mercoledì, Aprile 24, 2024
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Vittoria: qualcuno ‘sciolga’ i commissari

La triade prefettizia insediata dopo l’azzeramento, per infiltrazioni mafiose, degli organi elettivi è in carica da venticinque mesi e, in attesa del voto, raggiungerà i ventotto. Ma la legge è chiara: il tempo massimo del mandato, in casi eccezionali, è di ventiquattro mesi. A capo c’è Filippo Dispenza (l’ex poliziotto cresciuto sotto l’ala protettiva di Montante) che punta ad un’altra poltrona: sindaco di Torino con ‘Fratelli d’Italia’.

E sono venticinque. Parliamo dei mesi trascorsi dalla commissione straordinaria a capo del Comune di Vittoria, sciolto per mafia. Nel silenzio, distratto o acquiescente, delle istituzioni: dalla presidenza della Repubblica che il 2 agosto 2018 ha firmato il decreto di scioglimento degli organi comunali elettivi, al Consiglio dei Ministri che lo ha prima deliberato, al Ministro dell’Interno che lo ha, ancora prima, proposto.

Eppure, dalla mezzanotte del primo agosto scorso, Filippo Dispenza, poliziotto in pensione che presiede la commissione, e i suoi due comprimari, un vice prefetto e un dirigente di prefettura, sono abusivi. Curano gli affari del Comune di Vittoria, una città di sessantaquattro mila abitanti, senza alcuna legittimazione, né titolo. Pertanto potrebbero essere nulli tutti gli atti da loro compiuti.

Non inganni il plurale: a decidere ogni cosa e a muovere le leve di ogni affare è Dispenza, l’ex poliziotto di Agrigento trapiantato in Piemonte, amico di Antonio Calogero Montante e cresciuto – fino al titolo di prefetto conseguito a fine carriera – sotto l’ala protettiva dell’industriale accusato di associazione mafiosa e nel cuore di un boss mafioso. Dopo quasi due anni di detenzione in attesa di giudizio, Montante da febbraio scorso, per una casualità della sua esperienza giudiziaria, si trova stabilmente ad Asti, dove ha l’obbligo di soggiorno.

L’affermazione che la triade non abbia più titolo per rimanere in carica, in questo momento può sembrare un’opinione, come ogni altra. E ciò è inevitabile fino a quando – nell’inerzia omissiva, del Viminale, di palazzo Chigi e del Quirinale – un organismo giurisdizionale sarà chiamato a pronunciarsi.

Ma sondiamola ed esploriamola questa ‘opinione’.

L’istituto dello scioglimento ‘per mafia’ di un Comune, come di altri enti, è regolato dall’art. 143 e seguenti del Tuel, il Testo unico Enti locali, il cui comma 10 recita:” Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti …. Le elezioni degli organi sciolti ai sensi del presente articolo si svolgono in occasione del turno annuale ordinario … Nel caso in cui la scadenza della durata dello scioglimento cada nel secondo semestre dell’anno, le elezioni si svolgono in un turno straordinario da tenersi in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 dicembre.”

Queste ultime parole, chiare, svelano il pasticcio in cui era incorsa la Regione Sicilia che avrebbe potuto indire le elezioni nella prima data utile, il 18 ottobre, e invece le ha ritardate di cinque settimane, il 22 novembre, per non essersi accorta in tempo che non poteva andare bene la data del 4 ottobre, fissata per gli altri sessanta comuni dell’isola chiamati al normale appuntamento elettorale di primavera del 24 maggio scorso rinviato per il Covid.

Tornando al nostro quesito, la prima parte della norma non consente dubbi. Dal 2 agosto scorso la commissione straordinaria formata da Filippo Dispenza, Giovanna Termini e Gaetano D’Erba, non ha alcun titolo per rimanere in carica.

Ventiquattro mesi sono il tempo massimo, peraltro <<in casi eccezionali>> rispetto alla durata normale – compresa tra il ‘minimo’ di dodici e il  ‘massimo’ di diciotto mesi – della durata degli effetti dello scioglimento. E uno degli effetti è la nomina dell’organo di amministrazione straordinaria.

Premesso che non si comprende – e non è mai stato spiegato né motivato – perché Vittoria sia un ‘caso eccezionale’ tale da avere richiesto la proroga della commissione-Dispenza fino a ventiquattro mesi, visto peraltro che tutti i suoi atti si presentano in sostanziale continuità con quelli dell’amministrazione sciolta per mafia, lo sforamento dei due anni è totalmente fuori legge.

Infatti non è mai accaduto ciò che, da un mese ormai, la città di Vittoria è costretta a subìre: un’amministrazione abusiva sconfinata ben oltre il tempo massimo, ed anche quello – ulteriormente massimo – consentito dalla legge in casi eccezionali.

