mercoledì, Aprile 24, 2024
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Un’aspirina contro la polmonite

Decreto anticorruzio­ne? Buone intenzioni, ma risultati aleatori. Ecco perché

Una legge si giudica dalla sua effica­cia una volta che è entrata in vigore, ma non è difficile prevedere fin d’ora che il ddl anticorruzione del governo Monti, approvato dal Senato con il voto di fiducia e che attende la Came­ra, avrà la forza di un’aspirina contro la polmonite.

C’è un Paese che sta affogando nella corruzione, uno dei più corrotti del mon­do (nel 2001 eravamo al 29° posto su 91 Paesi esaminati nella classifica interna­zionale per grado di corruzione, nel 2010 siamo scesi addirittura al 67°), un Paese dove – come ha ricordato anche il Fi­nancial Times – la corruzione drena 60 milioni all’anno dalle casse della pubbli­ca amministrazione (pari al Pil della Croazia, la 67esima economia mondiale), eppure il nostro governo “tecnico” vara una legge che ancora una volta va incontro ai problemi dell’ex presidente del consiglio Berlusconi, accorciandogli i tempi di prescrizione nel processo Ruby, e interviene soltanto sui punti più marginali del fenomeno.

È vero, la guardasigilli Paola Severino ha annunciato che per gli aspetti più im­portanti (ripristino del falso in bilancio, incandidabilità dei condannati in primo grado per reati gravi, autoriciclaggio, voto di scambio…) si provvederà più avanti.

Ma questa non è altro che una promes­sa: i tempi di durata della legislatura sono tali che la responsabilità di condur­re in porto le norme anticorruzione più incisive starà al prossimo esecutivo, che sarà di natura politica, quindi poco inte­ressato alla questione, come tutti i gover­ni precedenti.

Qualcuno l’ha definito un primo passo, mai operato prima. Altri, viceversa, han­no sottolineato il paradosso di una legge contro la corruzione votata da un Parla­mento nel quale siedono numerosi cor­rotti o aspiranti tali: il Senato ha appro­vato la proposta non grazie a una volontà di lotta alla corruzione, ma semplicemen­te per rifare un po’ il trucco alla politica di fronte all’elettorato dopo i casi Fiorito e Regione Lombardia.

Non è un segreto che per costringere il Pdl a rimuovere le barricate il provvedi­mento ha dovuto tenere conto dei diktat di questo partito: il governo Monti, il “governo degli onesti”, avrebbe potuto e dovuto osare di più: il momento, a ridos­so della campagna elettorale, non poteva essere più favorevole.

Il problema è che, nel tourbillon susci­tato dagli annunci di chi si candiderà e chi non si candiderà, non si vede una possibilità reale di cambiamento del ceto dirigente, come dimostra peraltro la cena del “rottamatore” Renzi con la crema dell’alta finanza, organizzata peraltro da un business man la cui holding ha sede alle isole Cayman. Come ha scritto il so­ciologo Tonino Perna su il Manifesto, “la crisi verticale dei partiti, delle ideologie, porta a selezionare nel modo peggiore la classe politica” e “i partiti sono ormai di­ventati delle strutture autoreferenziali di potere, di lobby e di affari”. Se si voglio­no cambiare le cose è necessario un con­trollo popolare e diretto sulla pubblica amministrazione. Il disegno di legge del governo Monti istituisce la figura del “commissario anticorruzione”, che potrà avvalersi nel suo operato delle forze del­la Guardia di Finanza. Ma, se l’intero si­stema è corrotto, chi garantirà della sua incorruttibilità?

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