giovedì, Aprile 25, 2024
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Un anno con Renato

Dal giugno 2013 Rena­to Accorinti è sindaco di Messina, una delle più disastrate città d’Italia. Non grida, non fa proclami, non è af­fatto un leader. Ma non si può dire che sia un sindaco come gli altri…

“Adesso andiamo tutti quanti dal Sin­daco… ma chi è il Sindaco”? Scherzava Renato Accorinti un anno fa, issato sul monumento ai caduti a Piazza Munici­pio, l’ennesimo palco d’occasione di una lunga vita da attivista scalzo, di fronte a una folla dalle proporzioni mai viste prima in quel luogo, se non in oc­casione della Vara o della vittoria ai Mondiali di calcio.

In effetti sembrava impossibile fino ad allora un cambiamento così radicale e net­to, persino nelle liturgie spicciole della quotidianità, per un’istituzione che , salvo rarissime eccezioni, era stata specchio fe­dele di una città tenuta prigioniera dalla contemplazione passiva del proprio sac­cheggio, compensata da un culto quasi maniacale della gloria passata come dagli incubi futuribili di isole artificiali nello stretto, grattacieli e dal Ponte di cemento e acciaio che –in quest’Apocalisse- rap­presentava l’alfa e l’omega di qualunque ragionamento e progetto.

Sembrava impossibile e invece è stato fatto. Da subito. E non tanto perché nell’ufficio che ha ospitato una sequela di politici di lungo corso e di commissari go­vernativi oggi siede l’uomo in jeans e ma­glietta a cui tutti danno del tu e che ha messo Gandhi e il Dalai Lama al posto di Papa Wojtyla (Francesco invece è rimasto perché “ è uno di noi” , sorride il sindaco) , ma perché dal 24 giugno dell’anno scor­so il Palazzo, quello che negli ultimi anni si era rinserrato come una fortezza dietro le inferriate chiuse ad ogni accenno di contestazione, quello dei tornelli e dei pass, è diventato, dalle nostre parti, sino­nimo di cambiamento.

Certo, dopo un anno, è legittimo per non dire doveroso, chiedersi in quale mi­sura questo cambiamento si stia realizzan­do. Ognuno stila il bilancio come vuole , partendo dalla propria sensibilità e dai propri interessi.

C’è l’isola pedonale e ci sono ancora le discariche abusive, c’è la Casa Di Vincen­zo per i senza fissa dimora e ci sono anco­ra troppi sfratti esecutivi bloccati solo dal­la generosità degli attivisti sociali, c’è la sofferenza dei servizi sociali ma ci sono anche le isole ecologiche finalmente usate dai cittadini che fanno la differenziata tre volte tanto rispetto allo scorso anno. C’è il rischio dissesto non ancora scongiurato ma c’è il consuntivo 2013 in attivo di sei milioni e mezzo di euro. Ci sono ancora i Tir in città ma abbiamo un sindaco che non ha nessuna paura ad aprire lo scontro con chi pensa di mettere i propri interessi d’impresa al di sopra della salute colletti­va.

I media locali sono pieni di richiami al programma elettorale, di classifiche degli assessori ,di pagelle con promossi e boc­ciati. E’ un gioco che può continuare tran­quillamente sotto l’ombrellone fino allo sfinimento. Ciò che invece bisogna sotto­lineare oggi è la vera novità che sta alla base di ogni “gioco” o riflessione seria possibile su aspettative, promesse e realtà.

Le stanze di Palazzo Zanca, che per i più erano mute o nella migliore delle ipo­tesi il luogo dove ognuno poteva tutelare il proprio particulare in cambio di un si­lenzio complice o rassegnato rispetto alla sistematica violenza all’interesse colletti­vo, sono diventate luoghi abitabili dagli umani ed hanno contagiato le strade e le piazze reali e virtuali venendone a loro volta contagiate. E’ nato, in qualche modo un circolo per una volta virtuoso (altro che cerchi magici) fra dentro e fuori.

Dai consigli comunali letteralmente pe­dinati da attivisti e cittadini, al lavoro quotidiano e spesso silenzioso dell’infati­cabile esperta alla mediazione sociale- che ormai vive praticamente a palazzo Zanca quanto e più di sindaco e assessori – e cerca di trovare una soluzione non clientelare ai problemi dei mille disperati che quotidianamente si affacciano nei suoi saloni. E ancora un commissario straordi­nario di Messinambiente che risponde alle mail dei cittadini e fa i turni di notte per controllare il lavoro svolto dai suoi opera­tori. O i resistenti ai mille saccheggi del territorio e gli occupanti di teatri di tutta Italia che discutono di democrazia da pra­ticare e di beni comuni e sono ricevuti dal sindaco al posto degli indagati per appro­priazione indebita dei soldi di tutti.

“Da condominio diventiamo comunità”

Messina, vista da lì, sembra una città che assedia se stessa. Ma i rumori di guer­ra, le urla , il sudore accompagnano la na­scita di un senso di appartenenza che non è più quello di prima – nostalgico e passi­vo – ma non è ancora quello nuovo, tutto da costruire.

“Da condominio dobbiamo diventare comunità”. Non si stanca di ripetere Re­nato Accorinti. E’ una promessa impegna­tiva, più difficile dei traghetti comunali, perché non basta una vita intera a realiz­zarla, altro che cinque anni e qualche mi­lione di euro. Difficile dire, però, che non si stia sforzando di tenervi fede.

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