Non è mai accaduto in nessun comune o altro ente sciolto per mafia: e sono trecentoquarantacinque (in undici regioni, ma oltre il 90% è localizzato in Calabria, Campania e Sicilia) i casi di scioglimento in Italia in quasi trent’anni di vita di questo istituto che, peraltro, è unico al mondo.

Non esiste un solo caso negli altri trecentoquarantaquattro in cui una commissione sia rimasta in carica oltre i ventiquattro mesi, che sono il tempo massimo consentito dalla legge, una legge peraltro tanto eccezionale da non essere mai stata varata da nessun parlamento al mondo, al di fuori di quello italiano.

Vero è che trascorso il periodo previsto (da dodici a diciotto mesi, prorogabili eccezionalmente a ventiquattro) l’ente ha bisogno di essere amministrato, almeno per gli affari correnti, fino alle elezioni e all’insediamento dei nuovi organi. Ma nessuna norma, stante la lettera del decimo comma dell’art. 143 del Tuel, autorizza la proroga degli effetti oltre il tempo massimo (nomina della commissione compresa, con mandato rigorosamente a termine). Infatti in tutti i casi in cui la commissione abbia amministrato un ente fino all’insediamento, nel caso di un Comune, del sindaco eletto, ciò è avvenuto sempre entro la durata massima dei ventiquattro mesi.

Perfino se prendiamo in considerazione uno dei casi più eclatanti della degenerazione dell’istituto dello scioglimento, come Scicli, troviamo una commissione rimasta in carica un periodo decisamente inferiore.

Il comune ibleo del Val di Noto – come attestato da sentenze definitive – fu sciolto ‘per mafia’ non perché fosse condizionato dalla mafia ma, al contrario, per il suo contrario: l’amministrazione democraticamente eletta si opponeva agli interessi mafiosi e ciò non era gradito a chi, potendo manovrare le istituzioni, piegò invece il Comune, attraverso gli atti dei commissari prefettizi, a quegli interessi mafiosi che, con il sindaco e il consiglio comunale, non erano riusciti ad infiltrarsi e invece durante la gestione straordinaria ebbero buon gioco.

A Scicli la commissione rimase in carica diciotto mesi e mezzo: questo il periodo trascorso tra la propria nomina e l’insediamento del sindaco successivamente eletto.

A Vittoria invece, se questa illegalità sarà tollerata fino alla fine, i mesi di carica di ‘Dispenza&gregari’ saranno ventotto e, in caso di ballottaggio, ventotto e mezzo circa.

La domanda sorge spontanea: perché accade – anzi, perché può accadere – tutto ciò, nel silenzio del Parlamento, del Governo, del Ministero dell’Interno e della Presidenza della Repubblica?

Da una parte una norma di legge: netta, chiara, univoca. Dall’altra, a sostegno di questa ‘sopravvivenza’ illegittima e innaturale, nulla. Nessun’altra norma di legge, e neanche uno straccio di provvedimento di qualsivoglia tipo. E’ surreale che Dispenza e i suoi due seguaci oggi reggano le sorti di una città per mero atto – non scritto – di ‘auto-proroga’ di poteri che nessuna autorità legittimata potrebbe loro continuare a riconoscere.

Infatti nel vuoto di decisione – e di comunicazione – istituzionale, sono circolate le voci più fantasiose. Qualcuno ha riconosciuto che all’ultimo giorno del ventiquattresimo mese i poteri ‘dispensati’ al poliziotto-prefetto siano inevitabilmente svaniti ma ha messo in campo la teoria che essi sarebbero stati prorogati dalla Regione Sicilia, che – una volta esauriti gli effetti dello scioglimento – è l’unico soggetto competente in materia di Enti locali, infatti preposto alla gestione straordinaria nei casi di ‘vacatio’ per esempio per dimissioni o decadenza di sindaci e consigli comunali.

Ma, a parte la singolarità di un provvedimento di questo tipo avvolto nel mistero (quale organo l’avrebbe adottato, in silenzio e di nascosto, visto che non v’è traccia?) esso, se mai ci fosse stato (e avrebbe dovuto esserci, stante la ghigliottina calata alla mezzanotte del primo agosto, sui poteri della commissione nominata e insediata in seguito allo scioglimento) non avrebbe mai potuto consistere nella nomina di una triade, ma di un singolo commissario, eventualmente, in casi di particolare complessità dell’impegno, affiancato da un sub commissario nell’esercizio dei poteri propri del consiglio comunale rispetto a quelli di sindaco e giunta. Ma, in ogni caso, almeno uno dei tre arroccati nel municipio di Vittoria non ha i requisiti per essere designato. Questa teoria pertanto, oltre che falsa perché basata su fatti inesistenti, è anche inverosimile e non avrebbe mai potuto avverarsi.

