mercoledì, Aprile 24, 2024
Cronacaevidenza

“Sangue blu”, le estorsioni: soldi nei giocattoli e pizzini nelle bottiglie

di Gabriele Patti

Dal settore della ristorazione, passando da quello caseario fino ai prodotti veterinari, tra le vittime del pizzo ci sono imprenditori di tutta Catania, dal centro città alle zone periferiche. Il denaro avvolto in un giornale o in buste di plastica. Le denunce però non sono mai arrivate tranne nel caso dello stabilimento balneare

La gestione delle estorsioni da parte della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Un’attività fondamentale per rinvigorire le casse di Cosa Nostra etnea, retribuire le famiglie dei detenuti e alimentare il traffico di sostanze stupefacenti che vengono acquistate, per poi essere rivendute, anche con i proventi dell’attività estorsiva. Ma anche un’attività che, all’interno dei clan, crea non poche difficoltà derivanti dalla gestione e ripartizione delle somme che, spesso, sono causa di conflitti interni, talvolta terminati con risse, uccisioni e regolamenti di conti. Non ultimi i contrasti sorti tra il clan Santapaola e il gruppo dei Cursoti milanesi, ricomposti solo a seguito di una serie di summit mafiosi tra i vertici. Secondo la ricostruzione degli inquirenti nel blitz “Sangue Blu”, che vede indagate 39 persone, la famiglia Santapaola-Ercolano sarebbe da anni avvilita dalle diverse operazioni condotte dalla Procura. E questo avrebbe comportato una riduzione del controllo del territorio, avvalorata dal succedersi in pochi anni di due reggenti della famiglia.

A gestire l’attività estorsiva è stato Francesco Napoli, il reggente dei Santapaola dopo l’arresto di Francesco, figlio di ‘Turi Colluccio’ (Salvatore Santapaola, ndr) e cognato di Angelo Santapaola, quest’ultimo poi assassinato. Per un determinato periodo di tempo – almeno fino al suo arresto avvenuto nel 2016 – Francesco Santapaola avrebbe consentito al clan di ristabilire gli equilibri organizzativi ed economici. Successivamente, a prendere il suo posto, è stato “l’uomo d’onore riservato”, così viene definito Napoli nelle carte dell’inchiesta, meglio noto come Ciccio e adesso in carcere. Se questo è il quadro all’interno di Cosa Nostra etnea, tra le vie cittadine il clima è ancora di paura. E le denunce non arrivano. È quanto si evince dalle dichiarazioni del comandante provinciale dei carabinieri Rino Coppola. “Le dichiarazioni degli imprenditori taglieggiati – ha detto Coppola – sono arrivate successivamente, quando sono stati chiamati dalla polizia giudiziaria per essere sentiti. Per cui, dopo un’iniziale reticenza, hanno ammesso le cose che erano state già documentate dall’attività di indagine”. Che, peraltro, ha dimostrato ancora una volta come la successione ai vertici dell’associazione mafiosa avviene per linea di sangue.

Tutte le attività estorsive

Tra le estorsioni poste in essere dalla cosca, da Catania città ad alcune zone periferiche, si contano quelle effettuate a uno stabilimento balneare di viale Kennedy, a un negozio di abbigliamento e a una ditta di giocattoli, entrambe in via Aldo Moro a Misterbianco, quelle ai danni di un’azienda casearia, a un pub-ristorante di piazza Vittorio Emanuele, meglio nota come piazza Umberto, a un’azienda specializzata nella rivendita di prodotti per animali che si trova alla zona industriale e a un locale della movida catanese, costringendo al pagamento a titolo di protezione il direttore artistico, per una somma annuale pari a tremila euro suddivisa in due rate da 1.500 euro in occasione delle festività natalizie e pasquali. In relazione a quest’ultima, però, la procura non ha ritenuto di richiedere misure cautelari, perché i fatti risalgono a sette anni fa. E poi c’è quella a una ditta di trasporti, alla Zona industriale, in località Pantano d’Arci, soggetta al pagamento della somma mensile di duemila euro.

