Nell’ufficio del catasto quella terra oggi coperta da 40 metri di monnezza per un’estensione di 40 ettari (provate a fare i calcoli per avere il senso della violenza insita nella storia delle scorie italiane) oc­cupa il foglio 21. E poi i lotti, tanti, decine di numeri, divisi tra otto invasi, che mar­cano il tempo dagli anni ’70 in poi, segna­posto della memoria per chi qui è nato e cresciuto.

Per i monnezzari quei numeri sono tut­to. Sono potere, affermazione imprendito­riale, spesso una scommessa sugli affari del futuro. Non c’è riforma agraria che regga alla potenza di una discarica.

Latina è particolare. Qualcuno dice una sorta di camera di compensazione com­plessa e delicata. C’è l’anima nera, neris­sima, fatta di gente che offriva vergini ai camerati assassini in fuga.

C’è il potere democristiano inossidabi­le, cresciuto sotto le ali di Andreotti e del­lo squalo Sbardella. Ci sono i poteri cri­minali che si incontrano, si scambiano fa­vori e affari. C’è un fiume di droga, come in tutte le province italiane. Ma c’è qual­cosa di diverso tra i canali della bonifica, un senso impercettibile e sfuggente di po­tere ancora più complesso.

Ed è forse per questo che anche per la monnezza, da queste parti, le cose si fan­no complicate. Partiamo da un anno chia­ve, il 1994. Uno strano imprenditore na­poletano – tale Giovanni De Pierro – compra in blocco una vecchia discarica in parte abbandonata. Terra inservibile, intri­sa di percolato. La compra da un fallimen­to di una società, la Ecomont, che qualche tempo prima era stata costituita da un va­riegato gruppo: un imprenditore siciliano, qualche studente e un paio di giovani ca­salinghe.

Quell’investimento sarà l’inizio di una complessa vicenda amministrativa e giu­diziaria. Poco dopo il rogito l’amministra­zione fallimentare della Ecomont chiede – e in parte ottiene – la revoca dell’atto, aprendo un contenzioso che dura fino ad oggi. Verificando chi possiede le terre del­la discarica di Latina in conservatoria si scopre un vero e proprio ginepraio, dove è molto difficile avere una situazione certa.

Una “normale” storia di riciclaggio?

Dopo vent’anni, nel gennaio del 2014, il Gico della Guardia di Finanza sequestra il patrimonio di De Pierro. Centinaia di so­cietà, holding estere, conti correnti. E una parte di quelle terre di Borgo Montello, ancora oggi contese.

Una normale storia di riciclaggio all’ita­liana? Forse. O forse qualcosa di più. Quelle terre imbarazzano, in tanti evitano di parlare dell’affare strampalato del 1994, di quell’acquisto fi­nito nei fascicoli della Finanza.

Nel 2007 e poi nel 2009, quando la so­cietà Ecoma­biente ottiene l’autorizzazio­ne per amplia­re la discarica, la Regione La­zio ignora completamente la complicata questione della proprietà di quelle terre. Nei docu­menti ufficiali scrive che quell’area appar­tiene al gestore. Insomma una bugia. Poi nel 2014, quando quell’autorizzazione viene rinnovata, il gestore Ecoambiente assicura che nessun sequestro è mai avve­nuto.

Eppure l’atto della magistratura è stato regolarmente trascritto nella conser­vatoria e l’area sequestrata rientra nella zona ge­stita dalla società (corrisponde con la par­te degli uffici, l’ingresso dei camion e la pesa, come si può dedurre dalle map­pe ca­tastali confrontate con le foto aeree).

La vicenda del passaggio delle terre di Borgo Montello continua a rimanere in buona parte un piccolo mistero di questa provincia del sud del Lazio.

Un pastic­ciaccio brutto, la punta di ice­berg di una vicenda oscura. Da quel 1994 – anno dell’arrivo da queste parti dell’investitore napoletano – si può partire in un viaggio della memoria, a ritroso. Una porta del tempo, tra veleni, omicidi eccellenti e giochi di potere.

L’assassinio di don Boschin

C’è un omicidio che pesa sulla storia di Latina come un macigno. Un caso irrisol­to, la morte del parroco di Borgo Montel­lo avvenuta il 30 marzo del 1995. Si chia­mava don Cesare Boschin, un veneto arri­vato in provincia di Latina – in località Le Ferriere – nel 1950, con l’incarico di rico­struire la chiesa di Santa Maria Goretti.

Gli viene affidata la parrocchia di Bor­go Montello, dove dagli anni ’30 si erano in­sediati i contadini provenienti dal Vene­to. Qui morirà quarantacinque anni dopo, soffocato e malmenato nella sua canonica. Il caso si è chiuso con un’archiviazione, disposta dal Gip di Latina, su richiesta della Procura che non riuscì – nelle brevi indagini – ad arrivare a individuare re­sponsabili e moventi.

Imprenditori e politici dietro la gestione dei rifiuti. Con la sua morte si chiude un primo ciclo, e se ne apre un altro, che dura fino ai nostri giorni nella gestione dei rifiuti nella locale discarica.

Quell’omicidio rappresenta un punto di svolta, simbolico, anche se fino ad oggi ufficialmente non si conosce il movente.

La discarica di Borgo Montello era nata nel 1971 con la gestione di due im­prenditori italiani arrivati dalla Tunisia, Andrea Proietto e Umberto Chini (Vedi: La socie­tà ProChi, delle famiglie Proietto e Chini, primi gestori di Borgo Montello). Face­vano parte di un gruppo ampio di ex colo­ni emigrati in nord Africa, costretti poi ad abbandonare quei paesi.

I loro primi passi – ricordava l’ex sena­tore socialista Mauri­zio Calvi – furono ac­compagnati e spon­sorizzati dal Psi. Fino al 1988 sostanzial­mente la gestione dei ri­fiuti della provin­cia di Latina era in mano a questo gruppo locale.

Gli anni ’80 e’90

Cronistoria della discarica fra gli anni ’80 e ’90. Il cambiamento radicale avvie­ne con l’arrivo di un imprenditore da fuori regione, Biagio Giuseppe Maruca, origi­nario di Bompietro (Paler­mo). Il 30 ottobre 1989, davanti al notaio Angelo Federici di Roma, otto persone costituiscono la Ecotecna, Trattamento ri­fiuti.

Sono Domenico D’Alessio, operaio, Franco Marini, operaio, Ciro Salerni, im­piegato, Rosa Manganelli, operaia, Bruna Minestrelli, casalinga, Federico Primiani, studente, Livio Trincia, operaio e, infine, Biagio Maruca.

Un mese dopo la Ecotec­na acquista una prima parte dei terreni della zona di Borgo Montello, preparan­dosi a gestire la disca­rica. I due imprendito­ri Chini e Proietto a loro volta vendo­no tutto a Maruca, incas­sando una lauta li­quidazione.

Un anno prima, il 10 maggio del 1988, si era costituita la società Eco­mont, amministrata da Riccardo Ma­ruca (imprenditore coin­volto recente­mente in un’inchiesta della procura di Agrigento per false fattu­razioni).

Il passaggio societario

Questo passaggio societario è il punto di svolta, che – da lì a poco – aprirà la strada ai colossi industriali nazionali, se­guendo uno schema comune a molte di­scariche italiane. L’ex senatore Maurizio Calvi (che per due legislature – dal 1989 al 1994 – ha fatto parte della commissione antimafia) ha raccontato come dietro Bia­gio Maruca vi fosse la cordata politica andreottiana, rappresentata in quel mo­mento da Vittorio Sbardella.

E’ un dato molto importante per capire cosa accade a Borgo Montello a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. E’ l’epoca d’oro del­la Dc e del Psi, partiti affidati a due teso­rieri che diverran­no famosi grazie a Tan­gentopoli, Giorgio Moschetti, detto “er biondo”, uomo di fi­ducia di Sbardella, e Paris Dell’Unto, det­to “il roscio”, cassiere fedelissimo della corrente craxiana.

Ai vertici della Regio­ne Lazio c’è una staffetta tra Bruno Landi – socialista, di­venuto poi amministratore della Ecoam­biente, arrestato lo scorso 9 gennaio per l’inchiesta romana su Cerroni – e Rodolfo Gigli, democristiano passato poi nelle fila di Forza Italia. Anche a Lati­na, dopo il 1987, c’è un cambio di potere. La giunta Corona – appoggiata dal Psi – viene sostituita da Delio Redi, andreottiano di ferro, come ricorda Maurizio Calvi.