Quindi …brancoliamo nel buio, per usare un’espressione cara a vecchi poliziotti di carriera, come, per esempio, Filippo Dispenza.

Rimane comunque il dato dell’inerzia istituzionale che dal 2 agosto scorso riguarda anche la Regione Sicilia cui compete la gestione della ‘vacatio’ fino all’insediamento del sindaco che sarà eletto all’esito delle elezioni dalla stessa fissate il 22 e 23 novembre, con eventuale ballottaggio il 6 e 7 dicembre prossimi.

Quindi da un mese siamo – e almeno per altri tre, in mancanza di fatti nuovi, saremo – dinanzi al mistero di una città soggiogata ad un potere abusivo e illegittimo. Se questo è, palesemente, il dato storico-formale, comunque incontestabile e pertanto gravissimo anche nell’ipotesi di neutralità dell’azione amministrativa, risulta impossibile sottrarsi ad un altro percorso di ricerca: cosa c’è dietro? E quindi: cosa ha fatto finora e, cosa, soprattutto dal 2 agosto scorso, sta facendo la commissione? Che poi equivale a chiedersi, semplicemente, cosa ha fatto, cosa fa, cosa farà, quali obiettivi persegua e quali interessi coltivi Dispenza, dominus incontrastato e incontrastabile della triade, come ha chiarito l’estromissione del vice prefetto Giancarlo Dionisi costretto a dimettersi, sostituito da Giovanna Termini, allineata, come Gaetano D’Erba, a tutti i voleri del poliziotto che ama farsi chiamare ‘prefetto’.

Di Dispenza è nota la carriera dorata sotto l’ala protettrice di ‘Antonello’ Montante, il finto eroe antimafia che disponendo a piacimento di ministri e di altri super-potenti, ha prodotto (‘ostetrico’ instancabile Angelino Alfano) una ricca nidiata di prefetti, molti dei quali piazzati poi nei luoghi strategici a presidio dei suoi affari illeciti e spesso criminali. Affari che talvolta hanno richiesto ‘scioglimenti per mafia’ decretati a tutela degli interessi della ‘vera mafia’ e contro la ‘vera antimafia’ di sindaci e pubblici amministratori onesti come a Siculiana, Racalmuto e Scicli, solo per citare i casi già oggetto di sicuro accertamento.

Di Dispenza sono noti i favori chiesti a Montante e da lui generosamente elargiti e, da venticinque mesi, lo sono gli atti dell’amministrazione del Comune di Vittoria: sua prima esperienza di questo tipo. E magari non l’ultima, almeno nelle ambizioni, visto che impugnare il comando di una città pare non gli dispiaccia affatto. Al punto che, a parte ogni nuova possibilità futura in enti ‘sciolti per mafia’, Dispenza non disdegnerebbe di puntare, da politico che debba sottoporsi al voto popolare, a fare il sindaco.

Da tempo l’amico e sodale di Montante ha messo gli occhi sul Comune di Torino dove si voterà a giugno prossimo. Il suo campo politico è la destra e la sua aspirazione è quella di essere il candidato unitario della coalizione Lega-Fratelli d’Italia-Forza Italia. Sotto la ‘Mole’ spetta a Salvini, per forza elettorale rispetto ai due alleati, scegliere lo sfidante di Chiara Appendino. Ma nel vuoto di proposte convincenti, ‘Fratelli d’Italia’ ha piazzato le sue fish sul tavolo, facendo due nomi. Il primo è proprio quello di Dispenza che durante la carriera in polizia è stato, dal ’78 al ’94, funzionario della Questura di Torino e qui ha mantenuto radici. Nel partito della Meloni deve battere la concorrenza del manager assicurativo Gregorio Acutis e, per riuscirvi, confida nell’amicizia di lunga data di Fabrizio Comba, coordinatore regionale in Piemonte di ‘Fratelli d’Italia’.

Difficile prevedere se Dispenza raggiungerà l’obiettivo anche perché se le sue ambizioni devono passare per il sostegno di Comba, le cronache segnalano che questi, nominato a novembre 2018 a capo del partito in Piemonte, fu l’artefice ed il garante della nomina ad assessore regionale, appunto in quota ‘Fratelli d’Italia’, di Roberto Rosso, arrestato pochi mesi dopo per voto di scambio politico mafioso.

