domenica, Ottobre 13, 2024
-rete-Cronacaevidenza

Cammina e sorridi

Per ricordare Biagio Conte

di Fabio D’Urso

“Non doveva succedere questo dolore”. Queste parole come un eco nella voce di tante e tanti.

Ma a Palermo è morto Biagio Conte che in questi tre decenni ha messo insieme e fatto vivere migliaia e migliaia di poveri, italiani e stranieri, e si è fatto portatore insieme alla sua città di una solidarietà fatta di presenza e cooperazione: annunciando e vivendo l’Evangelo, provocando scelte, creando comunità, mettendosi a servizio camminando, soccorrendo, prendendo freddo, restando tante volte schiacciato dalla stanchezza. E ritornando poi a camminare mano nella mano con altri esseri umani, donne e uomini, di ogni cultura, religione, a evocare pace e speranza, pace e giustizia contro l’indifferenza in Italia verso i poveri che continuano a crescere.

La sua è una storia semplice. Biagio è figlio di un imprenditore palermitano. Vuol fare l’artista e scappa via da Palermo per vivere a Firenze. Poi un grande disagio verso le città del nostro paese. Constatare dove in ogni luogo i poveri restano soli. Constatare come il modo in cui viviamo distrugge la vita delle persone più deboli. Vorrebbe andare a fare il missionario in Africa. Invece ritorna in Sicilia e va a vivere come eremita. Poi dopo un viaggio lungo un anno ritorna a Palermo. Prende un sacco a pelo, un Vangelo, un termus e va a vivere insieme ad altre e altri poveri alla stazione. Perché non si vive neanche per sé stessi e neanche solo per Dio.

Dagli anni novanta ad oggi, fame dopo fame, mani unite ad altre mani, fonda una “Missione di speranza e carità”, come la chiama lui.

Biagio, come Francesco d’Assisi, vuol essere figlio della sua Chiesa. E’ un cristiano cattolico ma vive mangia ride e dorme senza escludere nessuno. Insomma più che altro un amico di Gesù e di Francesco. Povero ma sempre sorridente.

Biagio “non ha una teologia”, dice lui di sé.

Lui semplicemente dichiara una guerra: la guerra alla povertà. Perché vuol semplicemente cambiare la città dove vive. E Palermo ama Biagio, lo ama la gente, lo sopportano i politici; la Chiesa ne subisce il suo fascino, i suoi occhi verdi che ti parlano.

 “Ti porto a vedere la missione, questo è il laghetto, quella è la Chiesa, questo è padre Pino, lui già lo conosci: è Riccardo che con sua moglie ha lasciato tutto per fare la vita dei poveri. Mi piacciono i cani, portali con te mentre camminiamo. Dove vai mettiti a girare in lungo e in largo e parla felice alla gente”.

A cinque anni dal giorno in cui l’ho conosciuto e a dire la verità dimenticato mi chiedo cosa si può scrivere sulla sua vita, oggi?

Biagio ha vissuto con un’idea: non possiamo rassegnarci a un paese che muore per l’ingiustizia, le mafie – amava don Puglisi come Francesco – non rassegnarsi alla paura per le donne e gli uomini che hanno una pelle puzzolente e un odore nero.

Biagio non aveva nessun nemico perché lottava in continuazione contro sé stesso, nell’espropriarsi di tutto.

L’ultimo anno l’ha vissuto tra una grotta dei monti palermitani e l’ospedale per tentare di curare il cancro al colon. Nonostante avesse fondato cinque comunità, come cinque grandi kibbutz, a Palermo dove la gente vive e lavora incessantemente insieme. Va e torna ed era sempre più povero e più sorridente.

Non c’era tempo per gli incontri importanti, aveva sempre tempo per andare a parlare, chiedere aiuto. Chi poteva essere rimandato via, chi non poteva pagare le bollette, chi non aveva un materasso, chi era ancora solo.

Che si può dire su un uomo che ha avuto gli occhi per portarsi dietro tutta la lotta della sua città, dei preti antimafia, dei frati rinnovati, dei gruppi che si occupano dello Zen o dell’Albergheria?

Che possiamo dire sulla vita? Che è come un punto di non ritorno, da cui oggi nasce un futuro. Adesso questo futuro lo costruiranno i figli delle famiglie che hanno camminato insieme a lui, i gruppi cittadini che da lui sono stati provocati a fare ciò che sia giusto, le persone che credono che Dio si trova dove non c’è diffidenza e quelle che credono semplicemente nell’amore concreto. Che lo scopriremo come una risorsa quando avremo finito di annegare su strade che non portano che alle nostre case. Che la storia umana è fatta in questo modo. Da donne e uomini che la vivono intensamente e muoiono felicemente pensando ad un paese felice.

“Parlando di Biagio che è vivo”. Così in giorni così difficili, dove le difficoltà ci sembra, aiutano a dividerci, la vita ricomincia a riprendere e possiamo pensarci a resistere contro ogni normalità del male.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *