mercoledì, Luglio 30, 2025

mafia

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Era tornato

Che scocciatura per don Raffaele. Il suo telefono aveva ripreso a squillare incessantemente, i postulanti avevano ricominciato a mettersi in fila, gli uomini di potere si avvicendavano nuovamente al suo cospetto per chiedere consigli e illuminanti strategie, la gente era tornata a stringergli la mano in strada. E adesso di nuovo lo stigma del processo in corso, della condanna per mafia.

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Operazione Beta 2

Dalle speculazioni edilizie ai centri commerciali nell’ultra saccheggiato territorio peloritano; dall’Expo di Milano alle alchimie finanziarie nei paradisi fiscali; dalla compravendita di petrolio in America latina e Turchia alle monocolture intensive e alla deforestazione selvaggia in Africa. Sono di dimensione locale e globale – glocal – gli affari di certa imprenditoria d’assalto della provincia di Messina, contigua o funzionale alle più invasive organizzazioni criminali e mafiose.

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Davanti al giudice il re è nudo

Il processo a Mario Ciancio non sarà l’analisi giurisprudenziale su quanto sia lecito il lobbismo in terra di mafia, non sarà nemmeno la disamina di quanto il padrone de La Sicilia fosse consapevole di stare favorendo dei clan mafiosi. Sarà un processo ai meccanismi di potere che dominano Catania da sessant’anni. Avvocati e magistrati diranno di fermarsi alle prove, ai capi d’imputazione, alla verità processuale. Ma tremeranno lo stesso le stanze di Confindustria, i saloni di palazzo degli Elefanti, le redazioni dei giornali di famiglia, gli studi in radica dei padroni della città: davanti al giudice, il re è nudo.

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Ciancio, Marchionne e le elezioni

Non sembra che la mafia – il potere mafioso, nel senso in cui lo intendeva Giuseppe Fava – sia stata molto ricordata in questa campagna elettorale. Non lo sono stati nemmeno Fiat, Bialetti, Omsa, Benetton, Ducati, Dainese, Geox, Rossignol, Calzedonia, Stefanel, Telecom – alcune delle centinaia di industrie italiane “delocalizzate”, tolte cioè ai lavoratori che le avevano costruite con decenni di sacrifici e spedite all’estero alla faccia di tutti.

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Quei beni confiscati che nessuno toglie alla mafia

A Catania le Istituzioni non riescono a gestire il patrimonio confiscato alla mafia, che rimane spesso nella disponibilità dei mafiosi. Ci sono gli appartamenti al pian terreno confiscati, assegnati al Comune, e utilizzati dalle sentinelle dello spaccio, c’è un bar confiscato irrevocabilmente nel 2016, affidato al Comune di Catania e ancora in mano a chi lo gestiva prima del sequestro.

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I padroni della città

Mario Ciancio in prima fila, Ennio Virlinzi che si frega le mani, Aldo Palmeri pronto a incassare commissioni milionarie, Bosco e Costanzo padroni del 40 per cento delle aree festeggiano il valore assunto grazie ai titoli edilizi firmati dalla direzione urbanistica del Comune. Salvo Pogliese e la destra intascano il risultato di aver visto approvato il loro progetto originario. Enzo Bianco sorride alle telecamere e spera di guadagnare qualche punto. Per l’ennesima volta un’area libera di Catania diventa edificabile, per l’ennesima volta i proprietari dell’area sono gli stessi di sempre.

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I voti dei mafiosi

I dati delle votazioni si susseguono uno sull’altro, mancano pochi seggi ancora da contare e spunta più volte il volto sereno di Musumeci. L’ex presidente della Commissione antimafia in Sicilia non diventa mai triste, nemmeno se gli mettono l’amico del figlio di un capoclan nella coalizione.

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