1994, un anno chiave. All’inizio degli anni ’90 arriva a Borgo Montello il grup­po Pisante, holding lombarda specializza­ta nei servizi ambientali. Il gruppo a Roma in quel periodo ha qualche guaio giudiziario, a causa di un’inchiesta su un appalto per la gestione dei depuratori di Acea.

Il gruppo di Biagio Maruca

La richiesta presentata nel 1993 al Se­nato per poter procedere contro l’ex teso­riere della Dc (leggi: Domanda di autoriz­zazione a procedere contro Giorgio Mo­schetti – Fonte: Senato) ipotizzava il ver­samento di una serie di tangenti ai due te­sorieri Dc e Psi romani per la realizzazio­ne di diversi appalti. Le imprese coin­volte erano ben cono­sciute nel campo dei servi­zi ambientali. Oltre al gruppo Acqua dei fratelli Pisante, nelle carte della magistra­tura appariva an­che Romano Tronci (im­prenditore del set­tore dei rifiuti che opera­va anche nella di­scarica di Pitelli) per la De Bartolomeis, colosso specializ­zato in impianti di tratta­mento dei rifiuti.

E’ questo il contesto politico che in que­gli anni vede in azione il gruppo di Biagio Maruca (mai coinvolto in indagini penali), l’imprenditore che traghetta la seconda di­scarica del Lazio dalle mani di Proietto e Chini a quelle dei grandi gruppi.

Oggi i due impianti, dopo una serie di passaggi societari, sono controllati dalla Green Holding della famiglia Grossi (che controlla Indeco) e dal gruppo riconduci­bile a Manlio Cerroni (che pissiede il 49% di Ecoambiente).

Quella fase si conclude (sem­bra) nel 1994, quando lo sconosciuto Gio­vanni De Pier­ro acquista in blocco la par­te di disca­rica abbandonata da Biagio Ma­ruca.

La figura di questo imprenditore è un vero giallo. La Guardia di Finanza nei mesi scorsi, con due diverse operazioni, ha se­questrato un patrimonio riconducibi­le alla sua famiglia di 350 milioni di euro. Una cifra enorme, nascosta in una rete di centi­naia di società. Il suo gruppo era spe­cializzato nella manutenzione e nei servizi ambientali per le grandi industrie.

E questo è l’unico filo che lo lega al ter­ritorio della provincia di Latina, dove operano moltissime fabbriche chimiche e farmaceutiche.

Secondo un’inchiesta della procura di Potenza del 2003 (leggi l’ordi­nanza del GIP che si dichiarava non com­petente sul sito dei creditori Federconsor­zi) De Pierro avrebbe fatto parte di una vera e propria “holding del malaffare”. In quell’indagine la Procura aveva contestato all’imprendi­tore il ruolo di copromotore di una asso­ciazione per delinquere “impe­gnata nel settore degli appalti”.

Un luogo poco fortunato…

La storia della discarica di Borgo Mon­tello deve es­sere in buona parte ancora scritta. E’ un luogo poco fortunato per le socie­tà che decidono di investire da que­ste par­ti. Il gruppo Cerroni, rap­presentato a Lati­na da Bruno Landi, è oggi sotto pro­cesso a Roma.

France­sco Colucci, socio di Cer­roni nell’affare discariche, è stato recentemen­te arrestato ed è al centro di un’inchiesta della Procura di Milano.

An­che l’altro gruppo imprenditoriale, ricon­ducibile alla Green Holding di Mila­no, non ha avuto buona sorte. Il pa­tron Giu­seppe Grossi – scomparso da poco – ha subito una condanna a Milano per la boni­fica di Santa Giulia.

La questione della proprietà delle terre è ancora aperta, mentre la Procura di Lati­na ha chiesto il rinvio a giudizio di tre consi­glieri di amministrazione di Ecoam­biente per avvelenamento colposo delle acque, reato particolarmente grave.

Per la Regione tutto va bene.

Intanto per la Regione Lazio va tutto bene. Senza colpo ferire lo scorso luglio la giunta Zingaretti ha approvato il rinno­vo delle autorizza­zioni integrate ambien­tali, dando il via li­bera alla realizzazione di due nuovi im­pianti di trattamento di ri­fiuti. Quel “pa­sticciaccio brutto” nascosto sotto le colli­ne artificiali di monnezza di Borgo Mon­tello in fondo interessa a po­chi.

 

Pubblicato su Libera Informazione 25-27 agosto 2014

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