giovedì, Aprile 25, 2024
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Il Piano Urbanistico Attuativo

Il PUA (Piano Urbani­stico Attuativo) è il proseguimento del Patto Territoriale Cata­nia Sud promosso dal Comune di Catania che ha l’obiettivo di promuovere lo svilup­po locale eco-sosteni­bile

Il PUA dal 2002, anno in cui è stato predisposto, ad oggi ha subito, su indicazione della Regione Siciliana, vari cambiamenti fino allo scorso aprile quando è stata approvata l’ultima modifica. L’ambito territoriale del PUA comprende una vasta area di circa 5.300 ettari che dal porto si estende fino alla parte sud della città.

Si tratterebbe di cementificare un’enorme zona costiera, sostituendo alle aree verdi e agricole la costruzione di sale cinematografiche, di un campo da golf, di una sala congressi, di un acquario e di altre strutture ricettive: in questo modo rilanciando il turismo, dando lavoro e riqualificando una zona degradata.

Su queste argomentazioni a giustificazione dell’opera vorrei ora soffermarmi.

1. Senza entrare nelle specifiche tecniche (oggetto delle osservazioni ed opposizioni presentate qualche giorno fa dal Comitato No PUA), le analisi di prospettiva economica sono risibili, riferendosi al periodo precedente la crisi e non giustificando in nessun modo i dati di previsione dei flussi turistici.

2. Sul lavoro la retorica è più irritante. Staccandolo dal valore ambientale che viene cancellato dalla cementificazione, ad esso non si può che attribuire una valorizzazione positiva. Quello che ci viene sottratto, attraverso questa mitologia lavorista, e di cui dobbiamo riappropriarci è lo “spazio” urbano, la città come insieme di senso, in cui confluiscono pratiche, culture, elementi naturali, edifici. Essa è una produzione continua dei suoi abitanti e dei suoi luoghi; e se il valore del PUA (o, meglio, del progetto che “Stella Polare” vuole realizzare) è un valore che la città produce nel suo insieme, non può che essere la città, attraverso processi di partecipazione democratica, a decidere sull’opportunità di tale progetto. Ma le pratiche partecipative spaventano il potere, diffondono informazione, trasferiscono le prerogative decisionali dall’alto in basso, dai pochi ai molti: una vera democrazia, una straordinaria catastrofe dell’attuale.

3. In ultimo, nel leggere le relazioni sul PUA salta agli occhi la prepotenza con cui le parole vengono piegate agli interessi economici dei singoli, ad esempio nel modo come il termine “riqualificazione” è fatto aderire ai processi di edificazione e consumo di suolo. Dalle parole bisogna far partire le nostre azioni, dobbiamo riprendercele e farle parlare con la nostra voce.

Ancora una volta ci troviamo di fronte a delle pratiche tipiche del capitalismo e del suo brutale e noioso ripetersi. I protagonisti di questo valzer sono i soggetti privati e la classe politica, i primi votati al profitto, gli altri alla costruzione del consenso attraverso falsificazioni e complicità con i poteri economici. Il bene collettivo, invece, è uno sfondo di legittimazione a cui nessuno vuol dar voce se non, in alcuni casi eclatanti, la magistratura.

Possiamo indignarci chiedendo ai privati un minor egoismo e alla politica di essere uno strumento al servizio del bene comune, ma sarebbe ingiusto. Il sistema che abbiamo contribuito a costruire non può che determinare queste soggettività e non altre. Il caso PUA di Catania quindi non dovrebbe indignarci ma portarci alla creazione di nuove strutture di senso sia nella sfera economica che politica.

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