Oggi è uno degli undici imputati nel processo nato dall’inchiesta ‘Fenice’, i cui atti documentano che Rosso fu eletto con i voti della ‘ndrangheta. Intercettazioni che non lasciano dubbi dimostrano l’acquisto di un pacchetto di voti e le trattative sulla cifra da pagare: ottomila euro al clan ‘Bonavota’ di Vibo Valenzia dei boss Onofrio Garcea e Francesco Viterbo. In quelle elezioni che, a maggio dello scorso anno, videro la netta affermazione alla carica di presidente del forzista Alberto Cirio sull’uscente Sergio Chiamparino del Pd, proprio Rosso, candidato al consiglio, fu il più votato in ‘Fratelli d’Italia’, con quattromilaottocento preferenze circa. Egli se ne attendeva di più dalle cosche mafiose calabresi, tant’è che, al momento di pagare, chiese uno sconto ma, dinanzi all’irritazione del boss, cedette e sganciò l’intera cifra pattuita.

A portare in ‘Fratelli d’Italia’ Rosso, poi eletto con i voti della ‘ndrangheta, era stato proprio Comba, che le cronache piemontesi descrivono suo amico fraterno e testimone di nozze. Ed era stato sempre Comba a volerlo in giunta, con il pieno sostegno di Giorgia Meloni, contro le diffidenze di Cirio il quale, come egli stesso ha raccontato, voleva gente nuova, ma Meloni e Comba glielo imposero ed egli cercò di limitare i danni affidandogli deleghe secondarie: una di queste era agli ‘Affari legali’ che il cinque volte parlamentare e due volte sottosegretario nei governi Berlusconi ha onorato nel modo che sappiamo. Arrestato il 20 dicembre scorso, in carcere per quasi sette mesi, poi ai domiciliari da luglio e attualmente sotto processo a Torino con altri dieci imputati.

Che l’esponente di ‘Fratelli d’Italia’ tanto caro allo sponsor di Dispenza si occupasse di ‘affari’ non ci sono dubbi: quanto essi fossero ‘legali’, grazie all’inchiesta Fenice, ora è chiaro a tutti. Rosso firmò dal carcere la sua lettera di dimissioni, mentre Cirio aveva già pronta quella di revoca. Comba è sempre a capo dei ‘Fratelli d’Italia’ in Piemonte. E a Torino ci sarà da scegliere il candidato che sfiderà Chiara Appendino, dovendo misurarsi anche con l’assalto da sinistra alla città della Mole. E in queste manovre Comba e ‘Fratelli d’Italia’ stanno cercando di sfilare alla Lega di Salvini il candidato, puntando sull’ex poliziotto.

Ma ciò riguarda il futuro di Dispenza e della città di Torino e ci sarà tempo per occuparcene. Intanto urge la gravissima situazione di Vittoria, città molto più piccola ma, per varie ragioni, non meno importante.

Per capire quanto grave – ulteriormente oltre al dato in sé, già abnorme e aberrante – possa essere la permanenza in carica, senza alcuna fonte legittimante, dell’amministrazione straordinaria a Vittoria, occorre dare un’occhiata al tipo di ‘lavoro’ che ha fatto e – che, senza titolo, da un mese – imperterrita, continua a fare la commissione.

In questo ‘lavoro’ non riusciamo ad intravedere neanche l’ombra di atti, scelte, iniziative percepiti dalla città nel proprio interesse e, magari, dettati dall’urgenza.

Si scorgono solo trame ordite – e segnate da una serie impressionante di anomalie e violazioni di legge – per costruire un nuovo assetto di potere burocratico, blindato per il futuro, nel Comune di Vittoria e per gestire, anche fuori tempo massimo, un appalto da cinquanta milioni di euro che passerebbe sopra la testa delle due prossime amministrazioni che saranno democraticamente elette.

Nel primo caso ci sono dossier scottanti di concorsi banditi ed espletati per la nomina di dirigenti del Comune, nei quali fanno capolino inquietanti coincidenze, norme di legge ignorate e calpestate, procedure bizzarre, membri delle commissioni giudicatrici privi di competenza e dei requisiti di legge, singolari intrecci di relazione ed interessi estranei a quelli, pubblici e generali, dell’ente.

Nel secondo caso parliamo dell’appalto di igiene ambientale, ovvero quello che le cronache giudiziarie dell’inchiesta Montante segnalano come il ‘core business’ del sistema criminale dell’impostore di Serradifalco.

Su entrambi i fronti i passi compiuti dalla commissione straordinaria raccontano di funzionari e dirigenti comunali estromessi, puniti illecitamente e fatti fuori se non allineati al disegno di Dispenza; oppure premiati, sostenuti, favoriti anche in palese violazione di legge se disponibili e, magari, fervidamente, partecipi.

Concorsi e appalti: dossier scottanti da analizzare con attenzione.

E tante storie da raccontare.

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