Il profilo di chi gestiva le estorsioni su incarico di Napoli: Buffardeci, Scavone e Corra

Salvatore Scavone e Cristian Buffardeci avrebbero ricoperto ruoli di rilievo all’interno del clan. Il primo entra a far parte del clan Santapaola nel 2009, affiliandosi al gruppo Nizza e occupandosi, originariamente, del traffico di stupefacenti. Con il tempo aveva scalato i gradini della scala gerarchica mafiosa, divenendo prima responsabile di alcune piazze di spaccio nel quartiere San Cristoforo, poi – tra il 2016 e il 2017 – braccio destro di Rosario Lombardo, responsabile del clan Santapaola e, infine, responsabile del gruppo Nizza, dopo la sua scarcerazione avvenuta ad aprile 2020. Con il tempo e su incarico di Buffardeci, uomo di fiducia del boss Francesco Napoli, si occupa anche di estorsioni. A lui sarebbe stato affidato l’incarico di “tenere la bacinella”, ovvero di raccogliere il denaro per l’acquisto degli stupefacenti e per il pagamento degli stipendi alle famiglie dei detenuti. Come Scavone – adesso collaboratore di giustizia insieme a Silvio Corra – anche Buffardeci rientrava tra le grazie del clan e sarebbe stato a un passo dal raggiungere i vertici di Cosa Nostra. Lo racconta lui stesso in una conversazione captata dalle microspie. ” ‘Mpare, nella scala che si è composta devo dire che l’ultimo ‘pisolo’ mi resta – si legge nei brogliacci delle intercettazioni -, poi basta, non ho più ‘pisoli'”. Un modo per dire che gli mancava solo l’ultimo gradino per diventare un boss. Se a Buffardeci era affidato il compito di sorvegliare e gestire i rapporti tra gruppi, ad affiancare Scavone nella gestione dell’attività estorsiva e, in alcuni casi, a riscuotere il denaro sarebbe stato Silvio Corra. Anche lui, come Scavone, adesso collaboratore di giustizia.

L’estorsione allo stabilimento balneare: l’unico che ha denunciato

“Duecentomila euro o ti cerchi l’amico, due giorni di tempo”. La scritta è stata impressa su un foglio di carta incollato su una bottiglia contenente benzina posizionata all’ingresso del lido. È solo una delle richieste estorsive che gli affiliati del clan Santapaola-Ercolano mettevano in atto per attingere risorse e incrementare i guadagni di Cosa nostra etnea. “Duecentomila euro” sarebbe anche il messaggio in codice con cui identificare il clan Santapaola. Così anche se i destinatari delle estorsioni si fossero recati da altri mafiosi per pagare il pizzo, questi avrebbero saputo che la riscossione non era di loro competenza ma dei Santapaola. A commettere materialmente la condotta intimidatoria, come si evince dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dai filmati acquisiti dalla procura dopo la denuncia del titolare, sono stati Enzo Pino e Gabriel Muscarà, entrambi messi a disposizione da Salvatore Scavone che, per il clan, si occupava soprattutto della gestione del traffico di stupefacenti.

La richiesta a un negozio di abbigliamento, la carta delle estorsioni e la discussione a casa di Natalino Nizza

Tra incontri al chiosco bar vicino all’ospedale Garibaldi e all’interno dei locali del negozio di abbigliamento di Misterbianco, in via Aldo Moro, avrebbero pagato circa 1.050 euro al mese per la protezione del clan, sotto costrizione esercitata da Orazio Magrì, Francesco Pinto e Michele Schillaci. Poi qualcosa è cambiato: alcuni arresti hanno costretto a cambiare i referenti. A ottobre del 2021, proprio mentre veniva riscossa la somma di denaro che uno dei due fratelli titolari pagava a rate, 250 euro alla volta, è avvenuto l’arresto in flagranza di Saverio Missale. L’estorsione, come solitamente accade, ha creato qualche incomprensione tra gruppi. A raccontarlo agli investigartori è Silvio Corra, uno degli ex responsabili del gruppo. “Quando ho avuto la carta delle estorsioni (il polso della situazione e il potere di gestirle, ndr) – sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia – ho capito che di questa estorsione si era appropriato Lombardo con il consenso e su indicazione di Schillaci”. Circostanza che avrebbe fatto venir meno i soldi da distribuire alle famiglie dei detenuti: ovvero “gli stipendi”. Così Corra lo avrebbe intimato di consegnare i soldi a lui, perché adesso Lombardo avrebbe dovuto starne fuori e la resposnabilità era proprio di Corra. Trovando, peraltro, il consenso di Natalino Nizza – uomo ai vertici del clan Nizza – in una discussione che è avvenuta a casa di quest’ultimo.

