giovedì, Aprile 18, 2024
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La fossa degli ultimi

Otto Luglio millenovecentosessanta.

Da San Cristoforo agli Angeli Custodi, dai Cappuccini all’Antico Corso e fino a San Berillo, insomma, dai quartieri del centro storico di Catania gli operai, gli edili e gli artigiani erano pronti.

Bisognava “scinniri a Catania”.

Il giorno prima a Genova e a Reggio Emilia erano stati uccisi dei compagni, degli operai, e questo non si poteva sop­portare.

A Catania il sindacato su questi avve­nimenti non era stato chiaro, anzi, era stato assente.

Quei compagni erano stati uccisi il giorno prima dalla polizia per ordine del neonato governo guidato dal democri­stiano Tambroni, alleato con i neofascisti del M.S.I.. È per questo che le piazze si risvegliarono e quei nuovi e vecchi parti­giani gridarono no al possibile riaffac­ciarsi del neofascismo.

Era l’8 luglio del 1960, quando quegli uomini arrivarono dai quartieri e dalla provincia di Catania, concentrandosi fra via Etnea e piazza Stesicoro.

Ma anche a Palermo e nel piccolo pae­se agricolo di Licata, gli agricoltori e gli operai manifestavano uniti.

Anche Salvatore, Salvatore Novembre, giovane operaio edile, era in Piazza Ste­sicoro insieme ai suoi compagni.

Alle spalle della piazza si vedevano le prime ferite provocate delle ruspe che iniziavano lo sbancamento del vecchio quartiere di San Berillo.

La polizia era schierata sul terrapieno e circondava la piazza.

Poi un colpo di moschetto, un uomo a terra sul selciato che costeggiava il cine­ma Olimpia: è Salvatore Novembre in una pozza di sangue. I poliziotti lo guar­dano e non fanno nulla.

Adesso memorizzate anche questa im­magine e andiamo avanti…

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Nella frenesia del boom economico, che fu soprattutto edilizio, Catania cre­sce, e qualcuno mette “le mani sulla cit­tà”: imprenditori e politici. Il Corso Sici­lia è già a buon punto, il vecchio quartie­re San Berillo spaccato in due: alle spalle della statua di Bellini una lunga striscia d’asfalto corre dritta verso il mare, verso la Stazione Centrale. Ma anche l’osserva­tore più distratto si accorgerebbe di quell’edificio messo di traverso come un elefante dormiente, che impedisce a quella strada di “tirare dritto”. Esplode lo scandalo, la politica l’imprenditoria, l’amministrazione comunale vengono in­dagate. Al centro dello scandalo, l’istituto immobiliare ISTICA .

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Proprio in quei mesi, ecco cosa scrive­va Giuseppe Fava nella sua inchiesta: “Una ditta privata è fatta allora sicura­mente da gentiluomini pensosi soltanto del bene pubblico? Per niente! Solo che la ditta privata ha un fine pratico, che di­venta anche la sua morale: il denaro! Cioè guadagnare quanto più denaro e nel più breve tempo possibile; l’interesse privato non ha bandiere, e nemmeno ideali di redenzione, né voti da conqui­stare, e perciò appunto è razionale, velo­ce, pratico, assume solo gli operai che gli fanno comodo e non uno di più, li fa im­placabilmente lavorare: tante ore al gior­no, tanti metri quadrati di demolizioni. È una constatazione pratica; ma nell’attuale momento politico il risanamento del San Berillo poteva essere ragionevolmente affrontato solo con l’intervento dell’inte­resse privato. Questa soluzione costitui­rebbe scandalo se si riuscisse a dimostra­re che quei privati corruppero uomini po­litici per aggiudicarsi quell’affare. Ma ciò non è dimostrato, gravissimo sarebbe in­vece ora se non si riuscisse a portare a termine il risanamento nei modi, nei tem­pi e nello stile esattamente previsti dalle legge. Questo resta da vedere!” (dal Processo alla Sicilia di Giuseppe Fava, Catania, Fondazione Fava, 2008).

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Nel frattempo, le sciare delle colline e quelle sul mare venivano aggredite da migliaia di metri cubi di cemento armato: qualcuno volle chiamarla “città moderna”, il sogno di una city finanzia­ria e commerciale. Il corso Sicilia si are­nava sulle sponde della cattiva politica e dei comitati d’affari.

Il corso Sicilia era monco, bloccato da una piazza “improvvisata”: Piazza della Repubblica.

E dietro quella piazza, cosa c’è?

Una lingua d’asfalto diritta verso la stazione ferroviaria, che taglia in due i “vuoti urbani”, ormai sotto sequestro.

Il grande risanamento del quartiere San Berillo, luogo povero e malsano, che comportò la deportazione di trentamila abitanti verso altri ghetti, era miseramen­te fallito. E del vecchio quartiere, ormai distrutto, rimane soltanto il ricordo ro­mantico e crudo dei romanzi di Goliarda Sapienza.

Quel fallimento era frutto di un sogno presuntuoso imposto dai due sindaci de­mocristiani, La Ferlita e Magrì, un sogno che voleva far diventare Catania “la Mi­lano del sud”.

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Sono passati cinquant’anni di cause ci­vili, contenziosi, montagne di carte di ap­pelli e sentenze, finché è stato dato il via libera alla progettazione dei vuoti urbani di Corso Martiri della Libertà.

Hanno scelto l’aula magna della facol­tà di lettere per presentare il progetto. Parla davanti ai notabili e gli studenti la superstar Cucinella, già allievo del mae­stro Renzo Piano.

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