giovedì, Marzo 20, 2025
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Il porto delle ombre

Genova, politica e affari. Il mondo del  caso Toti

“Genova vive di porto” recita in gradinata Nord uno striscione del Genoa per denunciare la morte sul
lavoro di un portuale genovese. Non può che essere così: una città portuale è costruita e governata in base
al porto.
Le banchine uniscono tanti interessi: armatori, politici, terminalisti, camalli, autorità portuale, mafiosi…
Ognuno ha bisogno dell’altro e sa che l’altro può aver bisogno di lui. Questa regola aurea è sempre
riuscita a creare un equilibrio tra le parti che scendevano a compromessi pur di ottenere ciascuno la
propria fetta di torta.
Eppure esistono dei rari momenti in cui questo equilibrio va in frantumi.
L’equilibrio va in frantumi quando la torta si fa più grande e i terminalisti si fanno la guerra per
accaparrarsela; va in frantumi quando partite di cocaina milionarie che dovevano muoversi liberamente
sulle banchine vengono invece sequestrate dalla Guardia di Finanza; l’equilibro salta per inchieste
giudiziarie che decapitano le istituzioni portuali e politiche rendendo di dominio pubblico la corruzione
tra imprenditori del porto e politici locali.
Si scopre così che Giovanni Toti, presidente della regione Liguria, prendeva tangenti in cambio di
concessioni portuali trentennali con la complicità dell’Autorità Portuale. Nel 2024 patteggiò 2 anni e 3
mesi per corruzione e finanziamento illecito, accusato di aver preso 74mila euro dal terminalista Spinelli
per il rinnovo della sua concessione portuale.


Toti ci terrà a pubblicare un libro intitolato: “Confesso, ho governato”. Nella sua ricostruzione ritiene
naturale che le vicende del porto si governino così. La priorità è una: gli equilibri non devono saltare.
Eppure, i cittadini di una città di porto pensano che questi siano effetti collaterali. I compromessi
sottobanco, le tangenti, il cemento, i morti sul lavoro, i soldi pubblici, l’inquinamento, la mafia… tutti
effetti collaterali inevitabili.
Se il porto cresce la città festeggia. Se il terminalista fa 16 milioni di utili la città è contenta. Se il
presidente di regione viene corrotto dai terminalisti la città giustifica. Se servono nuovi chilometri
quadrati di cemento per i container o miliardi di euro per la nuova diga la città si sacrifica. Ad ogni morto
sul lavoro in porto la città chiude un occhio.
Perse le grandi industrie del triangolo industriale, il porto rimane per Genova l’ultimo baluardo di
grandezza. L’ultima grande azienda.
A Genova andrebbe detto che una città portuale non vive solo di porto, vive anche nonostante il porto, ma
è meglio non dirlo. Genova è una città già vedova dell’industria, almeno non toccateci il porto. Chiedere
trasparenza, sicurezza e sostenibilità sul lavoro o benefici redistribuiti per la collettività metterebbe a
rischio gli equilibri della città o, ancora peggio, la narrazione della Genova Superba a cui ancora vogliamo
credere. Così si resta a guardare mentre imprenditori voraci si impadroniscono della città.
Finanziano la politica, comprano la proprietà dei giornali locali, condizionano l’Autorità Portuale,
ottengono grandi opere… dalla Genova “Signora del mare” alla Genova dei signorotti del porto. E se i
signorotti del porto sono contenti, la città è contenta.

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