giovedì, Ottobre 10, 2024
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“Il corpo è mio e decido io”

In piazza per l’aborto sicuro e legale 

di Emanuele Liotta

Il 28 settembre è la Giornata per diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito; non è un caso che le piazze d’Italia si siano mobilitate in questa occasione anche come segno di risposta dopo il risultato elettorale del 25 settembre, che ha visto vincitrice una destra antiabortista. «Va bene che Giorgia Meloni abbia dichiarato più volte di non essere contro l’aborto  e di difendere i diritti, ma qualche giorno prima delle elezioni la triade del centrodestra  – Lega, Forza Italia e proprio Fratelli d’Italia il primo partito in questo momento d’Italia – ha firmato un accordo con l’associazione Pro Vita e Famiglia, la cosiddetta Carta dei Principi, una carta contro la legalizzazione della cannabis, contro l’eutanasia, e soprattutto contro l’aborto» ci dice Lara, attivista di Non Una di Meno che a Catania, insieme al collettivo Spine nel Fianco e al Consultorio Autogestito “Mi cuerpo es mio”, ha organizzato la manifestazione di protesta. Tra le persone radunate all’ingresso di Villa Bellini per l’inizio del corteo interviene subito un’altra attivista: «conosciamo benissimo le tantissime altre dichiarazioni in cui Meloni dichiara che non è vero che in Italia è impossibile o si hanno difficoltà ad accedere all’aborto; e che addirittura, parlando poi anche del dell’obiezione di coscienza, che sia giusto lasciare libertà ai medici e a chi in questo paese in qualche modo voglia dichiararsi obiettore di coscienza». Lara aggiunge: «e allora noi ci chiediamo: si può mettere sullo stesso piatto la libertà di medici e singoli con la libertà invece delle donne e delle persone nel dichiararsi e nel scegliere sui propri corpi? Se un medico decide di essere obiettore di coscienza, vada a fare un altro tipo di mestiere piuttosto che essere ginecologo ostetrico» e continuando ci spiega che «decidiamo quindi oggi di essere piazza proprio per dire che questa lotta non deve fermarsi». Proprio su questa linea le attiviste di Non una di Meno gridano a gran voce al megafono: «Siamo furiose perché la nostra libertà di scelta è messa ancora più sotto attacco dalle destre conservatrici come ci dimostrano gli Stati Uniti, Ungheria, Polonia, Malta e anche in Italia, dove assistiamo a un rilancio della proposizione fascista “Dio, patria e famiglia”, declinata nelle forme più sessiste, razziste, omo-lesbo-bi-transfobiche e abiliste, che impone rigidi ruoli di genere e assegna alle donne il compito della riproduzione e della crescita della nazione bianca, patriarcale e eterosessuale».

Come si struttura in questo momento, a Catania, il percorso che permette alle donne di esprimere liberamente la volontà sul proprio corpo? Quali spazi sono stati effettivamente negati, per cui le attiviste e gli attivisti continuano a protestare?  «Nonostante la 194 sia una legge, la messa in pratica lascia un po’  a desiderare» ci spiega sempre Lara «nel senso che, se noi andiamo a guardare solamente al territorio siciliano, abbiamo in questo momento l’80% di coscienza; solamente due ospedali – cioè uno a Modica e uno a Palermo –  somministrano la RU486; solamente due ospedali a Catania, su 300.000 abitanti che ci sono solo nel centro, praticano l’aborto chirurgico: quindi è chiaro che, se noi da un lato parliamo di fatto di una legge che dovrebbe essere garantita a tutti, dall’altro fattivamente questo non succede e tantissime donne quando decidono di abortire trovano davanti a loro un ostacolo enorme e non riescono ad accedere da sole a tutta una serie di servizi, perché si scontrano con un muro –  non solo effettivamente nella procedura ma anche proprio nel giudizio che si ritrovano a subire, fatto anche di tentativi di scoraggiamento nascosi dietro frasi fastidiose come “ma ne sei certa?”, “ma forse per le tue condizioni economiche”, “ma forse ci devi pensare un attimino”; molto spesso è capitato che siano scadute anche le settimane  e molte donne si sono ritrovate a dover portare avanti gravidanze indesiderate».

Dal corteo le rivendicazioni sono molte. Al megafono aperto si succedono molte attiviste, e il loro obiettivo è comune: «lottare per la libertà di abortire significa per noi poter scegliere sui nostri corpi e sulle nostre vite, e contro tutte le condizioni che ce lo impediscono». A Piazza Stesicoro la manifestazione si chiude su un ultimo intervento, il più pervasivo: «gli attacchi e le restrizioni all’aborto sono attacchi diretti a donne cis, persone  intersex, non binary, transgender, anche migranti e senza reddito. Sappiamo che la violenza è più brutale sui corpi di chi vive in una regione in cui il tasso di obiezione è altissimo e non ha un reddito per spostarsi, sui corpi di chi ha un’identità di genere non conforme e sui corpi di scappa dalla guerra. Vogliamo quello che ci spetta, vogliamo diritti e garanzie, vogliamo molto più della 194. vogliamo gli obiettori fuori dai consultori e ospedali pubblici». Sullo striscione si legge a chiare lettere: siamo furiosə, libere di scegliere, pronte a combattere.

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