L’estorsione al distributore catanese dei prodotti di una nota industria casearia: il ruolo di Domenico Colombo

Domenico Colombo, appassionato di politica, si sarebbe occupato anche di estorsioni. Tra queste si registra quella ai danni del distributore catanese dei prodotti dell’industria casearia (non coinvolta nelle indagini, ndr). Nel corso di una conversazione captata dagli inquirenti, Colombo sostiene che l’imprenditore “sarebbe stato disponibile a sborsare mille euro al mese, nonché il 25 per cento dei ricavi – si legge nell’ordinanza – che avrebbe realizzato se alla cosca fosse stata garantita la gestione della distribuzione”. Il riferimento era alla gestione del sistema distributivo dei prodotti in ambito locale. “Gli arrivano sempre soldi e mangiamo tutti quanti no ‘mpare, poi se li prendiamo noialtri è normale che sono della famiglia – diceva Colombo a Luigi Ferrini – Li diamo solo a Francesco Santapaola e a tuo padre e basta”.

Il pagamento del pizzo di una ditta di giocattoli: duemila euro l’anno avvolti in un giornale o all’interno di una scatola

Una storia che risale ai primi anni ’90, quando uno del clan si presenta alle porte dell’azienda di Misterbianco chiedendo al titolare di sistemarsi pagando una quota annuale. Trent’anni di pizzo dove, a seguito del passaggio a un’altra moneta, due milioni di lire sono diventati due milioni di euro. Nelle dichiarazioni che il titolare dell’azienda ha fornito agli inquirenti si evincono dinamica e contenuto di quello che, in alcuni casi, è un vero e proprio accordo estorsivo. “Già ai tempi feci presente che avevo già molte spese così mi offrirono di pagare due milioni di lire dopo le festività di tutti i santi e tutti i morti – sono le informazioni assunte dagli inquirenti – Avevo scelto quella data perché sino a quel periodo c’era parecchia vendita e volevo evitare che qualche delinquente fosse notato dai clienti”. In merito alla modalità di consegna delle somme concordate il titolare racconta che “avveniva nella data che stabilivo io, sempre i primi di novembre, fuori dei locali per evitare che il malavitoso venisse a contatto con i miei clienti o con il personale – continua – Io uscivo fuori e gli consegnavo prima due milioni di lire e poi duemila euro in una scatola vuota o con un giocattolo o in mezzo a carta di giornale”. Uno schema che poi non si è ripetuto, soprattutto in occasione dell’ultimo evento estorsivo, quando “Michele mi ha chiesto di raggiungerlo davanti al Garibaldi nuovo”.

L’estorsione a un’azienda di prodotti veterinari: settemila euro in un’unica soluzione per compensare gli anni non pagati

L’attività estorsiva sarebbe stata compiuta da Carmelo Cristian Fallica e perpetrata sin da quando era in vita Angelo Santapaola. E che si risolveva in due rate da 1.750 euro ciascuna a Natale e a Pasqua. Per un’estorsione iniziata nel 2005, e successivamente ridotta a 780 euro a rata. In questo caso, la successione dei riscossori dovuta al susseguirsi degli arresti, non sarebbe piaciuta al titolare dell’azienda. Che per un determinato periodo non avrebbe pagato il pizzo riservandosi di pagarlo solo quando sarebbe uscito dal carcere Silvio Corra. “Il signore fu poi felice di rivedermi – racconta Corra – e in quell’occasione mi diede settemila euro per tutte le somme non pagate”.

 

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